Cosa dice la Dottrina sociale della Chiesa sulle “unioni di fatto” tra persone dello stesso sesso?
SOLTANTO UN’ANTROPOLOGIA RISPONDENTE ALLA PIENA VERITÀ DELL’UOMO È IN GRADO DI DARE UNA RISPOSTA APPROPRIATA AL PROBLEMA
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Di Don Gian Maria Comolli*
Nella questione generale delle convivenze non matrimoniali (o unioni di fatto), un problema particolare riguarda la richiesta di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, sempre più oggetto di pressioni mediatiche e di dibattito pubblico.
Per affrontare la questione ci soccorre anzitutto l’antropologia naturale. Soltanto un’antropologia rispondente alla piena verità dell’uomo, infatti, è in grado di dare una risposta appropriata al problema.
Alla luce di una tale antropologia, ha spiegato Giovanni Paolo II, si rivela “quanto sia incongrua la pretesa di attribuire una realtà coniugale all’unione fra persone dello stesso sesso. Vi si oppone, innanzi tutto, l’oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell’essere umano. È di ostacolo, inoltre, l’assenza dei presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina. È soltanto nell’unione fra due persone sessualmente diverse che può attuarsi il perfezionamento del singolo, in una sintesi di unità e di mutuo completamento psico-fisico” (Discorso al Tribunale della Rota Romana, 21 gennaio 1999).
Questa sapiente e chiara osservazione di Papa Wojtyla sta orientando il modo della Chiesa di rapportarsi alle persone omosessuali. Nei loro confronti è espressa la massima delicatezza e premura pastorale, senza che venga meno però l’esortazione a sottoporsi ad attento esame, sia nel rispettivo vissuto e sia nell’attuale condotta personale.
Se da un lato infatti “va deplorato con fermezza che le persone omosessuali sono state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Cura pastorale delle persone omosessuali, 1986, n. 10), allo stesso tempo esse vanno incoraggiate “a seguire il piano di Dio con un impegno particolare nell’esercizio della castità” (Compendio DSC, n. 228).
Il doveroso rispetto non può significare in nessun caso “legittimazione di comportamenti non conformi alla legge morale né, tanto meno, il riconoscimento di un diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso, con la conseguente equiparazione della loro unione alla famiglia: ‘Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune.
Mettendo l’unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri’ (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale dell’unione tra persone omosessuali, 3 giugno 2003)” (Compendio DSC, n. 228).
Riassumendo. La Chiesa, nei suoi vari Documenti, preferisce parlare di “persone omosessuali” e non di “omosessuali” tout court (evitando il termine ideologico “gay”), volendo indicare il “valore della persona” rispetto alla sua tendenza. In quanto Madre, essa è certa che le indicazioni che propone sono il “maggiore atto di carità” per questi uomini e donne, “le cui sofferenze possono solo essere aggravate da dottrine errate e alleviate invece dalla parola della verità” (Cura pastorale delle persone omosessuali, n. 18).
La Chiesa, infatti, è ben consapevole che, “come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la realizzazione personale e la felicità essendo contraria alla sapienza creatrice di Dio” (Cura pastorale delle persone omosessuali, n. 7). Va tenuto fermo, a fronte di atteggiamenti irresponsabili o di buonismo, che la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali “non può portare in nessun modo all’affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata” (Cura pastorale delle persone omosessuali, n. 10).
Pur affrontando la derisione e la persecuzione del mondo, la Chiesa esprime per questo una totale contrarietà a qualunque riconoscimento pubblico delle unioni tra persone dello stesso sesso.
*Don Gian Maria Comolli, ordinato sacerdote nel 1986, da trent’anni è cappellano ospedaliero. Dopo aver conseguito un dottorato in Teologia, una laurea in Sociologia ed aver frequentato diversi master e corsi di perfezionamento universitari, attualmente collabora con l’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano ed è segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia.
Testo pubblicato per gentile concessione dell’autore (tratto dal blog: www.gianmariacomolli.it)