L’orrore è servito, in Nuova Zelanda nascono vivi e li lasciano morire
LA FINE DISUMANA DEI BAMBINI “NON DESIDERATI” IN NUOVA ZELANDA
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Di Angelica La Rosa
In Nuova Zelanda, ad un anno dall’entrata in vigore della nuova legge, gli aborti possono essere effettuati “on demand” fino alla ventesima settimana di gestazione, mentre per le settimane successive – e fino al momento del parto – basta una semplice dichiarazione di un medico per certificare che “l’aborto è opportuno in determinate circostanze”.
La legge, promossa dal primo ministro neozelandese Jacinta Arden, è una delle leggi sull’aborto più estreme al mondo e negli ultimi 12 mesi si è registrato un aumento del 43% degli aborti tardivi, cioè quelli eseguiti dopo la 20a settimana di gravidanza, quando il feto, che misura circa 15 centimetri e pesa quasi 300 grammi, sta già sviluppando l’olfatto, l’udito, la vista e il tatto e il sistema nervoso sta formando quelle giunzioni complesse che sono necessarie per la memoria e il pensiero. Inoltre, i feti sono già così formati da sentire il dolore.
In Nuova Zelanda, nel 2020, sono stati abortiti almeno 120 bambini oltre le 20 settimane.
Così mentre Richard Scott William, il “bambino più prematuro del mondo”, nato a Minneapolis dopo 21 settimane e due giorni di gestazione, del peso di 340 grammi, ha festeggiato il suo primo compleanno il 5 giugno scorso, in Nuova Zelanda altri bambini come lui si sono ritrovati fuori dal grembo materno non per uno sfortunato incidente di natura, ma per una precisa intenzione perseguita dal punto di vista medico. E almeno uno, come Richard, è nato vivo, nonostante la sua avanzata prematurità. Ma in Nuova Zelanda non c’è l’obbligo di salvare feti abortiti prematuramente, quindi un bambino nato vivo dopo un aborto tardivo fallito è stato lasciato morire.
“La nuova legge sull’aborto della Nuova Zelanda è scandalosa e i parlamentari che hanno votato contro l’emendamento che richiede cure mediche per i bambini nati vivi dopo un aborto fallito – come Jacinda Arden – dovrebbero vergognarsi”, ha osservato la portavoce di Right to Life UK Catherine Robinson.