Abbiamo bisogno di tanti Benedetto da Norcia, nella dissipazione e decadenza di oggi
UNA VITA PER LA CHIESA
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Di Diego Torre
Verso il 480 d.C. in un nobile palazzo di Norcia videro la luce due gemelli che avrebbero fatto parlare di sé: Scolastica e Benedetto. E “…non senza mistero, gli era stato imposto il nome di Benedetto, perché il Signore lo prevenne con le sue dolci benedizioni sin dalla nascita. Sin da fanciullo ebbe senno e costumi quali si desiderano talvolta negli stessi vecchi” (San Gregorio Magno).
Essi erano figli di Eutropio e di Abundantia, e discendevano dalla famiglia Anicia già potente ed affermata in Roma sin dal IV secolo a.c.. S. Agostino e San Girolamo (vissuti prima di San Benedetto) celebravano la gloria di questa “gens” da cui pareva che tutti nascessero consoli, ma che, dopo Cristo, primeggia per il suo fervore cristiano tanto da dare più vergini a Cristo che consoli alla repubblica. Un loro antenato Anicio Petronio Probo fu prefetto del Pretorio e suo figlio, San Petronio, fu monaco, vescovo e patrono di Bologna. Anche il Papa Gregorio Magno trae origini da tale schiatta. Dopo i primi studi, a 17 anni Benedetto si trasferisce a Roma dove studia la più alta retorica, le Artes Liberales. Ma nonostante il fascino dell’Urbe eterna, il nostro dopo tre anni lascerà Roma per Affile, dove vive con altre pie persone e ottiene il primo miracolo di cui si sappia: un vaso rotto che ritorna prodigiosamente sano. La fama, e i relativi fastidi che ne ebbe, lo spinsero al decisivo passo verso l’eremitaggio, nello speco di Subiaco, dove “abitò con sé stesso” (San Gregorio Magno). Furono 3 anni decisivi per la sua formazione, fatti di preghiera, digiuni, dure tentazioni diaboliche e direzione spirituale di sacerdoti, pastori ed altri monaci. La fama della sua saggezza crebbe a tal punto che fu costretto ad organizzare 12 piccoli monasteri, i cui superiori, in spirito quasi militare, dipendevano da lui.
Iniziò così l’avventura pubblica di Benedetto, costellata di miracoli e di avversità. Una di esse (le persecuzioni di un indegno sacerdote di nome Fiorenzo, castigato dal cielo con morte subitanea) lo portò infine a Montecassino, dove abbattuti gli ultimi avanzi del paganesimo, edificò due templi, a San Martino e a San Giovanni Battista. Ma soprattutto compie il suo miracolo più grande: la formulazione della Regola nella sua definitiva stesura. Da qui, fra miracoli, profezie, letture di cuori e resurrezioni di morti operò il consolidamento e l’estensione dell’ordine benedettino, fino alla morte avvenuta il 21 marzo del 547, come da lui stesso prevista.
Sull’esempio di San Benedetto la sorella gemella, Santa Scolastica, a circa 7 km dall’abazia di Montecassino fondò il monastero di Piumarola dove assieme alle consorelle si dedicò alla vita religiosa adottando la regola del fondatore dei benedettini.
Oggi la Chiesa può contare su migliaia di monaci, monache e suore dell’Ordine di San Benedetto. Ad essi vanno aggiunti i Cistercensi, i Trappisti, i Certosini e altri ordini che si ispirano alla spiritualità benedettina. Migliaia di laici infine, affiliati nei vari monasteri, vivono la spiritualità benedettina come “Oblati”.
UNA VITA PER L’EUROPA
San Benedetto é nella storia colui che pone decisamente mano alla evangelizzazione dell’Europa, fondandola quale realtà spirituale e culturale, portando “lo nome di Colui che in terra addusse la verità che tanto si sublima” (Dante, Paradiso). Ma ciò in quale contesto avvenne? Ce lo dice il venerabilePio XII il 21.3.1947: “Come nei secoli passati le legioni romane andavano sulle vie consolari per tentare di assoggettare tutte le nazioni all’impero della Città Eterna, così delle coorti innumerevoli di monaci, le cui armi “non sono quelle della carne, ma la potenza stessa di Dio” (2 Cor. 10,4), sono allora inviate dal Pontefice Supremo per propagare efficacemente il regno pacifico di Gesù Cristo fino alle estremità della terra, non con la spada, non con la forza, non con l’uccisione, ma con la Croce e l’aratro, con la verità e con l’amore.” (Enciclica Fulgens Radiatur nel XIV centenario della morte). Egli infatti vide il crollo dell’impero romano e di tutto ciò che per più di mille anni si era fondato sull’unità politica, la giustizia, il genio e la grandezza di Roma. L’Europa e l’Italia in particolare, erano segnate da scorrerie barbariche, assenza di valide autorità civili, ruberie, saccheggi, violenze, carestie ed eresie. Lo stesso Papa S. Gregorio Magno, biografo di Benedetto, temeva imminente la fine del mondo.
“Tu regere imperio populos, romane, memento” aveva scritto Virgilio. Con Benedetto, “ultimo dei romani”, Roma continua e potenzia la sua seconda grande avventura; la sua universalità sarà quella cattolica. Ma la potenza ordinatrice (in senso personale e sociale) della Regola di Benedetto darà una piega agli eventi quale lo stesso Santo non avrebbe potuto prevedere. Egli certamente vuole agire nella Chiesa e per la Chiesa.
Nella parte della Regola riservate all’elezione dell’Abate egli invita tutti a vigilare perché non sia persona indegna. Tale invito, espresso con forza, é rivolto anche ai Vescovi, cosa alquanto strana per un laico… a meno di un mandato pontificio di cui si sospetta, ma di cui non si ha certezza. Certo é che la Regola dei Benedettini, per volontà della Santa Sede, divenne subito la Regola di tutto il monachesimo occidentale.
Ma quello che il nostro Benedetto non poteva prevedere é ciò che le Abazie sarebbero diventate per l’Europa. Esse saranno centri di irradiazione civile e culturale; saranno il cuore stesso dell’Europa. Esse salveranno la cultura classica, trascrivendo libri cristiani e pagani, sacri e profani, e promuoveranno la cultura medievale, madre di quella società che i contemporanei chiameranno “Cristianità” (e non Medioevo, espressione infelice e molto più tarda). Infatti “il monastero benedettino sarà quasi un preannuncio della nuova società” (Giovanni Paolo II, 23.3.80). Esse saranno fortezze militari, centri di elaborazione del sapere sacro e profano, laboratorio di tecniche agricole e zootecniche, mediche e farmaceutiche, artistiche ed artigiane. Esse, redimendo il lavoro, cancelleranno i residui della schiavitù e inizieranno la formazione del libero ceto rurale. Esse daranno vita a bonifiche di paludi, disboscamenti, ospedali, ospizi per pellegrini, alberghi e le meravigliose chiese abbaziali dalle ardite ed equilibrate architetture; e ancora a nuove pitture e nuovi mosaici, alle preziose miniature, ove l’oro ed il rosso si mescolano con l’azzurro dei lapislazzuli, al pentagramma, alle note e a nuovi strumenti musicali. E potremmo continuare con le biblioteche e le scuole abaziali, la cartografia ed il disegno, il Dom Perignon, il formaggio parmigiano, le dighe olandesi etc.
Ma il mondo creato da Benedetto sarà soprattutto modello trainante per la società civile dell’epoca a cui fornirà gli essenziali parametri spirituali, culturali e financo psicologici per la sua erezione. L’opera del Santo e la sua Regola apporteranno quel fermento, che mutò il volto del mondo antico, suscitando dopo la caduta dell’unità politica dell’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, ovvero la Cristianità romano-germanica. E’ nata proprio così quella realtà che noi chiamiamo Europa.
ATTUALITA’ DEL CARISMA BENEDETTINO
Ma é altresì notevole l’analogia tra il suo tempo ed il nostro, come ci ricorda S. Giovanni Paolo II all’apertura dell’anno giubilare del 1.1.80: “…questa figura… ha una eloquenza tale che… sarà necessario rileggere ed interpretare alla (sua) luce il mondo” . Il nostro tempo, infatti, non vede forse il crollo dì quelle ideologie che ci hanno dato le carneficine delle due guerre mondiali, le stragi dei totalitarismi e quelle per aborto, per droga, per AIDS? E cosa ci lascia? Il mito del successo? L’adorazione del denaro? Il sesso fine a sé stesso? E ancora materialismo, consumismo, edonismo? O peggio, magia, occultismo, satanismo?
Infatti senza la linfa vitale delle radici cristiane, l’uomo soccombe all’antica tentazione di “redimersi” da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (S.Giovanni Paolo II, 13.01.1990).
Noi invece “abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare a Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo” (Benedetto XVI, 9.04.2008). Quanto é allora necessario collegarsi a questo autentico “Vir”, venerabile per la sua vita “benedetto di nome e di grazia” (S. Gregorio Magno)!
Quanto é necessario collegarsi al suo straordinario esperimento di vita organizzata, monastico prima e civile poi, che affonda nella natura dell’uomo, nel suo naturale organizzarsi gerarchicamente e fraternamente, valutando tutti gli aspetti della persona umana, armonizzando azione e contemplazione. Quest’ autentico Uomo della Provvidenza che Iddio suscitò in un momento difficile della storia dell’umanità é per noi un esempio di zelo evangelizzatore e un medico le cui ricette sono basate su elementi di ordine naturale ed oggettivo, e quindi sempre valide; valide per il mondo intero di tutti i tempi e di tutte le latitudini.
Ci ricorda infatti S. Paolo VI: “La Chiesa ancor oggi ha bisogno di codesta forma di vita, il mondo ancor oggi ne ha bisogno… San Benedetto ritorni per aiutarci a ricuperare la vita personale; quella vita personale di cui oggi abbiamo brama ed affanno, e che lo sviluppo della vita moderna, a cui si deve il desiderio esasperato dell’essere noi stessi, soffoca mentre lo risveglia, delude mentre lo fa cosciente. Ed é questa sete di vera vita personale che conserva all’ideale monastico la sua attualità”.
Noi Cristiani crediamo che Dio susciterà sempre i suoi Santi in mezzo a noi, soprattutto nei momenti difficili come fu per Benedetto, e non sarà un ritorno al Medioevo ma “un ritorno, questo sì a quella sintesi di religione e vita. Essa non é affatto un monopolio del Medioevo… essa é sempre attuale perché é la chiave di volta di ogni cultura, di ogni civilizzazione…” (Pio XII).