In 36 piazze d’Italia per difendere l’unica scuola concepibile: quella in presenza

In 36 piazze d’Italia per difendere l’unica scuola concepibile: quella in presenza

NONOSTANTE IL LOCKDOWN OGGI IN PIAZZA A ROMA, MILANO, VERONA E ALTROVE, MIGLIAIA DI GENITORI, STUDENTI E ASSOCIAZIONI PER CHIEDERE AL GOVERNO IL RITORNO ALLA VERA SCUOLA

Di Sara Deodati

 

La “domenica ecologica”, con blocco del traffico automobilistico dalle ore 7.30 alle 20.30, non ha fermato oggi pomeriggio a Roma un migliaio di genitori, insegnanti e ragazzi dal partecipare alla manifestazione convocata dalla “Rete Nazionale Scuola in Presenza” per chiedere la riapertura immediata, in sicurezza, di tutte le scuole di ordine e grado in Italia. 

Da piazza del Popolo l’appello di tante famiglie allo stremo e bambini e ragazzi privati di ogni forma di socialità, di studio e di sport è risuonata in altre 36 città d’Italia, a testimoniare la realtà che stimo vivendo da oltre un anno.

Dopo l’ultimo Decreto Draghi, l’11 marzo scorso, si è costituito spontaneamente un comitato cittadino romano, senza nessun partito dietro ma solo genitori, insegnanti e società civile, è riuscito ad organizzare con il passaparola sui social questa manifestazione che chiede l’equiparazione della Scuola Italiana a “servizio essenziale” lasciandola quindi sempre aperta a prescindere dai “colori” delle regioni. 

Dai numerosi interventi succedutisi nella soleggiata cornice di piazza del Popolo sono emersi tutti i problemi legati alla Didattica a Distanza (DaD) che non si può e non si deve continuare a concepire come una valida alternativa alla didattica in presenza.

 La vera scuola, infatti, non può che essere un luogo “fisico” che aiuta la socializzazione dei ragazzi, creando relazioni che aiutano a crescere e a guardare il mondo “al di là” del proprio Io. Un luogo fatto di confronti con gli insegnanti e tra “pari”. Anche se molti adolescenti possono dire di preferire la DaD perché facilita le interrogazioni, non ti fa incontrare chi non ti piace e apparentemente fa sentire “più leggeri”, questa modalità di “scuola” può andar bene al massimo per qualche settimana ma alla lunga fallisce ogni obiettivo.

In primo luogo perché ogni bambino e ragazzo ha bisogno di socialità e di raffronto.  

Ne ha parlato nel suo intervento Fosca Banchelli, insegnante di teatro e presidente dell’Associazione culturale “La Lanterna immaginaria”. «La scuola è una palestra per capire e affrontare la vita – ha detto la Banchelli –, per superare e gestire le ansie e per imparare a confrontarsi e lottare con la fatica, mantenere gli impegni, affrontare dubbi e discussioni con i compagni e con gli insegnanti. L’aula-comunità permette di affrontare tutto ciò direttamente, senza “scudi”, non da dietro uno schermo… Perché se si toglie la relazione non rimane nulla da imparare che uno non possa fare da solo con un libro. Se si toglie il confronto non c’è scuola!».

Continuare quindi ad “insegnare” attraverso uno schermo è vano perché si trasmettono solo nozioni e non conoscenze, non si riesce certo col digitale a trasmettere l’amore per lo studio o l’importanza dell’impegno per raggiungere un obiettivo.

Negli interventi alla manifestazione è stato anche ricordato l’allarme dei medici del dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma sull’aumento di atti di autolesionismo tra i ragazzi e dei suicidi di cui non parla drammaticamente nessuno. 

La scuola è quindi la colonna della società moderna e se si toglie la scuola si nega la società. È stato rimarcato come solo in Italia la scuola non sia mai stata l’ultima a chiudere e la prima a riaprire. 

Tutto questo rinunciare ad una scuola in presenza da cosa è motivato? Certo da scelte ‘politiche’ che però non tengono conto di numerosi studi che dimostrano che le regole a scuola funzionano e che i ragazzi le rispettano; a fronte delle evidenze scientifiche, il principio di precauzione va ribaltato: è più prudente da tutti i punti di vista – a cominciare dal tracciamento – tenere aperte le scuole, non chiuse. 

Alla manifestazione ha fatto pervenire un messaggio applaudito audio lo psichiatra, sociologo ed educatore Paolo Crepet, il quale ha fra l’altro fatto notare che, col “lockdown nelle scuole”, il principio di proporzione (rischi/benefici) appare profondamente sbilanciato a sfavore dei nostri bambini e ragazzi.

Le conclusioni sono state affidate all’organizzatrice della manifestazione romana, la giornalista Maddalena Loy, la quale ha ribadito come sia un dovere di noi adulti, genitori ed insegnanti rispettare la crescita didattica, sociale ed umane dei nostri figli. «Un’alternativa alla chiusura c’è – ha detto la Loy – e il Governo deve trovarla».

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