Monsignor Rino Fisichella: “la profezia di Fatima rimane aperta”
L’elezione a successore di Pietro del polacco Karol Wojtyła aveva suscitato grande allarme nei diversificati centri del potere dittatoriale dell’allora URSS…
–
Di Mons. Rino Fisichella*
È arduo dimenticare la data del 13 maggio 1981. Come un fulmine a ciel sereno la notizia dell’attentato a Giovanni Paolo II arrivò in un attimo in tutti gli angoli della terra.
Pensare di uccidere un Papa non è un fatto irrilevante. Certo, la storia ha conosciuto molti papi martiri, ma nell’epoca moderna nessuno si è mai azzardato a ricalcare le orme di Nerone e Diocleziano, per citare i più famosi. Al massimo, ci si incontra con l’arroganza di Napoleone e di Hitler che, pur nella gravità dei fatti, non si sono spinti a uccidere il Papa. Come si sa, il primo portò in esilio prima Pio VI e non contento fece altrettanto con il suo successore Pio VII. Il secondo aveva intenzione di fare prigioniero Pio XII, il quale rispose che il Führer avrebbe portato in esilio Eugenio Pacelli non certamente il Papa.
L’elezione a successore di Pietro del polacco Karol Wojtyła aveva suscitato grande allarme nei diversificati centri del potere dittatoriale dell’allora URSS. Ricordo in proposito un particolare che mi venne raccontato dal Prof. S. Grygiel, grande amico di Giovanni Paolo II perché era stato suo studente all’Università di Lublino e che lo stesso Papa aveva voluto come docente all’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, fondato proprio il giorno dell’attentato.
Mi raccontò il professore che dopo alcuni mesi dall’elezione, in una conversazione con il Papa lo aveva informato di strani movimenti sospetti che si erano verificati. Il Papa disse semplicemente: «Sono già arrivati? Non hanno perso tempo». Chi fossero è facile immaginarlo. D’altronde, il cardinale arcivescovo di Cracovia era tenuto ben sotto controllo, come la maggioranza dei suoi sacerdoti e fedeli, dai servizi segreti del suo Paese.
Le pagine che abbiamo tra le mani sono il desiderio di non far dimenticare i drammatici momenti dell’attentato. Tanto si è scritto in proposito, e molto si dovrà ancora scrivere per giungere a delle conclusioni coerenti. Questo libro di Antonio Preziosi ha il merito di porre l’attentato come una chiave di lettura dell’intero pontificato, per evidenziare quanto Giovanni Paolo II abbia visto in quel fatto una “rinascita spirituale”.
Preziosi si rivela un eccellente interprete: analizza i dati, li mette in relazione e cerca di trovare una via per uscire dal labirinto in cui è racchiusa la drammatica vicenda che ancora ai nostri giorni mostra aspetti inediti e spesso contraddittori. Ci si incontra con le versioni più strampalate, costruite di volta in volta da Ali Agca, create intenzionalmente per portare fuori pista e per offrire ai suoi maniacali interventi un palcoscenico su cui recitare ancora come protagonista, senza rendersi conto che per lui il sipario è chiuso da tempo. Le parole di perdono pronunciate da san Giovanni Paolo II sono come una pietra tombale perché portano con sé l’obbligo a dimenticare l’odio che ha mosso la mano omicida.
In questo contesto, Preziosi non si stanca di analizzare con dovizia di particolari tutti gli elementi che emergono dai dossier e dalle testimonianze, cercando di trovare anche nelle molteplici coincidenze una traiettoria per comprendere un piano più ampio di quello descritto dalle cronache. A questo tuttavia aggiunge una visione spirituale che arricchisce non poco queste pagine così dense. D’altronde era stato proprio Giovanni Paolo II a voler imprimere a questo evento una lettura di questa intensità. Non avrebbe potuto essere diversamente: “Una mano ha voluto uccidere; un’altra mano ha deviato il colpo mortale”. Una volta giunto alla Cappella dell’apparizione a Fatima, il Papa aveva detto: “Non ci sono semplici coincidenze nei disegni della Provvidenza”. L’attentato avveniva nel giorno della prima apparizione della Vergine a Fatima a Giacinta, Francesco e Lucia. Giovanni Paolo II doveva necessariamente andare oltre le coincidenze, perché nella sua vita tutto parlava di un piano divino che poco alla volta si costruiva.
L’autore si muove con facilità nel ricostruire questo percorso, perché appartiene a quella generazione che ha trovato in Giovanni Paolo II una guida solida e sicura per dare testimonianza della propria fede. San Pietro, Fatima, Collevalenza, Padre Pio, Suor Faustina… quanti elementi interconnessi che aiutano a comporre il quadro dell’esistenza di Karol Wojtyła oltre le semplici coincidenze! Tutto si può spiegare perché quell’uomo aveva un alto senso della libertà e della responsabilità con cui rispondere alla chiamata di Dio.
Nella lettura di queste pagine mi sono sentito più volte coinvolto. Ad alcuni fatti descritti ho partecipato direttamente e questo mi ha permesso di prendere parte a eventi decisivi: per quanto riguarda il mio apporto, si tratta certamente di un corollario insignificante, tuttavia, hanno
segnato la mia esistenza in maniera indelebile.
Il 13 maggio 1981, nel pomeriggio, con alcuni studenti del Liceo Virgilio – dove insegnavo – mi trovavo al “Colle La Salle” in via dell’Imbrecciato, una scuola dei Fratelli delle Scuole Cristiane dove abitavo e svolgevo il ministero di Cappellano. All’epoca ero anche Assistente dei giovani di Azione Cattolica della mia Diocesi di Roma e si era pensato a un pomeriggio da vivere insieme in allegria. Nel mezzo delle chiacchiere e delle risate arriva la notizia dell’attentato. Ci guardammo tutti in faccia increduli. Alcuni giovani frères erano con noi e il divertimento si trasformò subito in uno stato di smarrimento. Non pensai troppo e decisi subito di chiamare Luigina e Claudio, responsabili diocesani dei giovani per organizzare una veglia di preghiera in Piazza san Pietro. Chiesi di coinvolgere i responsabili di Comunione e Liberazione e altri gruppi, per raccogliere quanti fossero stati disponibili intorno all’Obelisco al centro della Piazza per una veglia di preghiera. Era già tramonto inoltrato, e per tutta la sera non cessammo di intonare canti e preghiere. La Piazza era ormai vuota e solo noi eravamo animati dal desiderio di dare una testimonianza di preghiera per la salute del Papa. A un certo punto, vidi che mons. G. Canestri, vicegerente della Diocesi, era presente su un lato della piazza con la corona del Rosario in mano e il volto molto teso. Mi avvicinai, lo salutai e lo invitai a venire dai giovani per pregare con noi. Mi ringraziò affettuosamente e mi disse che preferiva rimanere in disparte, avrebbe continuato ad accompagnarci rimanendo nel silenzio della preghiera e ai margini della piazza. Verso la conclusione della preghiera, si presentò in piazza il Sostituto alla Segreteria di Stato, S.E. Eduardo Martínez Somalo. Ci ringraziò tutti con parole non di circostanza, invitandoci a pregare, ma ricordandoci che si era fatta sera tardi ed era opportuno anche ritornare a casa. Il disorientamento comunque era tale che nessuno sapeva cosa fare al di fuori di pregare.
La seconda circostanza descritta dalle pagine di Preziosi riguarda l’intenzione di Papa Giovanni Paolo II di rendere pubblico il “terzo segreto” di Fatima. Non posso dimenticare la telefonata di S.E. mons. T. Bertone, all’epoca segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, con la quale mi invitava a raggiungerlo al dicastero. Mi metteva al corrente della decisione del Papa e dell’esigenza di accompagnare la pubblicazione del “segreto” con un Commento teologico a firma del Prefetto, il card. Ratzinger. Come Consultore della Congregazione che aveva le mani in pasta con quella tematica, mi veniva chiesto un contributo. Con la mania tipica del professore, chiesi a mons. Bertone di poter vedere il testo originale, visto che avrei dovuto scrivere in proposito, ma la sua risposta fu che aveva già preparato il testo in copia dattiloscritta e potevo lavorare con quello. Non fui molto entusiasta della risposta, ma non c’erano alternative. Il Commento teologico di J. Ratzinger venne poi pubblicato con una mia introduzione dove, tra l’altro, scrivevo: “Per i contenuti che abbiamo espresso in questa breve presentazione, tuttavia, ci sia permesso pensare che questo tipo di profezie non possono essere considerate compiute. Se così fosse, verrebbe meno la perennità del messaggio che ha il suo fondamento nelle parole di Gesù. Lo sguardo, quindi, si apre al futuro e lo illumina. Non con annunci gravidi di sventura – perché il martirio è dono e offerta di amore – ma con la certezza della fede in Gesù Cristo. È questa che ci consente di affermare che anche nel futuro saremo chiamati a dare testimonianza alla fede con il dono della vita… La profezia di Fatima, pertanto, rimane aperta lasciando intravedere un futuro dove l’amore sarà ancora testimoniato e vissuto senza paura, perché accolto sempre e soltanto come amore di Dio che in Cristo ha dato tutto se stesso per la nostra salvezza”.
Il terzo riferimento riguarda la pistola di Ali Agca. Alcuni anni fa, visitando Wadowice, la cittadina natale di Karol Wojtyła, venni accompagnato anche al Museo dove tra gli altri ricordi e cimeli è conservata la pistola che colpì Giovanni Paolo II. Il sacerdote che mi accompagnava, spiegandomi i particolari della pistola, mi disse anche che di lì a poco sarebbe scaduta la concessione che lo Stato Italiano aveva fatto al Museo per conservare l’arma, e questa avrebbe dovuto essere restituita al legittimo proprietario. Dopo alcuni mesi ricevetti una bella lettera del card. Stanisław Dziwisz con la quale mi chiedeva di intercedere presso il ministero di Grazia e Giustizia perché prolungasse la concessione dell’arma al Museo. Era il periodo del Giubileo della Misericordia e per diversi motivi avevo contatti con il ministro Andrea Orlando. Chiesi di incontrarlo e gli parlai della richiesta. Tra le altre cose, sperando di convincerlo, gli dissi: «Ma tanto, voi cosa ve ne fate di quella pistola… andrà a finire in qualche magazzino». Il Ministro con molta simpatia mi rispose subito: «No, guardi, sapremmo benissimo cosa farne!». Al solo pensiero di quella scena ancora sorrido. Il Ministro, comunque, mi promise di essere fiducioso: avrebbe chiesto come fare per accontentare la richiesta. La pistola di Ali Agca è ancora al Museo di Wadowice. Questi pochi ricordi mi hanno permesso di leggere con ancora più interesse le pagine di Preziosi.
L’Autore si era già cimentato a scrivere su Giovanni Paolo II con il bel volume Immortale. Questa volta però affronta un capitolo importante della vita del Papa santo. Aprire di nuovo questo capitolo a quarant’anni di distanza può aiutare a mantenere viva quella memoria storica che ha bisogno di essere sempre alimentata, perché non venga perduto il ricordo e il significato che ha posseduto non solo per la generazione che ha sperimentato il dramma di quel giorno, ma soprattutto per quanti non l’hanno vissuto.
* Prefazione del Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione al libro di Antonio Preziosi, in uscita domani 24 marzo 2021 dal titolo
“Il Papa doveva morire. La storia dell’attentato a Giovanni Paolo II”
Edizioni San Paolo 2021, pp. 240, euro 22