Il 1° Maggio di Ignazio Silone: lontano anni-luce dagli slogan di oggi!

Il 1° Maggio di Ignazio Silone: lontano anni-luce dagli slogan di oggi!

di Matteo Orlando

NELL’ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DEL NOTO SCRITTORE ABRUZZESE, UN’INTERVISTA SUI  SUOI “STRANI INCONTRI” CON DUE SACERDOTI CHE HANNO SEGNATO LA STORIA DELLA CHIESA ITALIANA DEL XX SECOLO: DON LUIGI ORIONE (1872-1940) E DON LORENZO MILANI (1923-1967)

«Le guerre e le epidemie” disse il vecchio Zompa, 

sono invenzioni dei Governi per diminuire il numero dei cafoni. 

Si vede che adesso siamo di nuovo in troppi”» 

(Ignazio Silone, Fontamara, 1933, p. 70)

 

Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli, nacque a Pescìna dei marsi, in provincia de L’Aquila, il 1º maggio del 1900. In occasione dell’anniversario della nascita del noto scrittore abruzzese abbiamo rivolto alcune domande a Giuseppe Brienza che, all’autore del romanzo-capolavoro Fontamara (1933), ha dedicato fra l’altro un saggio in occasione della XIX edizione del “Premio Internazionale Ignazio Silone” (Pescìna dei marsi, L’Aquila, 4-5 aprile 2014), nell’ambito del Convegno di studi “Gli strani incontri di Ignazio Silone”.

Quali “strani incontri” hanno caratterizzato l’itinerario culturale e spirituale di Ignazio Silone?

Nel Convegno di Pescìna ho parlato soprattutto degli incontri con due sacerdoti che, in modo molto diverso, hanno segnato la storia della Chiesa italiana del XX secolo. Mi riferisco a Don Luigi Orione (1872-1940) e a Don Lorenzo Milani (1923-1967).

Dottor Brienza parliamo dell’incontro con San Luigi Orione?

Diciamo anzitutto che Silone ha dedicato al fondatore della Piccola opera della Divina Provvidenza alcune delle pagine più vive e toccanti dell’opera letteraria che ne ha sancito il successo in Italia, ovvero Uscita di sicurezza (1965). L’incontro con Don Orione è stato un momento determinante nella formazione umana e letteraria dello scrittore abruzzese, come testimonia il carteggio fra i due che va dall’aprile del 1916 al luglio del 1918, gli anni cioè dell’adolescenza più inquieta di Silone che si chiuse con l’adesione al socialismo e la decisione di interrompere gli studi per gettarsi nella lotta politica. Don Orione, come ha scritto il critico letterario Vittoriano Esposito (1929-2012) è stato come Silone sensibilissimo alla “questione sociale” d’inizio Novecento, arrivando a proclami contro lo sfruttamento operaio, le intimidazioni e le minacce dei “padroni”, la rivendicazione d’un più giusto salario e per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore (cfr. L’incontro di due uomini liberi: Don Orione e Silone, in Studi Cattolici, n. 473-474, luglio-agosto 2000). Nell’opera di Silone è quindi diffusa una spiritualità senza dubbio riferibile agli scritti e alla testimonianza del grande sacerdote piemontese, canonizzato da San Giovanni Paolo II nel 2004, al quale rimase sempre riconoscente anche a livello umano. Infatti, sopravvissuto al terremoto di Avezzano (1916), Silone poté proseguire i suoi studi ginnasiali solo grazie all’aiuto di Don Orione, che lo accolse presso i pensionati di Sanremo e di Reggio Calabria.

Quali circostanze possiamo richiamare invece dell’incontro con Don Milani?

Silone ha cercato di penetrare il senso dell’impegno civile del Priore di Barbiana che, come lui, in vita e nelle opere è sempre rifuggito da qualsiasi convenienza o strumentalizzazione politica e culturale. Ciò che direi ha maggiormente colpito lo scrittore è stata la solida fede vissuta e professata dal prete fiorentino: «A giudicare dal suo libro – annota infatti Silone scrivendo della più significativa opera di Don Milani Esperienze Pastorali (1958) –, questo don Milani dev’essere un buon cristiano all’antica, che ha preso sul serio la sua vocazione sacerdotale» (Cronache della steppa, in Tempo presente. Rivista mensile di informazione e discussione, n. 3 – marzo 1959). L’apprezzamento che lo scrittore tributa fin dall’inizio della sua notorietà a Don Milani, definendolo di volta in volta “un prete coraggioso”, un “buon cristiano” o, addirittura, un “santo”, permette di rilevare una affinità spirituale fra i due, resa possibile dal comune, tormentato ma intenso, percorso “vocazionale”. Cattolico di nascita e per l’educazione ricevuta in istituti religiosi dopo la morte, ancora adolescente, di entrambi i genitori, Silone si era in effetti allontanato dalla Chiesa Cattolica nel primo dopoguerra (fra i 17 ed i 20 anni) ma, come ha scritto, piuttosto per «insofferenza contro l’arretratezza, la passività e il conformismo dell’apparato clericale di fronte alle scelte serie imposte dall’epoca». Per questo non lo poteva lasciare indifferente, in un altro passaggio delicato della storia nazionale (la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta), il coraggio e l’anticonformismo di un Don Milani perché, scriveva nell’ultima opera che ci ha lasciato, L’avventura di un povero cristiano, uscita nel 1968, «Non esito ad attribuire ai ribelli il merito di una più vicina fedeltà a Cristo» (p. 19).

Silone come vivrebbe oggi il Primo Maggio?

Direi lontano anni-luce dagli slogan e dai protagonisti tanto della componente della sinistra dem tanto da quella post-(o neo-)comunista. All’insegna quindi del socialismo non marxista che ne ha contrassegnato sin dalla nascita la sua impostazione politica, influenzata da una fondamentale componente religioso-cristiana. Ricordiamo che, dopo aver partecipato nel 1921 alla fondazione del PCI, Silone fu espulso dal Partito Comunista Italiano nel 1931 e, dopo aver partecipato all’Associazione per la Libertà della cultura, scese in campo contro i “fatti d’Ungheria” e in favore dei dissidenti antisovietici. Negli ultimi anni della sua vita fu uno dei punti di riferimento dell’autonomia socialista in Italia, con una propria corrente nel PSI collegata alla League of Religious Socialists (appartenente all’Internazionale socialista), spesso al fianco della causa di Israele. Rimase però, alla fine, “cristiano senza chiesa, socialista senza partito”.

Quale lezione ci lascia Silone?

Quella di un autore anticonformista, che è stato capace di abbracciare la seduzione ideologica del comunismo ma di rialzarsi e rinnegarla pagandone un caro prezzo personale. La rottura con il PCI e la denuncia dei crimini sovietici gli costarono l’inimicizia e l’ostracismo di tutti quegli intellettuali di sinistra ben inseriti nell’apparato della cultura che prontamente lo ghettizzarono. Lo stesso si può dire, a mio avviso, anche di parte della cultura cattolica italiana, che a lungo l’ha ignorato per il ben noto complesso d’inferiorità verso il PCI o per pavidità. Un uomo come Silone che ha tanto osato e tanto sofferto, meriterebbe oggi di essere riscoperto, anche a scuola, al di là dei soliti cliché sull’antifascismo, tanto più da rivedere alla luce della collaborazione in senso anti-comunista che gli storici Dario Bicocca e Mauro Canali hanno documentato nel libro L’Informatore: Silone, i comunisti e la polizia (Luni Editrice, Marzo 2000)…

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