Scuola, pandemia, utopia…
Stiamo spingendo sempre più in basso il livello formativo degli alunni?
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Di Antonella Paniccia
Il nuovo Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha dichiarato che la scuola “è laddove tutti noi ritroviamo la voglia di vivere insieme e di imparare a vivere assieme…”.
Davvero strana questa affermazione giunta quasi al termine di un anno scolastico durante il quale la scuola – soprattutto secondaria – è stata sofferente e agonizzante, con alunni presenti in classe al 50% , e una didattica a distanza che, nonostante gli sforzi dei docenti, ha accentuato le differenze ed ha fatto emergere le disuguaglianze, tanto che si è sentita la necessità di correre ai ripari per il recupero degli apprendimenti.
Strana l’affermazione del Ministro: forse si ignora che, talvolta, alla DAD molti ragazzi preferiscono l’aperitivo da consumare allegramente seduti dinanzi ai tavoli dei bar, in piazza, per sfuggire all’isolamento sociale in cui si sentono relegati dall’impossibilità di frequentare regolarmente la scuola e di avere contatti con i propri compagni e con i professori.
Bene ha fatto, dunque, il Ministro dell’Istruzione ad incontrarsi a Roma con il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, David Lazzari, per prendere atto della necessità di “arginare fenomeni di disagio e sofferenza tra gli studenti, in particolare in questa fase caratterizzata dal pesante impatto della pandemia”, un incontro durante il quale si è svelato che oltre il 70% degli Istituti ha attivato azioni di consulenza psicologica in favore degli studenti, per affrontare i disagi dovuti all’emergenza sanitaria.
A tutto ciò si può aggiungere la notizia che il Comitato dei 18 esperti ha predisposto un piano nazionale di architettura scolastica volto a ripensare la strutturazione degli ambienti scolastici.
La scuola in sicurezza. Ottima iniziativa, senza dubbio. Valida, però, solo se verrà attuata a partire da una ristrutturazione essenziale: quella che consenta una scuola in presenza per tutti, con insegnanti reali, non virtuali, con programmi precisi, severi, che annuncino un rilancio della vera cultura italiana, quella che per anni ha animato la nostra scuola, fatta di studio, di impegno serio, di voti davvero meritati, scevra da indottrinamenti o da inutili progetti miranti a “sapere i sapori” o affini.
Una scuola che possa ripartire a gonfie vele dall’amore per l’autentico sapere, che incentivi lo studio dei classici, della storia, dell’arte, della musica, che proponga tutto ciò che nel passato ha reso ricca, geniale, bella, unica e suggestiva la nostra Italia.
Per questo sarà necessario ripartire dalle basi, dalla scuola primaria, quella che un tempo costituiva il vanto di tutto il sistema scolastico italiano: quella scuola elementare che, nonostante le continue riforme dei programmi ministeriali, ha continuato a formare le giovani menti, nonostante i decreti delegati, la scuola dei moduli, le classi aperte, le compresenze, l’insegnante tutor, i progetti a gogò, la tecnologia digitale, le prove INVALSI, la DAD e la DDI.
In questa scuola ora cambia anche la valutazione. Non più voti, né giudizi, ma solo livelli di apprendimento: avanzato, intermedio, base e in via di acquisizione perché “La finalità non è classificare ma identificare i segnali per aiutare il bambino nell’apprendimento.”
Questo si sostiene. Ma non sarà che, scava, scava, spingiamo sempre più in basso il livello formativo degli alunni? Non sarà che ci siamo accorti di quanto, negli ultimi anni, giudizi e voti non corrispondessero, nella realtà, ad una autentica preparazione degli alunni? Non sarà che la famosa asticella, a furia di essere spostata più in basso, ha messo in evidenza tante lacune nella preparazione dei ragazzi?