L’infallibilità della Chiesa-Popolo di Dio e dei suoi Pastori
IL CORRETTO INQUADRAMENTO DOTTRINALE DEL TEMA DELL’INFALLIBILITÀ DEL MAGISTERO DELLA CHIESA È FONDAMENTALE PER COMPRENDERNE LA GIUSTA ESTENSIONE E IL CONSEGUENTE RAPPORTO TRA FEDE E RAGIONE, CATECHISMO E FILOSOFIA, SCIENZE E TEOLOGIA. A QUESTO FINE VA SUPERATO L’APPROCCIO CHE IDENTIFICA ESCLUSIVAMENTE QUESTA VERITÀ DI FEDE CON IL PUR IMPORTANTE DOGMA DELL’INFALLIBILITÀ PAPALE ED EPISCOPALE (INFALLIBILITÀ “IN DOCENDO”) TRASCURANDONE L’ALTRO COMPLEMENTARE ASPETTO DEL “SENSUS FIDEI” DEL POPOLO DI DIO (INFALLIBILITÀ “IN CREDENDO”)
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Di Sara Deodati
Col termine “Magistero” la Chiesa indica una funzione docente (dal lat. Magister, maestro), il cui compito non costituisce un’istanza superiore alla Parola ricevuta, ma rappresenta un servizio alla Parola stessa ed il cui esercizio rimane inscindibilmente legato alla trasmissione viva del Vangelo (Traditio) e al contenuto della Sacra Scrittura (cfr. Dei verbum, 18 novembre 1965, n. 10).
Il “deposito” della fede contenuto nella Tradizione e nella Rivelazione, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) è stato affidato dagli Apostoli «alla totalità della Chiesa» (n. 84). Attraverso il ruolo specifico esercitato dal Magistero dei romani Pontefici, nonché da quello dei Concili ecumenici e dei Vescovi in comunione con il Papa, il depositum fidei si determina a seguito dell’attività di interpretazione, esposizione e spiegazione della Rivelazione e del riconoscimento della continuità della Tradizione apostolica da parte della Chiesa.
L’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato esclusivamente al “Magistero vivente della Chiesa” cioè al Papa ed ai vescovi in comunione con il successore di Pietro, il vescovo di Roma. Non potrebbe essere altrimenti perché, come insegnano i Padri, “la Parola di Dio genera la Chiesa”. La trasmissione della Rivelazione avviene quindi nella Chiesa e per mezzo della Chiesa. Nell’esercizio della sua funzione magisteriale, essa si avvale oggi delle Conferenze episcopali e di alcuni organismi di sostegno incardinati nella Santa Sede, come la Congregazione per la Dottrina della fede o Commissioni di studio, fra cui la Commissione teologica internazionale.
Consistendo nella definizione delle verità della Fede e nell’orientamento dei fedeli, l’oggetto specifico del Magistero s’identifica quindi in:
1) contenuti di ambito teologico, morale, spirituale ed ecclesiale,
2) pronunciamenti relativi alla corretta interpretazione della Scrittura e della Tradizione,
3) insegnamenti di carattere filosofico (gnoseologico, antropologico, etico), connessi all’impiego della recta ratio.
Il compito della teologia consiste invece nello studio e nella ricerca personale dei singoli studiosi sulle verità della Fede. La differenza con l’elaborazione proveniente dal Magistero della Chiesa è sostanziale, anche se spesso dalla prima derivano spunti e contenuti fatti propri dal secondo. Il Magistero, però, si caratterizza per una sua specifica originalità perché, prima che una elaborazione dottrinale o culturale, s’identifica con un “pensiero” che non solo è necessario ma è anche inscindibile dalla storia e dalla salvezza del popolo di Dio.
Il tema della infallibilità della Chiesa appare strettamente connesso con la questione dell’immutabilità e dello sviluppo dei dogmi di Fede.
Per quanto riguarda il primo aspetto va anzitutto rilevato che il Magistero della Chiesa si avvale della pienezza dell’autorità che gli proviene dal mandato di Cristo proprio ogni qual volta definisca un dogma di Fede. Quando, cioè, «in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un’irrevocabile adesione di fede» (CCC, n. 88), proponga verità contenute nella Rivelazione divina o che hanno con le S. Scritture una necessaria connessione. Occorre però definire quali sono gli esatti confini del concetto d’immutabilità del dogma, alla luce della formula ampiamente accettata dalla teologia di uno “sviluppo dogmatico della Chiesa” nell’ambito dell’economia della salvezza. Il CCC, a questo proposito, afferma che, «grazie all’assistenza dello Spirito Santo, l’intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede può progredire nella vita della Chiesa: 1) “Con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro” […]; 2) Con la profonda intelligenza che i credenti “provano delle cose spirituali” […]; 3) “Con la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità”» (n. 94).
Alla luce di queste tre “fonti” e del connesso ruolo che lo Spirito Santo non manca di esercitare nella storia della Chiesa, occorre affermare che la polarità spesso presentata in chiave dialettica ed oppositiva tra fedeltà e progresso, non sempre o necessariamente è di tipo conflittuale. Cogliendo nella sua interezza la nozione di “Tradizione”, infatti, appare possibile affermare il concetto per cui i dogmi possono allo stesso tempo aumentare, contemporaneamente rimanendo il medesimo il contenuto della Fede.
Oltre a questo elemento, altro concetto sul quale si poggia la nozione di infallibilità è quello di indefettibilità della Chiesa. Quest’ultimo, infatti, che trae dall’infallibilità la sua stessa giustificazione, si associa ai seguenti contenuti:
- a) l’idea della stabilità nell’identità (di chi rimane sostanzialmente uguale e fedele a sé stesso);
- b) l’idea di permanenza nel tempo;
- c) l’idea di una persistenza finalizzata a riscoprire un preciso ruolo escatologico.
Queste tre caratteristiche si possono rinvenire contemporaneamente solo nell’unica Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana, fondata da Gesù Cristo. Il carattere indefettibile della Chiesa trova molteplici riscontri nel Nuovo Testamento, in quanto dipende dalla c.d. volontà fondazionale di Dio-Figlio fatto uomo.
L’infallibilità del Magistero della Chiesa, proclamato dal Concilio Vaticano I il 18 luglio 1870 assieme all’altro dogma del Primato di giurisdizione del Romano Pontefice, si attua ogni qual volta il Romano Pontefice, in virtù della sua autorità di supremo Pastore della Chiesa, o il Collegio dei Vescovi in comunione con il Papa, soprattutto se riuniti in un Concilio Ecumenico, proclamano con atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale, e anche quando il Papa e i Vescovi, nel loro ordinario Magistero, concordano nel proporre una dottrina come definitiva. Posto che il Magistero invoca molto raramente la sua infallibilità, qualora lo faccia ogni fedele deve aderire a tali insegnamenti con l’ossequio della fede.
Il tema dell’infallibilità della Chiesa in docendo presuppone anche l’analisi del rapporto fra il Magistero da un lato e la conoscenza razionale, filosofica e scientifica dall’altro. Si tratta, quindi, di affrontare la problematica dei rapporti fra fede e ragione, nel senso della ricerca della corretta delineazione dei rispettivi ambiti ed ordini di conoscenza. Ciò, soprattutto, a fronte dell’impetuoso sviluppo attuale delle varie scienze, che rende ancor più necessaria la ricerca della corretta sintesi fra un’ontologia tipica delle scienze, una filosofia di istanza metafisica ed una teologia della natura/creazione.
Da questo punto di vista occorre preliminarmente rilevare che, anteriormente al Concilio Vaticano II, i contenuti degli interventi magisteriali sul rapporto Fede/scienze si caratterizzano per privilegiare la tesi di una pacifica separazione di oggetti e di compiti fra l’una e le altre e, quindi, fra Chiesa e mondo scientifico. Il Magistero tradizionale, quindi, ha sempre più o meno riproposto, senza offrirne significativi sviluppi, l’asserzione del Concilio Vaticano I secondo il la quale Fede e ragione sono caratterizzate da due diversi ordini di conoscenza, in armonia fra loro, e fra i quali non può esservi contraddizione a motivo dell’unicità della Verità (cfr. Dei Filius, cap. 4, De fide et ratione).
Il Vaticano II pur offrendo brevi spunti sul tema (cfr. in particolare Gaudium et Spes, n. 36), ha permesso al Magistero successivo di riconoscere pienamente alle scienze il diritto ad una propria autonomia metodologica, pur non inficiando il punto di partenza dell’insegnamento di sempre che afferma la dipendenza del creato dal suo Creatore.
L’eredità sul punto dell’ultimo Concilio viene raccolta nel modo più sistematico nel Magistero di Giovanni Paolo II, che giunge in un momento storico-culturale caratterizzato appunto da una rinascita del dialogo fra teologia, filosofia e pensiero scientifico.
L’insegnamento di questo Pontefice Wojtyla presenta da questo punto di vista una preoccupazione metodologica costante, quella di costruire una conoscenza a partire dai “fondamenti”. Di conseguenza il Papa si fa promotore della necessità di una adeguata idea di scienza, ragione e fede, al fine di poter affrontare in senso proprio le implicazioni etiche di tutte le scienze. Il Magistero di Giovanni Paolo II, quindi, stimola particolarmente la presenza cristiana nel mondo scientifico, intendendo la verità in quanto bene umano, e implicando con ciò il principio della libertà della ricerca, non solo da ogni condizionamento ideologico ma anche da ogni forma di potere. L’ideologia a suo avviso minaccia la scienza sia quando restringe il campo del conoscibile a ciò che può essere oggetto di indagine scientifica, sia quando riduce la sfera della razionalità alla sola razionalità scientifica e, infine, quando assolutizza il metodo scientifico, inducendo un senso di autosufficienza che porta gli scienziati a non riconoscere tutto ciò che riguardi l’essenza spirituale dell’uomo (cfr. anche Gaudium et spes, n. 57). Questo tema è affrontato con ampiezza da Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio (14 settembre 1998), il cui principale interlocutore è comunque il pensiero filosofico e non quello scientifico, sebbene dai principi ivi esposti sia lecito formulare l’interrogativo valido per entrambe le discipline: l’accesso alla verità e, con una riflessione successiva, l’accesso a Dio, riguarda anche l’attività conoscitiva dello scienziato? La risposta dell’enciclica è che esiste una profonda unità della verità, sia essa colta dalla filosofia o dalle scienze naturali, sia conosciuta mediante l’accoglienza della Rivelazione (cfr. n. 34). Il Magistero di Giovanni Paolo II sul tema scienza/fede è inoltre improntato ad un profondo realismo, che parte dalla coscienza del limite umano nel conoscere. Egli porta dunque la Chiesa a non schierarsi su posizioni “anti-scienza” od “anti-tecnologia” ma, alla luce della sua lettura sapienziale della realtà, induce a porre in profondità la domanda sui criteri che guidano l’agire umano in ambito scientifico o tecnologico. Neppure in nome della scienza o della tecnologia, insomma, è lecito a parere del Papa ignorare il giudizio morale sui comportamenti individuali o collettivi. Anzi, sarebbe necessario interrogarsi seriamente sul concetto di persona, senza trascurare nessun aspetto e né ridurre la persona umana solo ad alcuni bisogni e manifestazioni sensibili ogniqualvolta ci si approcci ad un agire scientifico-tecnologico. Il cuore della crisi della scienza oggi, infatti, si rinviene proprio nella riduzione funzionalistica della conoscenza umana, e nel mancato rimedio all’esigenza inappagata di molti uomini di scienza di conferire un senso alla natura ed alla destinazione del loro operare. Per andare “oltre la crisi”, insegna infine Giovanni Paolo II, occorrerebbe quindi arginare la deriva di un “sapere frammentato”, rigettando la dilagante “cultura del sospetto e del dubbio”, ricomponendo quindi la piena unità tra Fede e ragione.
In virtù del senso soprannaturale della sua Fede, il Popolo di Dio aderisce indefettibilmente alle Verità rivelate. Questa capacità di tendere alla verità da parte della comunità dei fedeli sotto la guida del Magistero vivente della Chiesa, si definisce sensus fidei fidelium. Secondo il CCC, «tutti i fedeli sono partecipi della comprensione e della trasmissione della verità rivelata. Hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo che insegna loro ogni cosa e li guida “alla verità tutta intera”» (n. 91). In virtù di tale insegnamento la totalità dei fedeli non può sbagliarsi nel credere, ogni qual volta «esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi» (Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 12). La sorgente di tale infallibilità è lo stesso Spirito Santo, che ispira e muove quell’approccio intuitivo ai misteri col quale il popolo di Dio consente alla verità rivelata e sa anche discernere il vero dal falso. Ovviamente il sensus fidei non va identificato con l’opinione comune della maggioranza, anche perché nella storia della Chiesa è accaduto che, in certi contesti, quest’ultimo sia stato manifestato da individualità isolate, singoli santi, mentre l’opinione comune si accodava a dottrine non conformi alla fede apostolica. Così avvenne ad esempio quando sotto l’influsso del giansenismo (XVII secolo) si insisteva sulla severità del giudizio di Dio, a scapito della sua misericordia.
Nella comprensione del concetto di infallibilità in credendo, occorre anche verificare la relazione esistente tra il sensus fidei ed il Magistero della Chiesa. Le due realtà, infatti, vanno distinte: la prima non consistendo né in un insegnamento né in un magistero, bensì solamente nella persuasione sperimentale di una verità. E se da un lato la fede, in quanto dono dello Spirito, non può errare, dall’altro lato il fedele, sia pur in stato di grazia, sia pur fervente, può errare, mescolare alla sua fede dei dati o dei sentimenti estranei. In questa prospettiva il magistero dei vescovi riuniti intorno al successore di Pietro ha appunto il compito di discernere e confermare ciò che viene presentito, indicato e anticipato dal sensus fidei. Quando esercitano tale funzione, il Papa e i Vescovi attestano soltanto che una verità percepita e accolta dal sensus fidelium può effettivamente essere riconosciuta e accolta come lo sviluppo di un dato già contenuto nel depositum fidei.
Quanto finora esposto, dal punto di vista della teologia fondamentale, conduce alle seguenti conclusioni: 1) la Chiesa è al tempo stesso custode e soggetto della trasmissione della Rivelazione; 2) il Magistero si configura come “dimensione sacramentale” della Tradizione e, pertanto, può anch’esso essere inserito nella logica della Rivelazione; 3) i documenti magisteriali hanno sempre avvalorato entrambe queste verità che, a partire dal Concilio Vaticano II, hanno trovato comunque una ulteriore specificazione sotto il profilo dei rapporti fra scienza e Fede; 4) sviluppando tali insegnamenti conciliari, il Magistero di Giovanni Paolo II è giunto ad affermare il principio per cui ogni riflessione filosofica che voglia giungere a Dio partendo dall’osservazione della natura deve tener conto di quanto le scienze naturali dicono su quella medesima natura.