La labilità mentale, e culturale, non appartiene agli apostoli ma a teologi e cristiani “adulti”
SAN PAOLO AVREBBE VISSUTO UNA VITA ROCAMBOLESCA FINO AL MARTIRIO PER UN’AUTOSUGGESTIONE?
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Di Diego Torre
Sorridono ancora con sufficienza i razionalisti di tutti i tempi; i teologi e i cristiani “adulti” dissimulano il loro imbarazzo per quei creduloni di credenti per i quali la Resurrezione è un evento reale, anzi l’evento per eccellenza e non un mito tutto simbolico. Esso infatti è un mistero centrale della nostra fede; senza di esso il Cristianesimo crolla.
Esclusa l’ipotesi del trafugamento fraudolento (vedi qui), gli increduli puntano allora sulla labilità mentale e culturale degli apostoli. Sembra di sentire la domanda altezzosa: “Cosa volete che capiscano quei poveri pescatori senza studi alle spalle? Ignoranti e psicologicamente depressi, si saranno autosuggestionati e avranno visto ciò che non era!”
Ma nulla fa pensare nella vita degli apostoli ad una predisposizione in tal senso. Sono persone psicologicamente equilibrate, lavoratori duri e concreti, con famiglia a carico, a volte rozzi e materiali, e inoltre non credono e neppure comprendono la Resurrezione. Dopo la morte di Gesù le preoccupazioni sono assolutamente funebri: preparare teli, lenzuoli, unguenti, recuperare il cadavere, comprare il campo per la sepoltura. I sentimenti di cui erano pervasi erano paura, scoramento e delusione; altro che speranza di rivederLo!
Come potevano autosuggestionarsi se convinti esattamente dell’opposto, ovvero che tutto era finito? Autosuggestionarsi tutti insieme nello stesso momento?
E se si trattasse di un’autoconvinzione, perchè ogni volta non Lo riconoscono ed Egli deve convincerli della Sua identità, mangiando con loro e ritornando una seconda volta nel cenacolo soltanto per manifestarsi a Tommaso? Le autosuggestioni non mangiano.
E non sembrano psichicamente labili, neanche le guardie al sepolcro, né le donne ivi recatesi, nè Paolo, nè i 500 a cui appare (1 Cor. 15,16), né i discepoli di Emmaus.
Ben 3 anni dopo si converte Paolo perché gli appare Gesù. Il persecutore dei cristiani, sperava forse così tanto di vedere Gesù risorto che la sua mente ha creato un’apparizione che lo butta da cavallo e lo rende per tre giorni completamente inabile finchè non giunge Anania, a cui (anche lui) era apparso Gesù, stesso, per guarirlo? Oppure Paolo vivrebbe una vita rocambolesca fino al martirio per un’autosuggestione?
Paolo è un uomo colto, dal forte carattere e dalla volontà ferrea e dopo duemila anni ancora ci testimonia: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15, 3-8). La data di queste parole è il 56, o il 57 d.C.