La lezione, attuale e tragica, di Albert Camus
NEL SUO CELEBRE ROMANZO, “LA PESTE” DEL 1947, CAMUS SEMBRA QUASI DELINEARE L’UMANITÀ ODIERNA IMMERSA NELL’EMERGENZA SANITARIA…
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Di Daniele Trabucco
Albert Camus (1913-1960) é stato un filosofo, saggista, attivista politico francese e Premio Nobel per la letteratura nel 1957. É il pensatore del “divorzio tra l’uomo e la sua vita”. É un autore molto lontano dal mio modo di pensare: la sua analisi dell’assurdo dell’uomo come condizione alienante e reale da allontanare il più possibile, anche se la riscoperta della dimensione della solidarietà umana lo porta oltre il nichilismo di Nietzsche, nega ogni trascendenza, ogni senso di Verità ultima che appaghi l’esistenza umana sofferta e tribolata.
Eppure nel suo celebre romanzo, “La peste” del 1947, Camus sembra quasi delineare l’umanità odierna immersa nell’emergenza sanitaria. La città di Orano, una Prefettura francese sulla costa algerina, colpita da un’epidemia inesorabile e tremenda, racchiude ansie, turbamenti, piaceri e speranze di un mondo, proprio come il nostro, che vive la tensione dialettica tra disgregazione e solidarismo, tra l’uomo “distanziato” e il bisogno del volto, tra indifferentismo e spirito burocratico (caratteristica dello Stato “sanitario” che altro non é se non una declinazione dello Stato etico di hegeliana memoria), tra corsa all’antidoto e desiderio di libertà la quale é, però, sottoposta alla condizione della paura che il morbo (oggi le varianti) ritorni.
Eppure, nonostante questo clima “apocalittico”, le parole del narratore, il medico Bernard Rieux, danno un senso di speranza: “In mezzo ai flagelli s’impara che negli uomini ci sono più cose da ammirare che da disprezzare”. Forse é una lezione valida anche per noi immersi da un anno e mezzo in un riduzionismo della ragione che ci disumanizza e ci rende sempre più monadi e sconosciuti l’un l’altro.