Shemà. Commento al Vangelo del 13 marzo della teologa Giuliva Di Berardino

Shemà. Commento al Vangelo del 13 marzo della teologa Giuliva Di Berardino

Shemà (in ebraico “Ascolta”), un commento al Vangelo del Giorno di Giuliva Di Berardino.

Anche a noi, uomini e donne del terzo millennio, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “Shemà”. Ascoltiamolo!

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IL COMMENTO TESTUALE

IL VANGELO DEL GIORNO: Lc 18, 9-14

sabato 13 marzo 2021

Oggi  il Vangelo ci trasmette una parabola di Gesù sulla preghiera. La parabola è preceduta da una presentazione che  chiarisce i destinatari alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Potremmo pensare che questa situazione non ci riguardi, invece oggi la liturgia ci invita a prendere in considerazione questa parabola proprio per noi, per progredire nel nostro cammino verso la Pasqua. La parabola vede come protagonisti un pubblicano, cioè un uomo che tutti ritenevano un peccatore pubblico, e un fariseo, che invece tutti ritenevano un uomo giusto e religioso. Già da questo contrasto comprendiamo che per Gesù la preghiera ha a che fare con la relazione non solo con Dio, ma anche con gli altri. La preghiera infatti ci fa uscire dai pregiudizi, dalle opinioni che ci facciamo sugli altri o su noi stessi. E se i due personaggi della parabola sono inseriti in un contesto di preghiera, vuol dire che la preghiera è proprio il luogo in cui i nostri schemi e i nostri giudizi crollano, perché, come osserviamo, ci mette nella verità di noi stessi e lascia emergere di noi quello che portiamo nel cuore. La preghiera del fariseo è, di fatto, la descrizione del suo sguardo sugli altri. Perciò, come afferma Sant’Agostino, “Era salito per pregare; ma non volle pregare Dio, bensì lodare se stesso.. Io – diceva – sono giusto, tutti gli altri sono peccatori” (Discorsi  115,2). Certo, il fariseo dice la verità di se stesso perché osserva scrupolosamente la Legge, anzi  fa più del necessario, però il problema che Gesù lascia emergere è che questo fariseo non attende nulla da Dio, sembra non avere bisogno di Dio e la sua preghiera è giusta, perché è un rendimento di grazie, il verbo infatti è eucharizo, il verbo della preghiera di un vero credente, però non ringrazia per quello che Dio fa in lui, ma per quello che lui fa per Dio! È questo il vero problema, che, dobbiamo riconoscerlo, corriamo il rischio di avere anche io e te. La parabola continua e ci presenta la preghiera del pubblicano, che è quella di un uomo ben cosciente di non meritare nulla davanti a Dio. Il pubblicano non si giustifica, ma lascia a Dio il compito di giustificarlo. Ecco allora che Gesù conclude il suo insegnamento con queste parole: Io vi dico: questi ( il pubblicano), a differenza dell’altro (il fariseo), tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato. Dio giustifica chi viene umiliato, chi vive e soffre le umiliazioni del suo stato di peccatore, ecco perché Gesù preferisce il peccatore pubblico al perfetto religioso! L’efficacia della nostra preghiera non dipende da quello che facciamo, ma è in relazione  al perdono che chiediamo e riceviamo da Dio e da chi ci vive accanto. Un monaco del deserto diceva che il vero miracolo che possiamo ricevere è quello di riconoscere i nostri peccati. Isacco di Ninive, un monaco del deserto del III secolo, affermava senza timore questa frase che oggi ci può restare nella mente e nel cuore: “colui che conosce il proprio peccato è più grande di chi risuscita i morti” (Prima collezione 65). Chiediamo al Signore che oggi questo miracolo si compia in noi. Buona giornata!

Lc 18, 9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

IL COMMENTO IN VIDEOhttps://www.youtube.com/channel/UCE_5qoPuQY7HPFA-gS9ad1g/videos

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