Alcune contraddizioni dell’Ordine dei predicatori e una biblioteca che sta per chiudere!
SI VOGLIONO CHIUDERE I BATTENTI DI UNA BIBLIOTECA ANNESSA AL CONVENTO FIORENTINO DI SAN MARCO, CHE ERA FIORE ALL’OCCHIELLO DELLA CITTÀ MEDICEA…
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Di Benedetta de Vito
Seduta su una panchina che sonnecchia lungo la Via Marcantonio Colonna, a distanza di sicurezza dal mondo, mi sono tolta la mascherina e ho respirato libera il delizioso profumo della pioggia, il sapore di bagnato sulle labbra, la brezza odorosa di libertà e me ne sono rimasta lì, tutta in me, mentre scendevano le prime gocciolone di pioggia.
Ai miei piedi, come in sfarfallata danza, tanti piccioni speravano che, dalla mia borsa benni-bag tirassi fuori un crostone di pane, qualche briciola, un biscotto, ma io nulla avevo ed ero, nel mio grande, fatta quasi una di loro, in armonia con l’acqua sacra che correva giù dal cielo. Il mondo, a capo in su, con i piedi ben radicati in terra, sorrideva nel cielo grigio. Un respiro e via, pronta di nuovo e in corsa a riprendere il cammino nel mondo a capo in giù in cui siamo costretti a vivere, nostro malgrado.
Un mondo al contrario, in eterno carnevale, dove dal piccolo al grande è tutto un rincorrersi di assurdità e contraddizioni. Dal grande appunto e comincio, tuffando le mani nel mazzo, con il Santissimo Ordine dei Domenicani, che festeggia gli Ottocento anni dalla morte del Fondatore, il dolcissimo San Domenico, e lo fa, ohimè, con una capriola che rende vuoto il pieno.
E tanto per cominciare dalla Fonte, mi collego al sito dominicus800.op.org. Dove al Capitolo 10 leggo “Chi era San Domenico?” e faccio un balzo sulla sedia, quando vedo che a corredar lo scritto c’è un’immagine senza volto del grandissimo Santo spagnolo. Vuoto, sì, Lui che era tutto pieno di Spirito Santo. E non mi importa un fico secco, con rispetto parlando, se il tal disegno, pur bello, che adorna la chiesina di Saint-Marie du Rosaire (Vence, in Francia), lo ha fatto un gran pittore di nome Henri Matissee che, addirittura, considerava la cappellina il suo capolavoro…
Metter su un volto muto per descrivere l’identità di una persona è un seme di contraddizione, sconforta, lascia attoniti. Quel viso senza occhi e senza labbra, senza anima direi, sembra dire, anzi gridare, guardatemi, non sono nessuno, seguite un nessuno, al passo, e marameo. Ma perché – mi chiedo, amando i domenicani che mi hanno donato la gemma preziosa che è il mio padre spirituale? Perché, e chiudo gli occhi e sono al principio stesso del mio cammino, tanti anni fa, nella bella chiesa dei Santi Quirico e Giulitta, che apre la sua porta sul Foro di Augusto a Roma. Andavo lì a messa, allora, e il Signore non mi aveva ancora chiamata a seguirlo, accendendo il fuoco nel mio cuore. Che oggi, coronato di spine, in forma di rosa rosa, porta il segno della Croce come stendardo.
Ero lì nella chiesa dedicata ai due martiri romani, mamma e figlioletto, ed era chiesa, pensavo, francescana che ancora oggi i frati custodiscono. Ma i quadri, tutto intorno mi parlavano di un altro Santo, di un altro Ordine. E i cani belli, con la fiaccola in bocca, mi indicavano, a lume acceso, il cammino. Certo, fino a prima, era chiesa domenicana! I domenicani erano il mio cammino…
E torniamo al volto senza volto di Domenico, che per me sonnecchia sempre sotto il suo arancio, l’albero che si può veder, oggi ancora vivo, da una finestrina della stupenda basilica, a Santa Sabina all’Aventino. Il volto, come sappiamo senza studiare psicologia né seguir le orme di Lombroso, è, a modo suo, immagine identitaria della persona, sì, sì, è la nostra identità, chi ti riconosce, ti conosce. E non c’è documento civile che non voglia il suo bel ritratto in fotografia per dir chi sei. E ancora di più, mi viene da dire, oggi, che siamo tutti mascherati con quelle bazze finte, dalle quali spiccano come dalla cella di un carcere, gli occhi spauriti degli italiani. E allora perché usare quella vuota immagine di Matisse per raccontare il dolce Domenico? Perché mostrarlo vuoto lui che era pieno di Dio?
Seguendo nel ragionamento e camminando dietro i bianchi abiti di panno di lana dei domenicani, mi sono imbattuta in un’altra contraddizione dell’Ordine che è dei predicatori, cioè di quanti fanno della Parola e del Vangelo l’arma per cambiare il mondo. E l’arma deve essere affinata e lo studio è strumento di lavoro. I libri, dunque, sono mezzi, nutrimento dello spirito e sentiero del cammino della Sapienza.
Non a caso tra i principi dell’Ordine troviamo San Tommaso d’Aquino, un gigante del pensiero cattolico, il Dottor Angelicus, immerso nei libri e che libri di innumerevoli pagine e di infinito sapere ha scritto. Ebbene, proprio i frati domenicani, che dovrebbero essere i cani da guardia dell’ortodossia, della cultura evangelica, degli scritti mistici e teologici della nostra Santa Romana Chiesa, hanno deciso– insieme al convento fiorentino di San Marco (che è a modo suo simbolo in mura e chiostri di Sant’Antonino, del Beato Angelico, di Girolamo Savonarola…) – di chiudere i battenti di una biblioteca annessa al convento che era fiore all’occhiello della città medicea.
C’era una volta e non c’è più – o meglio è diventato un triste ”fondo” dell’altra biblioteca domenicana, quella di Santa Maria Novella – la biblioteca Arrigo Levasti”, che fino a pochi anni fa era viva, vera, fatta di amici che si incontrano, che discutono, di libri vivi che entrano fin dentro l’anima. Per toccar con il cuore il dolore di questa feroce chiusura – anche la lapide che la raccontava è stata sradicata e lasciato all’incuria il portone d’entrata – ho incontrato sul web il pianto, in forma di filmato su Youtube (“Come ti demolisco la cultura”), dei tanti professori e professoresse, orfani della biblioteca, che alla “Levasti” trovavano il sugo sapiente per i loro studi.
I nomi non li ricordo, ma i volti sì, volti vivi, non come il ritratto di Matisse al nostro dolce Domenico, volti traditi e dispiaciuti e affranti per una chiusura che non si spiega. La ferita sanguina, si grida, ci si dispera e con il ricordo al miele del passato si racconta che, intorno al convento di San Marco, oltre alla Biblioteca, c’erano la Sala per le numerose conferenze, i locali della “Rivista di Ascetica e Mistica”, il chiostro per le mostre… e che la chiesa si apriva ad eventi come il Premio “Beato Angelico”, la medaglia consegnata in nome del Patrono degli Artisti (si veda per esempio la premiazione di Franco Zeffirelli, educato e cresciuto proprio dai frati di San Marco).
Così da qui, dopo aver scritto questo beve articolo, mi unisco, sulla carta, al coro dei professori e chiedo ai frati di San Marco di scegliere tra i bei quadri che lo ritraggono, il volto di Domenico e che non sia quello vuoto di Matisse, ma uno vivo che lo racconti fin nel profondo della sua anima accesa d’amore per il Signore. E, soprattutto, di riaprire la biblioteca “Levasti, ricordandosi che proprio a San Marco, Cosimo I, fece costruir la stupenda Biblioteca di Michelozzo, che fu, e come non ricordarlo e gridarlo qui a gran voce, la prima biblioteca aperta al pubblico! Sì, in questa nostra povera Patria ferita, ci vuole un nuovo Cosimo, un nuovo Rinascimento e anche, diciamocelo, un nuovo Savonarola…