Da “Utero in affitto” a “Gravidanza Solidale”: le parole usate come propaganda politica
LA “GRAVIDANZA SOLIDALE” È L’ENNESIMO TENTATIVO DI RENDERE QUALCOSA DI PROFONDAMENTE INNATURALE E LESIVO DELLE DIGNITÀ UMANA, NON SOLO ACCETTABILE MA ANCHE UN ATTO DI BONTÀ E, APPUNTO, DI SOLIDARIETÀ
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Di Sofia Prezzia (Gruppo MenAlive – I Ragazzi dell’Opera di Birgi)
In questi giorni ha ripreso vigore il dibattito sull’approvazione del disegno di legge Zan-Scalfarotto che con la scusa di punire le aggressioni sia verbali che fisiche nei confronti delle persone con orientamento omosessuale vorrebbe introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado, quindi a partire fin dalla scuola materna, l’insegnamento – ma sarebbe il caso di dire “indottrinamento” – delle teorie gender.
L’accusa principale mossa a questo disegno di legge sarebbe un ritorno al reato di opinione come avveniva nelle dittature del secolo scorso, dove il diritto alla libertà di espressione e di pensiero fu abolito.
I promotori del ddl Zan etichettano chiunque vi si opponga come omofobo, bigotto, retrogrado – e chi più ne ha, più ne metta – e ovviamente in queste categorie vi fanno rientrare i provita, le aree politiche di centro destra e i cristiani (poi se sono pure cattolici, apriti cielo!).
Tuttavia, è divertente e allo stesso tempo paradossale che molte delle critiche al ddl in questione siano arrivate da diverse associazioni femministe, addirittura da Arcilesbica, e che pochi giorni fa è stato pubblicato un appello apertamente contrario al ddl Zan a firma di 161 esponenti dell’area di centro sinistra, in cui troviamo anche il nome di Aurelio Mancuso, ex presidente dell’Arcigay e Francesca Izzo, politica e storica femminista. Anche loro bigotti, omofobi e fascisti?
Un altro tassello fondamentale di questa vicenda che si inserisce all’interno della cornice di “diritti” a cui fa appello il ddl Zan, è il disegno di legge presentato alla Camera dei Deputati dagli onorevoli Guia Termini, Doriana Sarli, Riccardo Magi, Nicola Fratoianni ed Elisa Siragusa sulla regolamentazione della “Gravidanza Solidale”. Questo ddl è la controrisposta alle due proposte di legge, presentate sempre alla Camera dei Deputati nel settembre 2020, di Giorgia Meloni e Mara Carfagna, con cui richiedevano di rendere l’utero in affitto un crimine a livello internazionale cosicché anche gli italiani che ricorrono a questa pratica all’estero possano essere perseguiti legalmente al rientro in Italia.
Quando si presenta un disegno di legge, la ratio che vi sta alla base è cercare di introdurre nell’ordinamento giuridico di un Paese e nella sua società un concetto, un modus operandi, un pensiero e per far ciò è fondamentale abituare le persone alla “novità” che si vuole regolamentare attraverso la legge.
Per rendere questioni complesse e spesso controverse facilmente comprensibili alla massa si inizia a chiamare le cose con nomi diversi da quello che sono realmente con il fine di indorare la pillola e renderlo accettabile per l’opinione pubblica; è un lavoro per cui occorrono anni e anni e in questo le televisioni e i media giocano un ruolo di primo piano.
Perché una cosa è dire “la morte dolce”, un’altra è dire “iniezione fatale”; una cosa è dire “interruzione volontaria di gravidanza”, un’altra è dire “uccisione di un bambino dentro la pancia della mamma fino alla dodicesima settimana di gestazione”; una cosa è dire “gravidanza solidale”, un’altra è dire “utero in affitto”, “surrogazione di maternità”, “mercificazione del corpo della donna” e “compravendita di bambini”.
Chiamando le cose con il loro nome, l’idea che ci si fa su di esse è più vicina alla realtà. Al contrario, i manipolatori dell’antilingua creano espressioni fuorvianti che, ripetute come un mantra portano a non fare più caso alle cose che dovrebbero indicare.
La “gravidanza solidale” è l’ennesimo tentativo di rendere qualcosa di profondamente innaturale e lesivo delle dignità umana, non solo accettabile ma anche un atto di bontà e, appunto, di solidarietà.
Questa proposta di legge prevede che la donna che porta avanti la gravidanza per un’altra coppia – e cioè che affitti il proprio utero ad altri – sia economicamente stabile, abbia avuto già almeno un figlio e sia in età fertile.
La coppia che l’affitta per farsi fare un figlio non deve un compenso in denaro alla donna/incubatrice umana ma al massimo le deve garantire un rimborso spese e coprire l’eventuale perdita di reddito. Chi traccia il confine tra ristoro di una spesa effettivamente sopportata e retribuzione per una prestazione offerta?
Infatti, il fatto che alla donna che presta il suo utero non sia dovuto un compenso economico, lascia il tempo che trova poiché le spese mediche che si affrontano durante una gravidanza hanno costi elevati, ancor di più nei casi di maternità surrogata, dove la gravidanza subisce una medicalizzazione esponenziale dato che la gestante è sottoposta a molteplici esami per conoscere lo stato di salute del bambino, il quale se dovesse presentare delle patologie, come ad esempio la sindrome di Down, potrebbe essere abortito sol perché non sano e perfetto come richiesto dai “genitori”.
Nei contratti di maternità surrogata, infatti, spesse volte sono presenti delle clausole in cui si specifica che il bambino verrebbe adottato dalla coppia che lo ha commissionato solo se sano e in salute; si sfocia così nella dinamica dell’aborto selettivo e della mentalità eugenetica.
L’utero in affitto apre una serie innumerevole di conseguenze complicate ed angoscianti a livello umano ed etico che la propaganda progressista del pensiero unico cerca di proposito di non trattare.
Soltanto per fare alcuni esempi:
Le coppie, sia etero che omosessuali, che vogliono a tutti costi avere un figlio e decidono di utilizzare la maternità surrogata spesso si rivolgono a donne in condizioni di precarietà che trovano in Paesi poveri come l’India e l’Ucraina.
La donna in condizioni di povertà e di disagio offre il suo utero come mezzo di scambio per ottenere denaro; a volte sono anche vittime di tratte e quindi costrette a farlo; cosa è questa se non mercificazione del corpo e prostituzione?
Questa è la prima ragione per cui, molte associazioni femministe, anche se vicine al mondo Lgbtq+ e progressista, sono contrarie alla maternità surrogata.
Sempre per contratto, alla madre durante il parto non è permesso vedere né tantomeno abbracciare il figlio appena nato, gli viene portato via all’istante.
Qui si innescano due violenze, una nei confronti della donna che dopo aver portato in grembo il suo bambino non solo non ha nessun diritto su di esso ma non lo può neanche salutare; l’altra a danno del bambino che dopo aver vissuto per nove mesi dentro quella donna e averla conosciuta e instaurato con lei il primo contatto da quando è venuto al mondo, le viene strappato e dato nelle braccia di estranei.
Il bambino non è frutto di una relazione di amore ma diventa oggetto di desiderio di una coppia di adulti o di persone single che vogliono vivere l’esperienza genitoriale come se fosse una qualsiasi altra cosa da aggiungere alla lista delle cose da fare prima di morire.
Essendo il bambino scelto per caratteristiche genetiche, dato che in caso di sterilità dei genitori adottivi si possono acquistare da apposite banche il seme e gli ovuli, se dovesse presentare nel corso della gestazione o dopo la nascita delle problematiche di salute potrebbe essere abortito o abbandonato.
Solitamente, all’interno dell’utero della gestante non viene impiantato soltanto un embrione poiché c’è sempre la probabilità che non attecchisca e si può verificare una gravidanza (pluri) gemellare. In questi casi, se la volontà dei “genitori” è quella di volere un solo figlio, oppure uno dei feti è affetto da una qualsiasi patologia, questi potrebbero decidere di ricorrere alla cosiddetta “riduzione embrionaria” (altra espressione dell’antilingua per nascondere l’aborto selettivo).
Vi invito anche a riflettere sul fatto che, potenzialmente, il bambino nato tramite la pratica della maternità surrogata potrebbe avere 5 genitori: la donna che ci mette l’ovulo, l’uomo che ci mette il seme, la donna che ci mette l’utero e i due genitori adottivi che possono essere o un uomo e una donna o due donne o due uomini. Questo nuovo essere umano è figlio di tutti e allo stesso tempo di nessuno.
Per inciso, il ddl sulla “gravidanza solidale” prevede l’accesso all’utero in affitto solo per le coppie etero. Ora, però, se questo ddl venisse approvato assieme al ddl Zan, si verificherebbe una situazione curiosa: una coppia gay potrebbe aggirare il divieto di adozione, appellandosi al reato di discriminazione per orientamento sessuale qualora non gli venisse consentito l’accesso all’utero in affitto.
A chiusura di questo breve elenco delle implicazioni che scaturiscono dalle pratiche di surrogazione della maternità, è importante sottolineare come dietro all’utero in affitto – che viene fatto passare come atto di solidarietà e amore dove un bel gruppetto di persone collabora per far nascere un bambino che sarà il più amato del mondo – c’è un giro di interessi economici enormi che inizia con le banche del seme e degli ovuli che li acquistano per centinaia di dollari da persone giovani che magari hanno bisogno di denaro per pagarsi gli studi, passa per le cliniche che praticano la fecondazione assistita e il congelamento degli embrioni e finisce con le donne che si fanno pagare per portare nel loro grembo l’ovulo di un’altra fecondato con lo sperma di chi sa chi, che appena nato finirà nelle mani di altri.
Questa è la gravidanza solidale, questo è l’utero in affitto e la maternità surrogata.
Impariamo a non farci abbindolare da termini gentili per coprire azioni contro la natura stessa e che ledono la dignità delle persone che ne rimangono vittime, primi fra tutti i bambini!