Dio castiga? Quando è necessario dona correzione?
PUÒ LA SANTITÀ DI DIO GIUSTIFICARE LO STERMINIO DEGLI “EMPI” MEDIANTE GUERRE E TERREMOTI, FAME E MALATTIE, VIOLENZE E DISTRUZIONI?
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Di Padre Giuseppe Tagliareni
La Scrittura afferma che “Dio è Amore” (1 Gv 4,8). A prima vista, ciò sembra dover escludere la possibilità di una punizione da parte di Dio. Egli ama tutte le sue creature di un amore indefettibile e infinito; come potrebbe questo conciliarsi col castigo? Può mai darsi un Dio vendicativo? E perché vendicarsi del comportamento di creature tutto sommato deboli, piccole, insignificanti di fronte alla sua grandezza e immensità? Può la santità di Dio giustificare lo sterminio degli “empi” mediante guerre e terremoti, fame e malattie, violenze e distruzioni? E cosa pensare quando agli empi sono associati nel “castigo” tanti innocenti, tanti piccoli, tante persone incolpevoli? Può la Giustizia di Dio essere ingiusta? E la sua Misericordia dov’è? Come si concilia con il punire? Non dovrebbe abbracciare anche i colpevoli?
Tutto ciò sembra allontanare la possibilità stessa di un castigo divino, sia nel tempo che nell’eternità. L’Inferno, punizione eterna, sarebbe inammissibile e il dolore delle pene terrene, come cataclismi e tribolazioni varie, si dovrebbe inquadrare non come “punizione”, ma come semplice ingrediente della complessa vicenda umana: un ingrediente sì spiacevole, ma fecondo di buoni frutti perché potente stimolo al suo superamento, sfida all’intelligenza dell’uomo, alla sua infinità capacità di adattamento, di collaborazione, d’intervento anche caritativo e solidale. L’Inferno si giustificherebbe solo come mito e non come realtà, figura della mancata realizzazione dell’uomo nella sua pienezza e il dolore terreno come condizione creaturale da lottare e superare. In tutto ciò Dio entrerebbe solo come Creatore e Salvatore, non come Giudice e tanto meno come punitore.
Di contro però sta la stessa rivelazione biblica. “Stolti, quando diventerete saggi?…Chi regge i popoli forse non castiga, lui che insegna all’uomo il sapere?” (Sal 94,8-10). “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? (Eb 12,5-7).
Dio dunque, sia in qualità di governatore supremo del mondo, sia in qualità di padre, cioè di autore della nostra vita, regge i singoli e i popoli e quando è necessario dona correzione e castigo. Questo ben si accorda con la sua Giustizia e anche con la sua Misericordia. Per la sua Giustizia, Egli pone le leggi fisiche e morali, perché tutto sia rivolto al bene. La trasgressione della legge, Egli la punisce col dolore, che colpisce non solo i trasgressori, ma anche tutti coloro che sono in qualche modo coinvolti nella colpa. Per la sua Misericordia, Egli va incontro al misero per sollevarlo dalla sua miseria a fargli grazia. Allora il dolore si trasfigura nel più potente mezzo di redenzione e di salvezza: esso, in qualche misura soddisfa la divina Giustizia e consente l’espandersi della divina Misericordia.
All’inizio della storia umana, Dio pose i nostri progenitori nell’Eden. Tutto era nella perfezione e nella pace: nulla Dio aveva fatto d’imperfetto e di male. L’intera creazione rispecchiava l’infinita sua sapienza e amore: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). Ma la bontà originaria fu presto perduta a causa della colpa delle origini: la stessa creazione fu coinvolta nella colpa e nel castigo che ne seguì: “maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!” (Gen 3,17-19).
Vi è in Genesi 3 il primo castigo di Dio, motivato dalla prima colpa, quella delle origini, della prima coppia umana. Essa fu una disubbidienza ad un comando esplicito di Dio, fatta con piena avvertenza e determinazione, sotto la spinta del tentatore. Fu una lesione gravissima della legge divina e l’intromissione di un disordine esistenziale tremendo: la creatura pretende di mettersi al pari del Creatore a determinare e conoscere il bene e il male, in totale autonomia di giudizio e sfida la proibizione del Signore dell’universo.
Le conseguenze furono gravissime: la perdita della comunione con Dio e la cacciata dal Paradiso terrestre, le tribolazioni, il dolore e la morte. Queste cose non possono assolutamente considerarsi come semplice “limite” creaturale che l’evoluzione inarrestabile un giorno eliminerà. Esse sono intrinsecamente legate alla presenza della colpa e delle sue conseguenze. In altre parole, senza colpa (sia quella delle origini che tutte le successive), la creazione si sarebbe conservata nella perfezione originaria e perciò nella giustizia e nella pace. Se l’umanità ha conosciuto il dolore e la morte, lo deve alla propria disubbidienza, al moltiplicarsi dei peccati e delle ingiustizie su tutta la terra.
Nel prosieguo della storia dell’umanità si arrivò ad una decadenza morale enorme: colpe si aggiunsero a colpe senza numero e freno. “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti» (Gen 6,5-7). Dio mandò il diluvio a purificare la terra dal male, ma salvò il giusto Noè e la sua famiglia, con numerosi esemplari di animali, legati nel bene e nel male alla sorte dell’uomo.
Secondo la rivelazione biblica, non si può certo chiamare il diluvio come semplice avvenimento atmosferico o climatico, causato dalle cieche forze della natura, scatenate da fattori a noi ignoti. Sebbene l’autore biblico non è uno scienziato, egli non è affatto uno sprovveduto. Egli sa bene che tutto è sotto il dominio assoluto di Dio e tutto fu fatto con perfezione somma e amore. La sua Provvidenza regge l’universo e non in modo approssimativo o difettoso. I cataclismi non sfuggono al volere di Dio. “Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo” (Is 45,7).
Lo scatenarsi del diluvio è addebitato all’estendersi della malizia umana e quindi del peccato a tutta l’umanità di allora. Se Noè fu preservato, lo si deve da una parte alla Misericordia divina e dall’altra parte al suo essere timorato di Dio e osservante della sua legge. Proprio per queste ragioni Dio lo preavvisò e lo salvò con tutta la sua famiglia e alcuni esemplari di animali, opportunamente collocati nell’arca.
Al tempo di Abramo si ha una più alta rivelazione della Provvidenza di Dio. A causa del peccato, in particolare dell’omosessualità sfacciata, le città di Sodoma e Gomorra sono punite con fuoco e zolfo, fino alla distruzione. La Bibbia rivela che il castigo non sarebbe avvenuto se si fossero trovati almeno 10 giusti nella città, secondo la richiesta del grande patriarca (cfr. Gen 18). Si insinua una grande verità: se è vero che il peccato dei più merita castigo adeguato, la giustizia di pochi può salvare i molti. Ciò preannunzia il mistero della redenzione incentrata su Gesù Cristo: unico vero giusto davanti alla divina Giustizia. Egli offrirà a Dio la sua Passione e morte di croce per salvare i suoi fratelli dalla maledizione eterna.
Durante il tempo dell’Esodo, Mosè intercedette molte volte per gli ebrei e riuscì a stonare l’ira di Dio dal suo popolo, ma non ad evitare i salutari castighi della divina Giustizia. Il lungo peregrinare nel deserto e le numerose tribolazioni sono purificatrici di quella gente, destinata ad entrare nella Terra promessa, luogo del riposo di Dio. Le loro ribellioni, mormorazioni e contestazioni furono tutte punite, anche con la morte. Un popolo nuovo sarà quello che entrerà nella Terra promessa, dove dovrà affrontare nuove prove e dure lotte. Gradualmente entrarono in possesso dell’eredità promessa, vincendo i loro nemici. Quando caddero nell’idolatria, subirono le più amare sconfitte e l’abbandono di Dio nelle mani dei loro nemici. Ma Dio non gode della morte del peccatore, ma che si converta e viva. “Perciò, o Israeliti, io giudicherò ognuno di voi secondo la sua condotta. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Perché volete morire, o Israeliti? Io non godo della morte di chi muore. Parola del Signore Dio. Convertitevi e vivrete» (Ez 18,30-32).
Dio dunque, non gode nel castigare, ma nella conversione sincera del peccatore. È questo infatti che Gli consente di usare la Misericordia e fare grazia: la grazia del perdono che ristabilisce la piena comunione.
Tutta la storia d’Israele segna un alternarsi di promesse e di castighi, di successi e di sconfitte, di fioritura e di sventura, fino alla distruzione di Gerusalemme ad opera di Nabucodonosor (587 a.C.), all’esilio di Babilonia e alla sua lieta fine, col ritorno degli esuli alla Città santa e la riedificazione del tempio. I profeti danno la giusta lettura degli avvenimenti. Essi rivelano che mentre Dio è fedele al suo Patto, il popolo non lo è, e spesso cade nell’idolatria e in altri peccati. Per questo Dio lo abbandona nelle mani dei suoi nemici, pur non permettendo mai il totale sterminio. Un piccolo “resto” ritorna a Dio col cuore puro e riceve la sua Misericordia, che si estende “su coloro che lo temono, di generazione in generazione” (Lc 1,50). Dove c’è ritorno a Dio non c’è maledizione, ma purificazione.
“Si presentarono (a Gesù) alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,1-5).
Gesù fa capire chiaramente che ciò che attira le sventure è la mancanza di conversione. L’indurimento nelle colpe, il continuare a vivere come se Dio non ci fosse allontana la protezione di Dio e attira la sventura, che può colpire tutti all’improvviso: giusti e ingiusti. Ma se in una città vi è un certo numero di “giusti”, come il Signore disse ad Abramo, per amore di quei giusti Egli può salvare una città dalla distruzione, come invece avvenne per Sodoma e Gomorra, dove in particolare il peccato di omosessualità era imperante (cfr. Gen 18,16-33).
Dio lascia la libertà all’uomo, ma non vuole che la si diriga a fare il male e punisce le colpe. Quando poi la colpa diventa pubblica e generalizzata, allora il castigo è inesorabile e colpisce tutti.
Poco prima della sua Passione, Gesù si recò a Gerusalemme. “Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19,41-44). È chiaro, dalle parole di Cristo, che la futura distruzione di Gerusalemme è frutto dell’abbandono di Dio, dovuto al rifiuto di Gesù da parte degli ebrei sia capi che popolo.
“Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai” (Lc 13, 6-9).
Il paragone del fico senza frutti, che è destinato al fuoco se non produce, fa capire che simile sorte subisce l’uomo che nella sua vita non dà a Dio i buoni frutti che Egli si attende: opere di culto e di carità, gesti di bontà e di misericordia. Ma il primo passo che Dio si attende è la conversione del cuore, il ritorno del peccatore a Lui, cioè il tornare a vivere per Lui, nell’attesa d’incontrarlo e possederlo nella gloria eterna. Chi non dimostra con i fatti la sua conversione a Dio, rischia da un momento all’altro di essere divelto dalla terra e buttato nel fuoco eterno, “dove sarà pianto e stridore di denti” (Mt 24,51).
“Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo” (Ap 3,19): così afferma il Signore a Giovanni nell’Apocalisse. Si tratta ovviamente non del castigo eterno, ma di misure correttive della condotta, come fa un padre nei confronti di quei figli che pur tralignando, sono tuttavia ancora correggibili. I suoi castighi sono rivolti a dare giustizia e santità lì dove lo zelo è scarso o insufficiente, come fa la mano sapiente del potatore che taglia ciò che non porta frutto e pota quei rami che possono portarne di più (cfr. Gv 15,1-2). Siccome tutti possiamo fare di più per Dio, nessuno può ritenere di non abbisognare di “potature”, che provvidenzialmente lo rendano più fecondo fino a raggiungere la santità voluta dal Padre per lui.
Chi non si fa santo, perde l’amicizia di Dio, profana la terra e si attira la maledizione. Dio vuole abitare con noi e farci poi abitare con Lui. La Sua ira si scatena quando l’uomo, singolo o popolo, persiste nella negazione di Dio come fa Satana e rischia così l’eterna dannazione. Il castigo serve a far ravvedere l’uomo, a illuminare la sua coscienza accecata, a far temere seriamente di perdere tutto se non raddrizza la volontà ribelle e proterva; è l’eco di un più severo giudizio, quello estremo, che prelude alla maledizione eterna. Chi è senza colpa, non teme il giudizio di Dio né i Suoi castighi; la morte stessa è introduzione alla gloria.
A Fatima (1917) la Madonna disse che Dio era troppo offeso e che se gli uomini non si fossero convertiti sarebbe presto venuta una guerra peggiore della prima. Lo stesso diffondersi del comunismo ateo sarebbe stato un flagello per la Chiesa e per l’umanità, apportando infinite guerre, persecuzioni, deportazioni e morti. “Infine, promise, il mio Cuore Immacolato trionferà”. Dio è Colui che può cambiare il male in bene e se affligge i Suoi figli, lo fa malvolentieri, lo fa per ricondurre i più alla giustizia e alla misericordia. Così l’Amore trionfa.