Giorgia Meloni, in “pericolosa” ascesa nei consensi, per i “sinistri” va messa a tacere
I FAUTORI DEL NEOFEMMINISMO, QUELLI DELLA PARITÀ, DEGLI ASTERISCHI, DELLE QUOTE ROSA, UNA DONNA CHE DIALOGHI DA PARI A PARI CON MARIO DRAGHI NON CE L’HANNO…
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Di Dalila di Dio
La polemica per gli insulti rivolti dal trio di illustri intellettuali Gozzini, Van Straten e Palumbo alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni non accenna a placarsi.
Da chi offre tiepida, ipocrita, solidarietà, a chi si straccia le vesti per le offese sessiste a quelli che “se l’è cercata”, il campionario di coloro che hanno in ogni modo cavalcato la vicenda è ampio e variegato.
Chiunque ha sentito il bisogno di esprimere un’opinione al riguardo, e, soprattutto dal campo avversario, il profluvio di illuminate prese di posizione è stato sorprendente.
Giova, tuttavia, sgomberare il campo da un equivoco: Giorgia Meloni non è stata insultata in quanto donna.
Il dileggio di quei tre, che per convenzione chiameremo signori, non ha niente a che vedere con il fatto che la destinataria sia femmina. Scrofa, vacca, rana: il dotto Gozzini, con una certa pigrizia, ha semplicemente attinto al catalogo degli insulti che solitamente si rivolgono ad una donna per non affaticare le sue nobili sinapsi ma tutto quel livore, quel disprezzo, quella incontinenza verbale con la bava alla bocca erano rivolte alla donna ma a ciò che quella donna rappresenta.
Per quei tre e per i loro simili, Giorgia Meloni è l’esponente, in pericolosa ascesa nei consensi, di una categoria di indegni, figli di un Dio minore, irricevibili.
E questo vale per tutti coloro che si collocano dalla parte sbagliata dell’arco costituzionale: Teresa Bellanova, titolo di studio prima comunione, suggerisce al prof. Alberto Bagnai di studiare, Lucia Borgonzoni – nonostante la sua laurea in Arti figurative all’Accademia delle Belle Arti di Bologna – non è adatta al ruolo di sottosegretario alla cultura, Mara Carfagna – laureata con lode in Giurisprudenza – non è degna del ruolo di Ministro della Repubblica, Giorgia Meloni – che, sentenzia Gozzini, non ha mai letto un libro – dovrebbe essere messa a tacere per sempre.
L’intellighenzia di sinistra, l’unica depositaria della cultura, l’unica che ha pieno diritto di esprimersi sulle cose del mondo, l’unica che sa cosa sia giusto, meritevole, dignitoso, non può tollerare che una persona di destra, chiunque essa sia, parli da pari a pari con Sua Eccellenza Reverendissima Mario Draghi.
Il fatto che, poi, questa persona di destra sia anche donna è un’aggravante: perché loro, i fautori del neofemminismo, quelli della parità, degli asterischi, delle quote rosa, una donna che dialoghi da pari a pari con Mario Draghi non ce l’hanno.
E questo disvela, agli occhi del mondo, tutta la loro ipocrisia. Il giochino per delegittimare l’avversario politico, è semplice: sono loro a decidere quali idee possano avere cittadinanza e quali, invece, non abbiano diritto di essere divulgate.
Sono loro ad attribuire le patenti di agibilità politica. Ed i loro proseliti si adeguano con fedeltà: perché pensarla come uno moralmente, intellettualmente e culturalmente superiore rende moralmente, intellettualmente e culturalmente superiore anche te.
Il metodo è collaudato: tutto quello che non è conforme al pensiero unico viene inserito nella categoria fascismo.
A questa categoria, negli ultimi anni, si è aggiunta la categoria odio: ben più flessibile e adattabile alle necessità. Poi ci sono, ovviamente, quelle persone che riescono a concentrare in sé entrambe le cose: Giorgia Meloni è una di queste. Una fascista, una xenofoba, una odiatrice.
Sì, perché in questo meraviglioso mondo dominato dalle anime belle di “welcome refugees”, “love is love” e “ a te cosa toglie?”, sostenere che commissionare, produrre e commercializzare un bambino per la soddisfazione di un adulto sia abominevole e battersi perché diventi reato universale costituisce odio.
Squarciare il velo di ipocrisia sull’immigrazione clandestina incontrollata e dire che il (non) sistema dell’accoglienza in Italia sia appannaggio di una certa parte politica che ci lucra sopra copiosamente e che il medesimo sistema corrisponda, di fatto, all’importazione di schiavi destinati, nella migliore delle ipotesi, allo sfruttamento nei campi e, nella peggiore, a delinquere per vivere, è odio.
Rilevare che due uomini o due donne non possano concepire ed affermare che i bambini abbiano diritto ad avere una mamma ed un papà è odio al quadrato. Pare che anche la natura sia fascista, odiatrice e, probabilmente, pesciarola.
Conseguentemente, posto che, per decreto della psicopolizia del pensiero unico, Giorgia Meloni è una fomentatrice di odio, le sue parole devono essere censurate e gli insulti che le sono stati rivolti da quei tre sono gravi ma anche no, esecrabili ma anche no, indegni ma anche no.
Generalmente, episodi come questi cadono rapidamente nel dimenticatoio: uomini e donne di destra vengono insultati sistematicamente e quotidianamente senza che alcuno ritenga di dover prendere posizione al riguardo.
Questa volta, però, qualcosa è andato storto. Per qualche oscura ragione, il Presidente della Repubblica ha ritenuto di intervenire offrendo la propria solidarietà a Meloni e scombinando i piani a tutti quelli che pensavano di uscirne indenni, nel volgere di qualche ora, facendo i vaghi come sempre.
Un gesto, quello del Capo dello Stato, che ha avuto il pregio di scatenare il caos nelle frange dei buoni ad intermittenza: Tosa, Laura Boldrini ed il loro seguito di semicolti, ad esempio, messi all’angolo dall’intervento di Mattarella, condannano gli insulti ma Giorgia Meloni non è una vittima, è una fomentatrice d’odio quindi noi che siamo buoni le siamo solidali però, alla fine, se ci pensi bene, quegli insulti se li è un po’ meritati.
Altri, forse i più saggi, tacciono. Altri ancora, con la visibilità un po’ appannata dalla fine di Ballando con le Stelle, scelgono la strada della rottura.
Poiché una sana, inutile e strumentale polemica non si rifiuta mai, costoro dicono che no, Giorgia Meloni non merita solidarietà perché è una fascista, xenofoba e, ovviamente, pesciarola. Niente a che vedere con quella dama d’altri tempi di Monica Cirinnà, quella di “Dio, Patria e Famiglia che vita di merda”.
Quando sono loro a dileggiare, offendere, mortificare, non si tratta di odio ma di legittima, inevitabile, rappresaglia. Consentita. Anzi, doverosa. Ad insindacabile giudizio di quelli che festeggiano l’aborto come una grande vittoria e si commuovono davanti al quadretto di due uomini, un cane e un neonato acquistato su commissione.