Regolamentare i flussi migratori è indispensabile: lo insegna la Dottrina sociale della Chiesa

Regolamentare i flussi migratori è indispensabile: lo insegna la Dottrina sociale della Chiesa

RICHIAMANDO IL N. 298 DEL COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, CHE RACCOMANDA LA «REGOLAMENTAZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI» COME «UNA DELLE CONDIZIONI INDISPENSABILI» AFFINCHÉ SIA RISPETTATA LA DIGNITÀ STESSA DEI MIGRANTI, SIAMO CONVINTI SÌ CHE LA “XENOFILIA” SIA UNA VIRTÙ, MA A CONDIZIONE CHE SIA «EQUA ED EQUILIBRATA», QUINDI NÉ IRRESPONSABILE NÉ IDEOLOGICA!

Di Giuseppe Brienza*

 

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«La regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti [degli immigrati] avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana». Questo insegna il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (cfr. n. 298) sintetizzando una verità di fondo, ovvero che gli immigrati sono innanzitutto persone, e la prima accoglienza è un dovere per i Paesi ricchi. Tuttavia, i flussi migratori vanno regolamentati secondo criteri di equità e di equilibrio, che servono ad evitare violazioni dei loro diritti ma anche tensioni sociali per le comunità di accoglienza. Gli immigrati, in sostanza, vanno aiutati ad integrarsi nella vita sociale, assieme alle loro famiglie ma, allo stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle loro zone di origine (cfr. Compendio DSC, n.298).

Nel rispetto dei diritti delle minoranze, inoltre, le culture dei popoli immigrati devono rispettare la legge civile ed i dettami della legge morale naturale in tema di rispetto della dignità umana, tutela della famiglia, libertà dei diritti civili e politici, libertà di culto. Riguardo agli Stati dai quali originano i maggiori flussi migratori, andrebbe inoltre garantita, per il rispetto del principio della giustizia, la reciprocità nelle relazioni internazionali, esigendo la tutela in particolare dei cristiani nei Paesi, soprattutto islamici, nei quali sono sminuiti nei loro diritti se non perseguitati.

Per quanto riguarda la legittima promozione di canali legali per ottenere il rafforzamento dello strumento del ricongiungimento familiare in favore di migranti e rifugiati, non va trascurata, oltre alla ragionevole compatibilità e integrabilità sociale, anche l’attuale tentativo di estendere oltremodo il concetto di “realtà familiare” dei migranti. In tal senso, seppure negare o ritardare il ricongiungimento familiare significa ritardare processi di inclusione sociale e di integrazione, è anche vero che va rigettato con forza il principio ideologico connesso alla “non discriminazione”, che vorrebbe arbitrariamente estendere questo diritto del ricongiungimento anche ai “conviventi” o “uniti civilmente” LGBT. Parliamo naturalmente dei migranti provenienti da Paesi nei quali gli omosessuali non abbiano il riconoscimento dei loro pseudo-diritti o, addirittura, siano perseguitati.

Sempre nell’ottica del rispetto del bene comune dei Paesi d’accoglienza, non può non fare i conti con quella ormai assodata crisi della globalizzazione, che il Covid-19 ha solo contribuito ad accelerare. L’annus horribilis del 2020, oltre al resto, ha finito per certificare che, in condizioni di emergenza sanitaria, potenziale o in atto, gli afflussi incontrollati di migranti possono vanificare sforzi e sacrifici di intere popolazioni. Per questo il 2020, più che l’anno del virus, è stato l’anno del ritorno del confine, del muro, della barriera in senso politico internazionale e nella vita di molti occidentali. Sarebbe discutibile racchiudere tutto nell’accusa di razzismo e di rinascente xenofobia. Ad esempio, se nel 2020 sono stati accertati meno migranti in Europa, è anche vero che nel nostro Paese sono triplicati gli sbarchi, come documentato da Frontex, l’Agenzia europea della guardia frontiera e costiera. La situazione, soprattutto sotto il versante del controllo delle frontiere libiche, è diventata quindi una questione al centro dell’interesse di sicurezza nazionale per l’Italia.

Se si sa che ogni anno arrivano sulle nostre coste tra le 70 e le 100 mila persone condotte da scafisti o mezzi di fortuna, occorre finalmente organizzarsi per non stare sempre ad affrontare le emergenze, situazioni di pericolo e tensione che si presentano ormai ogni estate da almeno trent’anni. E due terzi dei migranti che approdano in Italia dovrebbero essere ripatriati, come riconosciuto anche dalla Commissione europea. Nel Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, lanciato dalle autorità di Bruxelles nel settembre 2020, si esprime infatti chiaramente una convinzione che dovrebbe far pensare. Ovvero che non più di un terzo delle persone che arrivano in Europa dall’Africa hanno diritto ad una protezione internazionale. E questo terzo di migranti che affluiscono ogni anno in Italia non bastano nemmeno più a “compensare” (ove sia ragionevole ed auspicabile una tale situazione sociale) i vuoti lasciati dalla denatalità che opprime l’Italia. Come affermato da uno dei maggiori esperti nazionali di demografia, il prof. Alessandro Rosina, che è ordinario di tale disciplina all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore del “Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali” (Center for Applied Statistics in Business and Economics), «le dinamiche recenti, prima dell’impatto della pandemia, sono state molto più negative delle attese, facendo entrare la popolazione italiana verso un percorso di progressivo declino già a partire dal 2015. Il saldo naturale negativo, ovvero l’eccedenza di decessi sulle nascite, è oramai tale che nemmeno più l’immigrazione è sufficiente a compensarlo» (Alessandro Rosina, L’Italia rischia il collasso, 14 maggio 2021, L’Osservatore Romano, p. 3).

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* Vedi qui il canale YouTube curato dall’autore di questo articolo: Temi di Dottrina sociale della Chiesa.

 

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