Se l’ONU non è sensibile ai temi della natalità…

Se l’ONU non è sensibile ai temi della natalità…

NEI PAESI RICCHI DA MEZZO SECOLO ORMAI SIAMO AD UNA CADUTA VERTICALE DEL TASSO DI NATALITÀ, CON CONSEGUENZE GRAVI SULL’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE. MA LA CRESCITA DEMOGRAFICA È ASSOCIATA ANCHE ALLO SVILUPPO ECONOMICO E SOCIALE E, PERCIÒ, UNA “POLITICA DELLE NASCITE” LUNGIMIRANTE E DECISA DOVREBBE ESSERE ALLA BASE DI QUALSIASI STRATEGIA EFFICACE DI “SVILUPPO GLOBALE”. LO RACCOMANDA IL COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA (n. 483), MA CHE NE PENSANO AL “PALAZZO DI VETRO”?

Di Giuseppe Brienza*

L’Italia, come sappiamo, sta drammaticamente invecchiando. Sta vivendo, ha detto Papa Francesco in occasione della 43a Giornata Nazionale per la Vita della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), il suo «inverno demografico». E siccome la denatalità sta mettendo in pericolo il futuro del nostro Paese, «cerchiamo di fare in modo che finisca e fiorisca una nuova primavera di bambini e di bambine», ha raccomandato il Pontefice all’Angelus del 7 febbraio 2021.

Parlare di crescita e di uscita dalla crisi che stiamo attraversando senza affrontare il tema della ripresa della natalità è semplicemente miope se non irresponsabile. Le misure previste prima della crisi da Covid-19, di ordine economico e legislativo, non sono assolutamente sufficienti. Di fronte ad una emergenza come quella che stiamo attraversando serve una scelta forte, sia di carattere quantitativo (ad es. assicurando uno stipendio alle neo-mamme oppure mettendo a disposizione a chi si deve sposare alloggi a costi calmierati), sia di carattere qualitativo (ad es. dando maggiore sostegno alle aziende familiari che assicurano maggiore stabilità economica alle famiglie o prevedendo una riserva di posti nei concorsi pubblici per i candidati giovani da poco sposati).

Gli ultimi dati Istat, infatti, sono impietosi: nel 2020 certificano una situazione demografica nazionale peggiore dall’Unità d’Italia ad oggi. La “pandemia” ha peggiorato ulteriormente la dinamica demografica nel nostro Paese, con un nuovo minimo storico di nascite e un massimo storico di decessi nell’annus horribilis che ci siamo da poco lasciati alle spalle. Nel 2020 sono calate del 3,8% le nascite: quasi 16 mila in meno rispetto al 2019, visto che nello scorso anno sono stati iscritti in anagrafe per nascita soltanto 404.104 bambini. Sono saliti invece del 17,6% i decessi: quasi 112 mila in più rispetto al 2019. Nel 2020 sono state infatti cancellate dall’anagrafe per decesso 746.146 persone.

Alla fine dell’anno scorso la popolazione residente in Italia risulta inferiore di quasi 384mila unità rispetto all’inizio dell’anno, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze, ha calcolato l’Istat evidenziando gli effetti negativi prodotti dall’epidemia da Covid-19. Il deficit di «sostituzione naturale» tra nati e morti, il cosiddetto saldo naturale, è inferiore solo a quello record del 1918 (-648 mila), quando l’epidemia di «spagnola» contribuì a determinare quasi la metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quell’anno. Nel complesso al 31 dicembre 2020 risiedono in Italia 59.257.566 persone, in calo dello 0,6%.

Crolla anche il numero dei matrimoni celebrati: 96.687, -47,5% sul 2019, il calo riguarda soprattutto (-68,1%) i matrimoni religiosi, mentre diminuiscono del 29% quelli con rito civile.

Se non si inverte la rotta, il problema dell’invecchiamento della popolazione avrà effetti anche sul sistema complessivo del welfare italiano. Ogni anno che passa, infatti, la spesa per le pensioni pubbliche supera i contributi versati di un centinaio di miliardi di euro (circa). Si tratta dello scarto più vasto dell’Unione Europea! La differenza fra quanto lo Stato riceve in contributi previdenziali e quanto versa in pensioni viene colmata grazie alle tasse e al deficit pubblico e, se si considera lo squilibrio causato dalla crisi sanitaria, capiamo bene come possono apparire le prospettive della nostra società e di quelle occidentali in generale.

Ma nell’ambito delle organizzazioni internazionali, il tema della natalità non trova grandi sbocchi. La questione che, secondo le agenzie dell’ONU, dovrebbe essere messa all’attenzione degli Stati, è piuttosto la “sostenibilità demografica”, in pratica quei “diritti riproduttivi” che equivalgono all’aborto libero e gratuito ed alla sterilizzazione volontaria o “forzata” nei casi degli abusi perpetrati ai popoli dei Paesi poveri.  Quello della “sostenibilità demografica”, tipica espressione di neolingua orwelliana, è un tema per esempio trasversale agli Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione propalato nel settembre 2015 ai Governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs  in un programma d’azione nel quale la famiglia e la natalità hanno ben poco spazio nei 169 “target” o traguardi posti alla Comunità internazionale. Per i “grandi della terra”, imbeccati dalle lobby che se la comandano all’Onu e all’Ue, le questioni importanti per lo sviluppo sono piuttosto temi ideologici come la “parità di genere” e il contrasto al “cambiamento climatico”, solo per citarne solo alcuni. Ma questi, nonostante la Propaganda, non sono certo “Obiettivi comuni” di sviluppo, anzi…

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* Vedi qui il canale YouTube curato dall’autore dell’articolo: Temi di Dottrina sociale della Chiesa.

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