Shemà. Commento al Vangelo del 6 marzo della teologa Giuliva Di Berardino
Shemà (in ebraico “Ascolta”), un commento al Vangelo del Giorno di Giuliva Di Berardino.
Anche a noi, uomini e donne del terzo millennio, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “Shemà”. Ascoltiamolo!
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IL COMMENTO TESTUALE
IL VANGELO DEL GIORNO: Lc 15, 1-3. 11-32
sabato 6 Marzo 2021
Oggi il vangelo ci mostra una delle parabole più conosciute e più studiate, quella che rispecchia maggiormente il cuore dell’insegnamento di Gesù. I numerosi studi su questa parabola, propongono diverse prospettive di lettura, tanto che potremmo dare a questo testo diversi titoli: il Padre Misericordioso, il Figlio prodigo, i due fratelli, il padre prodigo. Ecco, di fatto, si tratta di una storia che Gesù racconta come una parabola, una specie di mashal ebraico, il genere letterario biblico degli enigmi e dei proverbi, che si concretizza, in breve, in una provocazione, per spingerci a prendere una decisione. Gesù risponde con questa storia agli scribi e ai farisei, che mormorano nei suoi confronti perché sta a mensa con pubblicani e peccatori. Per questo il Maestro non intende dare una risposta definitiva, ma semplicemente invitare questi farisei, come anche noi oggi, a ricercare e a scoprire da dove ha origine il suo comportamento così accogliente nei confronti di coloro che sono identificati come lontani da Dio a causa della condizione morale, culturale o religiosa. La storia racconta di un uomo che aveva due figli e questo ci mette subito davanti a una situazione non normale, perché denuncia una rottura relazionale già esistente: non è una famiglia normale, manca la madre. Infatti i due fratelli non sentono nessun legame di appartenenza a quella casa, soprattutto il minore, che, abbandonando il padre, se ne và verso un paese lontano. Ora, da ciò che emerge nella storia, la lontananza dal padre è anche lontananza dal fratello, e questo allontanamento è anche la fine di un’esperienza di relazione e di fraternità. Ma, lontano dalla casa, il figlio minore è lontano anche da se stesso, perde la lucidità e, inaspettatamente, a causa di una carestia, perde tutto e non è più figlio: diventa servo, un guardiano di porci, animali impuri per la tradizione ebraica. A questo punto, per non rinunciare al suo protagonismo, pensa di tornare a mantenere sotto controllo la sua vita, come operaio, nella casa di suo padre. Ma il padre, è scritto, lo vede da lontano, vede oltre la rottura. Ecco, la vista di questo padre è la stessa di Gesù: il vebo è lo stesso di quando Gesù chiama i primi discepoli (cfr. Lc 5,1-11), o di quando incontra Levi (cfr. Lc 5,27-32), o quando si ferma davanti a un corteo funebre per guarire il dolore della madre vedova (cfr. Lc 7,11-17). La vista di Gesù e quella del padre della parabola è particolare, perché si unisce a una reazione ben precisa il testo, infatti, continua «si commosse» (esplanchnísthē), che è il sentimento della pietà, della misericordia. È questa commozione che dà origine ai diversi atteggiamenti di cura e di amore del padre verso il figlio minore, tanto che l’altro figlio, il maggiore, «si arrabbiò» (ōrghísthē). Un contrasto che il padre avverte dentro di sé, perché il testo conferma che il padre esce a pregarlo con insistenza (parekálei autón), mosso dal profondo. Ma il cuore del figlio maggiore è cieco, non vede l’insistente preghiera di suo padre, anzi, recrimina, accusa e giudica suo fratello, perché il figlio maggiore era lontano dal padre, anche se era rimasto sempre in quella casa. Avere un cuore di figlio è avere anche un cuore di fratello: se non ci lasciamo guarire gli occhi del cuore, per vedere l’amore del Padre che è nei cieli, non potremo mai entrare nella gioia della fraternità. Allora oggi preghiamo il Signore che ci guarisca il cuore per accogliere il Suo perdono e la Sua Misericordia e ricordiamo nella preghiera il nostro caro papa Francesco che, pellegrino di pace in Irak, possa far scoprire anche a ciascuno di noi la gioia e la bellezza di essere tutti fratelli e sorelle tra noi, figli e figlie del Padre. Buona giornata!
Lc 15, 1-3. 11-32
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
IL COMMENTO IN VIDEO: https://www.youtube.com/channel/UCE_5qoPuQY7HPFA-gS9ad1g/videos