Garcia Moreno, il politico cattolico che oggi manca
GOVERNO’ IN NOME DELLA DOTTRINA SOCIALE E DEL VANGELO RIPORTANDO PACE E PROSPERITA’ IN UN PAESE DEVASTATO DALLE IDEOLOGIE LIBERALI E DALLA MASSONERIA
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A cura di Pietro Licciardi
In questi tempi sciagurati, in cui le nazioni sono in mano a caste di politici intrallazzatori, che governano in nome di perverse ideologie e operano badando ai propri interessi invece che per il bene del popolo, quando non sono sotto il controllo di occulte oligarchie, vale la pena ricordare una splendida figura di politico cattolico, che governando secondo i principi della dottrina sociale e del Vangelo in pochi anni, prima di essere assassinato dalla massoneria che ha in odio la religione cattolica e tutto ciò che essa ordina e vivifica, è riuscito a portare pace e prosperità nella sua nazione.
Parliamo di Garcia Moreno, Presidente dell’Equador dal 1859 al 1865 e dal 1869 al 1875.
Garcia Moreno fu un cattolico tutto d’un pezzo, di quelli che cominciano la giornata con la preghiera e non prendono alcuna decisione importante senza aver trascorso qualche tempo in adorazione davanti al Santissimo. Più d’una volta, da Presidente, fu visto, rivestito delle insegne del suo grado, caricarsi sulla spalla la croce nelle processioni e precedere il popolo. Gesti oggi inauditi e probabile causa di impeachment perlomeno mediatico in stati che hanno fatto della laicité una religione.
L’Equador in cui egli decise di impegnarsi politicamente era allora uno Stato in balia degli ideali liberali e massonici e dunque totalmente secolarizzato coi sistemi che furono usati anche nell’Italia risorgimentale: abolizione delle cattedre di diritto naturale e canonico, espropriazione dei beni ecclesiastici, chiusura dei conventi, controllo statale sulla nomina dei vescovi, eccetera. Inoltre il clima politico era reso perennemente incandescente dalle tensioni con i paesi confinanti e dai colpi di Stato che si susseguivano senza sosta.
Fu proprio per difendere i diritti del popolo, della Chiesa e della religione cattolica che Garcia Moreno iniziò ad occuparsi di politica, dapprima fondando dei giornali fortemente satirici e antigovernativi poi diventando capo dell’opposizione in Senato. Ad un certo punto dovette pure rifugiarsi esule in Europa ma non prima di aver concluso una infiammata campagna che trovò il sostegno dell’opinione pubblica per ottenere il permesso d’asilo in Ecuador per i Gesuiti espulsi dalla Nuova Granada, almeno fino a quando dopo l’ennesimo golpe i massoni non li espulsero a loro volta.
Garcia Moreno patì anche il carcere, dal quale riuscì ad evadere. Intanto proseguiva la spoliazione dello Stato e la politica anticattolica con requisizione di conventi che furono adibiti a caserme, persecuzione dei sacerdoti, calunnie del clero a mezzo stampa. Infine nuovi e più pesanti tributi su un popolo già poverissimo e prostrato da anni di lotte. La vendita per un tozzo di pane delle isole Galapagos agli Stati Uniti. fu il colpo di grazia e il malcontento montante portò all’ennesimo cambio di governo
Finalmente Garcia Moreno nel 1860 fu eletto Presidente della Repubblica dell’Equador. Egli era un uomo d’azione e dunque un cattolico intransigente, il cui motto era: «Libertà per tutto e per tutti, tranne che per il male ed i malfattori». Motto che nelle nostre società “democratiche”, in cui scarseggiano statisti anche solo lontanamente paragonabili al nostro Moreno, sembra essere diventato: libertà per tutto e per tutti soprattutto per il malfattori.
Il paese affidato alle cure del neo Presidente era allo sfascio, oberato da debiti spaventosi contratti dai precedenti governi con gli intrallazzatori di tutto il Sudamerica. Ma il nostro non si perse d’animo e il risanamento fu condotto nel modo più ovvio: col taglio drastico delle spese. I funzionari disonesti e incapaci furono subito licenziati, le spese pubbliche furono tutte controllate e quelle fraudolente eliminate. L’istituzione di una Corte dei Conti davanti alla quale far comparire periodicamente gli agenti del fisco, dichiarati personalmente responsabili, completò l’opera. L’assegno presidenziale era versato da Garcia Moreno per metà nelle casse statali e l’altra metà al Fondo per le opere di carità.
Il taglio della spesa pubblica, impresa apparentemente impossibile per le nostre democrazie, avvenne disinfestando la pubblica amministrazione dai parassiti; riducendo l’esercito, che divenne professionale e dunque molto più efficiente; i soldati poi, pagati molto meglio, divennero meno disposti a dare seguito ai pronunciamientos. Altra misura che sarebbe esemplare anche per i nostri governanti, fu la diffusione delle scuole pubbliche non statali affidate a ordini religiosi, cosa che tolse allo Stato il peso dell’educazione pubblica. Altra forma di risparmio con grande guadagno in efficienza fu l’affidamento ad altri ordini religiosi degli ospedali e delle carceri. Allo Stato ovviamente rimase il compito dell’alta supervisione e dell’eventuale sostegno, secondo il principio di sussidiarietà.
Nel 1862 Garcia Moreno chiuse per l’Ecuador quattro secoli di supremazia dello Stato sulla Chiesa stipulando un Concordato che fu il più favorevole al cattolicesimo che la Chiesa ebbe mai avuto. Con esso il Papa riebbe la giurisdizione totale sul clero dell’Ecuador, cosa che contribuì non poco al ritorno dell’ordine nel paese. I preti infatti, da sempre selezionati di fatto dallo Stato erano largamente imbevuto di idee liberali e ciò, oltre a screditarli agli occhi del popolo, li rendeva praticamente proni ai voleri del padrone del momento.
Durante tutto questo Garcia Moreno dovette anche pensare a conservare la libertà dell’Equador, minacciato alle frontiere da vicini bellicosi. Lo fece mettendosi più di una volta alla testa delle truppe, impegnate in diverse guerre sempre vittoriose. Tra l’altro il Paese era minacciato da continue infiltrazione di bande di “liberatori” e da attacchi di “corsari” via mare, le cui navi non di rado vennero abbordate da truppe alla cui testa fu lo stesso Presidente, spada in pugno. Tutto questo stava avvenendo quasi contemporaneamente anche in Italia, ai danni del Regno del Sud. Ma il Presidente Moreno, a differenza del Re Borbone, di fronte ad una guerra mai dichiarata ebbe il coraggio di prendere la seguente risoluzione: «Nessuno potrà mai credere che per salvare quel pezzo di carta che qui da noi viene strappato ogni quattro anni, e che si chiama costituzione, io sia obbligato a consegnare la Repubblica nelle mani dei suoi carnefici». «Quando la legalità basta a salvare la società, sia la legalità; quando non basta, sia la dittatura». Così Garcia Moreno cominciò col far fucilare seduta stante la quinta colonna operante all’interno del paese, sordo a tutti gli appelli – liberali e massonici – di clemenza, poiché «La generosità e la clemenza verso i nemici della Patria sono virtù male intese»,
Alla scadenza del mandato presidenziale Garcia Moreno si ritrovò contro i liberali e tutti quelli che in seguito alle sue riforme dovettero rinunciare a privilegi e intrallazzi. Tuttavia egli riuscì a sventare la risalita al potere di un massone facendo dirottare i voti cattolici e moderati su un personaggio che però si rivelò debole, vanificando in breve l’opera del predecessore. Tuttavia Moreno nelle successive elezioni del 1868 si ricandidò venendo nuovamente e trionfalmente eletto.
Nel suo secondo mandato Garcia Moreno si dedicò a ricostruire lo Stato, non senza apportare una fondamentale modifica alla Costituzione il cui incipit divenne: «Nel nome di Dio, Uno e trino, autore, conservatore e legislatore dell’Universo, la Convenzione Nazionale ha decretato la presente Costituzione». All’articolo primo vi fu la seguente dichiarazione: «la Religione Cattolica Apostolica Romana religione dello Stato ad esclusione di ogni altra» e che lo Stato «la mantiene nel possesso inalienabile dei diritti e delle prerogative di cui le leggi di Dio e le prescrizioni canoniche l’hanno investita con l’obbligo per i pubblici poteri di proteggerla e farla rispettare». In uno degli articoli successivi fu enunciato il principio «che non si può essere elettore o eleggibile, o funzionario di qualunque categoria senza professare la Religione Cattolica».
A chi gli fece notare come tutto ciò era forse eccessivo, il Presidente Moreno rispose: «Perché le nazioni cattoliche dovrebbero lasciar scalfire in casa propria l’unità della fede, quando i sovrani di Londra e Pietroburgo fanno l’impossibile per unificare sotto il rapporto religioso i loro sudditi d’Irlanda e di Polonia?».
Purtroppo Garcia Moreno era amato dal popolo quanto odiato da liberali e massoni e la sua vita, lo sapevano ormai tutti, era appesa a un filo. A chi lo consigliò di circondarsi di una scorta fece notare che non avrebbe avuto modo di proteggersi dalla scorta stessa. Così arrivò il fatale 6 agosto 1875, quando all’uscita della Messa venne letteralmente crivellato di colpi.
«Dios no muere», fu la sua ultima frase. La folla linciò parte dei congiurati; gli altri se la cavarono con condanne miti e con l’esilio.
Si chiuse così l’epopea di un politico cattolico che in nome di Dio e della Chiesa diede benessere e modernizzò un Paese devastato dalle ideologie e dai profittatori che delle ideologie si fanno scudo per corrompere e vessare il popolo.
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Per saperne di più
Garcia Moreno vindice e martire del diritto cristiano