Come costruire una «società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio»?
GIOVANNI PAOLO II CI HA INSEGNATO CHE NELLA SOCIETÀ CRISTIANA TUTTO È IN FUNZIONE DELLA PERSONA UMANA E DELLA SUA REALIZZAZIONE: I SUOI DIRITTI PERSONALI E CIVILI, LA SUA FAMIGLIA, L’ASSOCIAZIONISMO, LO STATO, LE LEGGI, IL MERCATO, LE ORGANIZZAZIONI E LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE (cfr. COMPENDIO DELLA DSC, n. 204). PER QUESTO MOTIVO MOLTI STATI E ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI HANNO NELL’ULTIMO SECOLO CERCATO DI PROMUOVERNE (E DIFENDERNE) L’INVIOLABILITÀ TRAMITE CARTE E DICHIARAZIONI DEI DIRITTI UMANI. NON SEMPRE RIUSCENDOCI…
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Di Giuseppe Brienza*
Nella «società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno ecclesiale della C.E.I., 31 ottobre 1981, n. 3), il principio della centralità della persona umana ha diverse espressioni e realizzazioni. Tutto parte dal riconoscimento (non concessione né prescrizione) dei diritti umani, la cui fonte prima e sintesi è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla dignità trascendente della propria persona (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n.155).
Tra i principali diritti, quelli sui quali si dovrebbero basare tutti gli altri, vi sono:
- il diritto alla vita (dal concepimento fino alla morte naturale),
- il diritto a vivere e costituire una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità,
- il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità,
- il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il proprio sostentamento,
- il diritto al lavoro ed all’iniziativa economica,
- il diritto ad accogliere ed educare i figli secondo un orientamento scelto dai genitori, in conformità al diritto naturale.
Il diritto alla vita ha come un valore riassuntivo e, potremmo dire, ricapitolativo, della dignità unica della persona e dell’intangibilità della vita umana innocente. È per questo che, nell’alfabeto ideale della DSC la lettera “P” non può che stare per centralità della Persona umana. Tra i principali diritti umani che la DSC si propone di promuovere, in primo luogo vi è appunto il diritto alla vita, quello riconosciuto il quale nasce la persona umana. In conformità, fra l’altro, alla bellissima affermazione, che ha anche un preciso e profetico contenuto politico, di santa Teresa di Calcutta nel momento in cui le assegnarono nel 1979 il Premio Nobel per la pace: «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. […] Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uccidere me» (da Nobel lectures, “Peace” 1971-1980, 11 dicembre 1979).
Parlando del “diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità”, non ci collochiamo in un contesto religioso o ideale, bensì nell’ambito di una precisa cornice giuridica internazionale. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) nel 1948, riconosce la famiglia come «l’elemento naturale e fondamentale della società» (articolo 16) e, lo stesso principio, è sancito dal Patto dei Diritti Economici Sociali e Culturali, ratificato da quasi tutti gli Stati membri dell’ONU (compresa l’Italia), in accordo del quale la famiglia deve essere oggetto della «più ampia protezione e assistenza possibili» (art. 10). Non solo però l’attuale legislazione italiana non appare conforme a questi fondamentali principi ma, da almeno tre decenni, le rappresentanze nazionali presso le Nazioni Unite e le sue agenzie non realizzano un’attività volta a sviluppare gli strumenti necessari a perseguire il compimento dei diritti delle famiglie, in modo particolare denunciando i regimi e le circostanze laddove questi sono violati o ignorati. È fondamentale invece che in sede ONU si vigili affinché non ci sia alcuna forma di discriminazione, ad esempio, delle madri che si dedichino esclusivamente alla famiglia o alle famiglie numerose o, infine, nei confronti dei membri più deboli e indifesi, come i bambini concepiti, i disabili, gli anziani e le famiglie che li accolgono.
Per quanto riguarda l’ambito della educazione e dell’istruzione, soprattutto quella nei primi anni di vita, un passaggio grave di violazione dei diritti educativi dei genitori si determina nei Paesi che realizzano un monopolio statale e, per esempio, realizzano programmi di apprendimento che non rispettano i tempi della crescita psico-emotiva e della costruzione dell’identità dei bambini. Facendo ciò, inoltre, evitano di ricorrere sostanzialmente al consenso informato delle famiglie (o tutori) interessati. In questo senso vi è anche il disegno del ruolo educativo della famiglia connesso con l’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030, soprattutto per l’Obiettivo 4 che, fra l’altro, prevede (con termini discutibili ma in fondo preziosi), per gli Stati membri, il fondamentale compito di «garantire istruzione inclusiva, di qualità, per tutti, per tutto l’arco di vita delle persone».
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* Vedi qui il canale YouTube curato dall’autore di questo articolo: Temi di Dottrina sociale della Chiesa.
Il dottor Giuseppe Brienza è il coautore (con Matteo Orlando) del libro “Le Serate di San Pietroburgo, oggi – 56 frecce contro-rivoluzionarie” (Edizioni Solfanelli, euro 15, VEDI QUI)