Cure domiciliari ai pazienti Covid: perché tanti no?

Cure domiciliari ai pazienti Covid: perché tanti no?

PRIMA O POI BISOGNA FARE I CONTI CON LA PROPRIA COSCIENZA

Di Gian Piero Bonfanti

Il Ministero della Salute, guidato dal Ministro Roberto Speranza, e l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) hanno presentato nei giorni scorsi un ricorso al Consiglio di Stato contro l’ordinanza con la quale il 4 marzo scorso il Tar del Lazio aveva stabilito che i medici potessero «prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza» nel trattamento dei pazienti positivi al coronavirus.

Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso ed ha di fatto inferto un duro colpo alla recente decisione collaborativa e trasversale del Senato facendoci fare un notevole passo indietro nella cura al Covid-19.

Ricordiamo infatti che il Senato ha approvato quasi all’unanimità un ordine del giorno che impegna il Governo ad aggiornare i protocolli e le linee guida per le cure domiciliari dei pazienti covid-19.

Il Tar del Lazio aveva infatti anticipato già da più di un mese quella decisione poi presa dal Senato.

Ricordiamo che si tratta di un’apertura alle esperienze che i medici in prima linea hanno acquisito sul “campo” ed un dialogo su cure ben documentate e provate, senza necessariamente attenersi ai protocolli AIFA, che prevedono che le cure domiciliari siano limitate alla somministrazione di paracetamolo (tachipirina) e all’applicazione del protocollo della “vigile attesa”.

Ad un primo sguardo potrebbe sembrare il solito gioco commerciale condotto dalla Big Pharma, ovvero un sistema politico controllato totalmente da interessi economici dei produttori di farmaci e vaccini.

Crediamo tuttavia che il problema vada ben oltre.

Se osserviamo infatti chi sono i produttori dei vari medicinali che vengono consigliati per le cure domiciliari notiamo che sono i medesimi produttori dei vaccini stessi.

Ma allora cui prodest?

Il problema a nostro avviso va ricercato nelle responsabilità e nelle coscienze delle persone.

È chiaro oramai a tutti, ed è un’affermazione oramai anche sdoganata ed accettata, che la responsabilità della morte di molte persone sia da attribuire al disorientamento ed alla incapacità di reagire prontamente alla pandemia di covid-19.

Il panico che ne é scaturito ha portato all’applicazione di cure probabilmente non idonee: si parla infatti molto spesso delle intubazioni alle volte non necessarie, al sovraffollamento nei reparti ospedalieri, alla mancanza di cure domiciliari o ancor peggio proprio alla somministrazione di paracetamolo e all’applicazione del protocollo della vigile attesa.

Ora, a nostro avviso, nasce qui il problema. Più che di interesse economico, si tratta di dover fare i conti con le scelte effettuate ed imposte.

Il grande peso di essere responsabile dell’applicazione di protocolli errati è sicuramente qualcosa che può provocare profondi rimorsi.

Nel caso del ministro Speranza, il quale ha pubblicato anche un libro palesando le sue scelte di natura ideologica, il rimorso sarà ancora più grande. E ciò potrebbe capitare a tutti gli “esperti” che comparivano ogni giorno in televisione, spargendo panico, diffondendo bollettini di guerra e pareri spesso discordanti.

Il problema non è da poco, si tratta di dover ammettere i propri errori.

Non stiamo parlando di qualcuno che appartiene alla storia, stiamo parlando dell’attuale ministro della salute, colui che ha visto nel post covid-19 «una nuova possibilità di costruire un’egemonia culturale su basi
nuove». Lo stesso che ha scritto nel suo libro: «un’opportunità unica per radicare una nuova idea della sinistra».

Purtroppo essere ideologizzati quando si tratta di coprire ruoli decisionali porta a fare scelte contro il bene comune.

Probabilmente in preda ai deliri di onnipotenza di banchi con rotelle, monopattini e lustrini arcobalenati, imporre dei protocolli senza averne competenze specifiche può essere sembrato quasi un gioco.

Ora però è arrivato il momento di fare i conti con la propria coscienza, e più avanti col giudizio di Dio.

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