La potenza di Dio si manifesta meglio nella debolezza
XIV DOMENICA DEL T. O. ANNO “B”
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Di Padre Giuseppe Tagliareni
Nessun profeta è ben accetto in patria. Nazareth si scandalizzò di Gesù quando diede inizio alla vita pubblica e cominciò a fare miracoli e discepoli. Essi non potevano accettare che proprio lui fosse il Messia tanto atteso: un falegname, la cui famiglia era del tutto ordinaria, anche se discendeva dal re Davide. Egli poté farvi solo pochi miracoli e si addolorava della loro incredulità.
Questa è pure la sorte di molti profeti e veggenti: quella di non essere creduti se non da pochi e magari estranei. L’incredulità nasce dalla durezza di cuore e dall’ostinazione nei propri peccati.
Anche il profeta Ezechiele sapeva che non sarebbe stato ascoltato dai suoi connazionali. Dio lo mandò lo stesso: “Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli -, sapranno almeno che un profe ta si trova in mezzo a loro” (Ez 2,5).
Dio gli mostrò un rotolo; “era scritto da una parte e dall’altra e conteneva lamenti, pianti e guai” (v.10). Spesso il profeta non deve dire cose piacevoli, ma guai a lui se tace!
Dio fece a Paolo grandi rivelazioni. Ma perché non montasse in superbia gli diede anche una spina nella carne. Egli chiese di esserne liberato, ma il Signore gli disse: “Ti basta la mia grazia!”.
La potenza di Dio si manifesta meglio nella debolezza. “Quando sono debole, è allora che sono forte”, dice. Perché sa bene che non può confidare in sé ma solo in Dio.