Difendiamo la piccola impresa e quella familiare: generano relazioni, fiducia e solidarietà
Dottrina sociale della Chiesa? Buttiamola in politica: “I” come impresa
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Di Giuseppe Brienza*
Secondo un recente studio di Mediobanca, durante i primi sei mesi di “economia da Coronavirus” i colossi del web hanno aumentato con una tendenza senza precedenti i loro ricavi. Indovinate un po’? A tutto discapito delle piccole e medie imprese (PMI) e del tessuto produttivo territoriale!
Nel primo semestre del 2020, insomma, tante multinazionali “apatridi”, dalla Nintendo (+71,5%) ad Amazon (+33,5%) per finire con Sales force (+29,5%), hanno sbancato a seguito dei vari lockdown imposti a livello nazionale alle PMI ed ai tanti piccoli e medi esercenti. Eppoi, significativamente, tra le grandi imprese operanti sui mercati online, sulle piattaforme di pagamento e compravendita, nei motori di ricerca per lo shopping e dei servizi per il cloud computing(erogazione di servizi offerti su richiesta da un fornitore a un cliente attraverso internet), spiccano tre aziende cinesi solo nominativamente private, come Alibaba (+28,6%), JD.com (+28%) e Tencent (+27,9%). Insomma, la concentrazione ed i monopoli sono di gran lunga cresciuti con l’economia da Covid-19, registrando il fatturato del comparto e-commerce un balzo in avanti complessivo del 17%.
Cosa comporta tutto questo in termini di tenuta delle economie locali e di “salute” sociale delle comunità? Molte conseguenze negative, com’è ovvio, ma, per rimanere solo al tema di questa lettera “I come impresa” dell’alfabeto della DSC, evidenziamo che la tabula rasa delle piccole e medie imprese, comprese quelle familiari, finisce per annichilire una delle maggiori espressioni della soggettività creativa del cittadino che, fra gli altri, il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, riferisce all’esercizio del diritto di iniziativa economica (n.336).
La piccola impresa e l’impresa familiare, come sappiamo, sono generatore e frutto di relazioni, di fiducia reciproca e di solidarietà. Oltretutto, la grande concertazione industriale ed economico-produttiva è di solito origine di depauperamento dell’ambiente, maggiori rifiuti e dispendio di risorse.
«L’uomo moderno, esaltato dal progredire dei suoi poteri scientifici e tecnici, ha costruito un sistema di produzione che rovina la natura», affermava quasi mezzo secolo fa l’economista tedesco (peraltro non cattolico) Ernst Friedrich Schumacher (1911-1971).
Nel suo saggio “Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa”, pubblicato in Italia nel lontano 1973 ma ancora di grande attualità, troviamo una conferma dei principi esposti dalla DSC e del “localismo” come possibile rimedio agli ambienti economico-produttivi disumanizzanti e all’incremento dell’inquinamento. L’economia centrata sul territorio, infatti, basandosi su luoghi di lavoro di minori dimensioni, “a misura d’uomo”, decentrati in piccoli paesi e, pertanto, più dignitosi e sostenibili, indurrebbe alla diffusione dei prodotti locali, evitando catene di negozi e supermercati appartenenti a grandi gruppi totalmente avulsi dalla cultura e dallo sviluppo delle comunità.
Le liberalizzazioni che sugli orari di apertura degli esercizi commerciali sono state introdotte in molti Paesi (in Italia dal governo Monti), hanno avuto come effetto principale quello di penalizzare i piccoli esercenti.
Non si vuole sostenere come principio assoluto quello delle chiusure festive e domenicali dei negozi ed esercizi economico-commerciali ma, la possibilità di prevedere alcune deroghe, sicuramente darebbe maggiori garanzie di aiuto ai piccoli esercizi e di rispetto del riposo festivo settimanale dei lavoratori.
Insomma, un intervento correttivo della deregulation totale oggi in vigore, in Italia e altrove, figlia del liberismo nord-americano e della globalizzazione, avrebbe un probabile risultato positivo non solo in termini di maggiore tenuta sociale e familiare, ma anche di spinta ai consumi reali. Infatti, come ha dimostrato nel nostro Paese la Confesercenti, negli anni successivi al 2012 nei quali ci hanno abituato alle aperture h24 e festive di negozi ed esercizi, le vendite del commercio al dettaglio sono state inferiori rispetto ai livelli del 2011, ultimo anno prima della liberalizzazione. «È importante, a questo punto– sta rivendicando già da anni Confesercenti –, arrivare ad una revisione dell’attuale regime con una norma condivisa e sostenibile. Noi non chiediamo di stare chiusi sempre, ma di restare aperti solo quando e dove necessario, come ad esempio nelle località turistiche» (Agenzia “Ansa”, Verso la chiusura domenicale per i negozi, Roma 6 settembre 2018).
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