Il Sabato Santo: l’ora della Madre
IL SABATO SANTO IN COMPAGNIA DELLA VERGINE MARIA RICORDANDO LA DISPERAZIONE DI GIUDA E IL RITORNO DI PIETRO
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Di Enzo Vitale
Il Sabato Santo è considerato dalla Chiesa “un giorno senza liturgia”.
Il Sabato Santo domina il Silenzio.
Non si celebra Messa. Tutto il creato, attonito e smarrito di fronte alla morte del suo Creatore, tace.
E la Chiesa è invitata al silenzio!
Una sorta di lutto abbraccia il mondo… perché, si sa, davanti alla morte “tutto è perduto!”… questo almeno si pensava fino all’avvento di Cristo.
Eppure c’è una “Domina che domina”, in questo silenzio assordante.
È la Vergine di Nazareth, divenuta per disegno divino Madre del Galileo e, sotto la Croce, la Croce del suo stesso Figlio e per richiesta dello stesso Figlio, Madre di tutti i credenti.
Sì, la giornata di oggi è la giornata della Madre di Dio.
In alcuni luoghi, è tradizione celebrare, nel pomeriggio del Sabato Santo, un momento di preghiera dedicato – o sarebbe più giusto dire – in compagnia della Vergine Maria.
Lei, che dopo la morte del Figlio, colei a cui è stato tolto il cuore dal petto, come per ogni madre che assiste alla morte del frutto del proprio grembo, trova la forza di mettere assieme coloro che erano i suoi amici.
Sa bene che le persone che si rifugiano presso di Lei non sono persone qualunque.
C’è Giovanni, il discepolo che lui amava, ma c’è anche Pietro, con gli occhi pieni di lacrime per averlo tre volte rinnegato, ci sono le donne, che senza timore alcuno, hanno sostato con Lei sotto la croce, ci sono gli altri discepoli, quelli che sono scappati, lo hanno abbandonato e lo hanno lasciato da solo.
Ne manca uno.
Manca lui, quello che sarebbe stato meglio non fosse mai nato.
E, certamente, il Suo pensiero sarà andato anche a lui che, nella disperazione, non ha saputo tornare a Cristo.
Fulton J. Sheen scrive: «Pietro si pentì nel Signore, mentre Giuda si pentì in sé stesso. La differenza era enorme, come quella che vi può essere tra il sottoporre una causa all’autorità Divina e il sottoporla a sé stessi; tra la Croce e il lettino dello psicanalista.
Giuda riconobbe di aver tradito il «sangue innocente» ma non volle mai esserne lavato. Pietro sapeva di aver peccato e cercò la Redenzione. Giuda sapeva di aver commesso un errore e cercò l’evasione, diventando il capolista di una lunga serie di fuggitivi che voltano le spalle alla Croce. Il perdono divino ha in sé il presupposto della libertà umana, mai quello della sua distruzione. Chissà se Giuda, fermo sotto l’albero dal quale gli sarebbe venuta la morte, abbia guardato, attraverso la vallata, l’Albero dal quale gli sarebbe potuta venire la Vita.
Giuda era il tipo che dice: «Sono un cretino!»; Pietro quello che dice: «Sono un peccatore!».
È paradossale, ma noi cominciamo a essere buoni soltanto quando ci accorgiamo di essere cattivi. Giuda sentì il disgusto di sé, che è una specie d’orgoglio. Pietro non aveva avuto esperienze deplorevoli e la sua fu “metànoia”, un mutamento del cuore. La conversione della mente non è necessariamente la conversione della volontà.
Giuda andò al confessionale del padrone che l’aveva pagato; Pietro a quello di Dio. Giuda si addolorò per le conseguenze del suo peccato come una donna nubile si addolora per la sua gravidanza. Pietro soffriva per il peccato in sé, perché aveva ferito l’Amore.
La colpa non accompagnata dalla speranza in Cristo è disperazione e suicidio. La colpa accompagnata dalla speranza in Cristo è misericordia e gioia.
Giuda riportò il denaro ai sacerdoti del tempio. È sempre così, quando disertiamo il Signore per cose terrene, prima o poi ci prende il disgusto: quelle cose non le vogliamo più. Avendo amato quanto vi è di meglio, nient’altro ci può appagare. Il tradimento ai danni della Divinità, anche se minimo, è sempre eccessivo nei confronti del valore di ciò che è Divino. La tragedia di Giuda è che sarebbe potuto essere San Giuda».
Chissà se anche Giuda, un attimo prima di togliersi la vita, avrà avuto un pensiero a quella Donna, Madre anche per lui.