Il matrimonio-sacramento, alleanza di un uomo e una donna nell’amore indissolubile
IL MATRIMONIO DEVE ESSERE UN CAMMINO RECIPROCO DI SANTIFICAZIONE
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Di Don Gian Maria Comolli*
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, dopo aver mostrato le caratteristiche essenziali del matrimonio, in due preziosi numeri evidenzia l’importanza e il contenuto del sacramento dell’amore coniugale.
Anzitutto ricorda che il matrimonio è un’istituzione voluta da Cristo: “La realtà umana e originaria del matrimonio è vissuta dai battezzati, per istituzione di Cristo, nella forma soprannaturale del sacramento, segno e strumento di Grazia” (Compendio DSC, n. 219).
Il matrimonio è un’alleanza di amore tra un “uomo” e una “donna” che ha come riferimento l’amore sponsale di Dio per il suo popolo e quello di Cristo per la Chiesa.
“La storia della salvezza – continua il Compendio – è percorsa dal tema dell’alleanza sponsale, significativa espressione della comunione d’amore tra Dio e gli uomini e chiave simbolica per comprendere le tappe della grande alleanza tra Dio e il Suo popolo. Il centro della rivelazione del progetto d’amore divino è il dono che Dio fa all’umanità del Figlio Suo Gesù Cristo, ‘lo Sposo che ama e si dona come Salvatore all’umanità, unendola a Sé come suo corpo. Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del “principio” (cfr. Gen 2,24; Mt 19,5) e, liberando l’uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente’ (Familiaris consortio, n. 13). Dall’amore sponsale di Cristo per la Chiesa, che mostra la sua pienezza nell’offerta consumata sulla Croce, discende la sacramentalità del matrimonio, la cui Grazia conforma l’amore degli sposi all’Amore di Cristo per la Chiesa” (n. 219)
Accanto all’amore sponsale, altra caratteristica del rapporto tra i coniugi è la carità come testimonianza di una nuova socialità: “La carità coniugale, che sgorga dalla carità stessa di Cristo, offerta attraverso il Sacramento, rende i coniugi cristiani testimoni di una socialità nuova, ispirata al Vangelo e al Mistero pasquale. La dimensione naturale del loro amore viene costantemente purificata, consolidata ed elevata dalla grazia sacramentale” (Compendio DSC, n. 220).
Il matrimonio, quindi, deve essere un cammino reciproco di santificazione: “I coniugi cristiani devono aiutarsi reciprocamente nel cammino di santificazione, divenendo anche esempio per gli altri e strumento della carità di Cristo nel mondo” (Compendio DSC, n. 220).
Il matrimonio, infine, abilita i genitori cristiani a vivere pienamente la loro vocazione di coniugi con tutti gli impegni che ne derivano. Per questo il sacramento del matrimonio, come afferma il Compendio, “assume la realtà umana dell’amore coniugale in tutte le implicazioni e abilita e impegna i coniugi e i genitori cristiani a vivere la loro vocazione di laici, e pertanto a ‘cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (n. 220). E il primo impegno è quello di essere chiamati quali “testimoni e annunciatori del significato religioso del matrimonio, che la società attuale fa sempre più fatica a riconoscere, specialmente quando accoglie visioni relativistiche anche dello stesso fondamento naturale dell’istituto matrimoniale” (Compendio DSC, n. 220). Quest’ultima osservazione è attualissima, essendo in corso oggi “la più grave aggressione della storia all’avvenimento cristiano, ai valori cristiani, al patrimonio esistenziale cristiano. Solo delle anime eccezionalmente candide o eccezionalmente sciocche possono negarlo o non riconoscerlo. E questa aggressione trova uno dei principali bersagli proprio nella famiglia fondata sul matrimonio” (G. BIFFI, Intervento all’Assemblea diocesana dell’Azione Cattolica della Chiesa di Bologna, 27.2.1994).
Concordando pienamente con quest’ultima visione del compianto cardinale Giacomo Biffi, identifichiamo qui di seguito quelli che ci appaiono come i principali motivi che pongono in crisi l’istituto matrimoniale:
– nefasti modelli culturali di rapporti offerti dall’attuale contesto socio-culturale;
– amore sempre più “romantizzato”;
– martellante discredito di qualsiasi forma di “impegno definitivo”;
– rinuncia al “sacrificio” che ogni unione comporta;
– separazione, in alcuni casi, tra matrimonio e procreazione;
– triplice oneroso ruolo che la donna ha dovuto assumere negli ultimi decenni (moglie, madre, lavoratrice);
– contestazione sistematica e perdita di autorevolezza della figura del padre;
– rinuncia all’educazione ai valori umani e cristiani, punti centrali di ogni programma pedagogico;
– esasperato individualismo.
Oggi inoltre il matrimonio è sostituito, insidiato, disonorato e messo in pericolo da forme alternative che il Compendio chiama “unioni di fatto”. Trattando di queste coppie “liquide” la DSC opera una chiara differenza, pur condannandole entrambe: quelle uomo-donna e quelle fra persone dello stesso sesso. Con “unione di fatto” tra un uomo e una donna il Compendio si riferisce alla “convivenza”, sia come periodo di prova precedente il “sì” definitivo, sia alla scelta prolungata nel tempo.
Anche se in Italia ci si può sposare in “brevissimo tempo” e con “poche spese”, recandosi di fronte a un sacerdote o a un ufficiale civile, negli ultimi anni sono enormemente accresciute le persone conviventi, convinte che l’istituzione matrimoniale non aggiunga valore alla loro unione e, nel caso la relazione si concludesse, sarebbero minori i vincoli burocratici da sciogliere nonostante l’approvazione del “divorzio breve”.
Afferma in proposito il Compendio: “Le unioni di fatto si basano su una falsa concezione della libertà di scelta degli individui e su un’impostazione del tutto privatistica del matrimonio e della famiglia. Il matrimonio non è un semplice patto di convivenza, bensì un rapporto con una dimensione sociale unica rispetto a tutte le altre, in quanto la famiglia, provvedendo alla cura e all’educazione dei figli, si configura come strumento primario per la crescita integrale di ogni persona e per il suo positivo inserimento nella vita sociale. L’eventuale equiparazione legislativa tra la famiglia e le ‘unioni di fatto’ si tradurrebbe in un discredito del modello di famiglia, che non si può realizzare in una precaria relazione tra persone, ma solo in un’unione permanente originata da un matrimonio, ovvero dal patto tra un uomo e una donna, fondato su una reciproca e libera scelta che implica la piena comunione coniugale orientata verso la procreazione” (n. 227).
Accanto alle “unioni di fatto” tra un uomo e una donna troviamo le coppie omosessuali che in Italia hanno assunto il nome di “Unioni Civili” e sono regolamentate dalle Legge 20 maggio 2016, n. 76: “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.
Il riconoscimento giuridico delle coppie di persone omosessuali e l’eventuale “stepchild adoption”, cioè l’adozione di bambini, che per ora non è teoricamente consentita, sono anomalie che preoccupano. La questione, com’è ovvio, non si pone solo a livello cristiano ma anche umano, poiché viene stravolta la comune natura umana.
La diversità sessuale uomo-donna, infatti, dimostra che nessuna persona possiede in sé “tutto l’umano”. La completezza dell’umano, insomma, è presente unicamente nell’unione maschile e femminile. Inoltre, quella sulle “unioni civili” è una legge inutile, poiché dagli anni 90 del XX secolo alcuni diritti, dall’assistenza sanitaria alla visita ai detenuti, dal permesso retribuito alla successione di locazione, sono già previsti nel nostro ordinamento o possono essere stipulati mediante “scritture private” e “patti notarili”. Di fronte a diritti già presenti, l’aver normato su situazioni già acquisite nel contesto societario, dimostra che l’obiettivo è quello di equiparare il matrimonio tra un uomo e una donna alle unioni tra due soggetti dello stesso sesso, parlando, appunto, di “matrimonio arcobaleno”.
E qui, francamente, è doverosa la precisazione che nel 2018 fece l’allora Ministro della Famiglia e della Disabilità Lorenzo Fontana che, una volta assunto l’incarico nel Governo Conte 1, ha voluto restituire alle parole il loro significato affermando: “L’unica famiglia è quella con mamma e papà. Le famiglie arcobaleno? Per la legge non esistono”. E ha ragione, poiché la legge 76/2016 ha come titolo: “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso…”. Quindi, non mortifichiamo il significato antropologico, filosofico e sociologico del vocabolo “matrimonio” con quello ristretto di “unione” che comporta unicamente il riconoscimento di alcuni diritti e di esigui doveri. Ad esempio, e non è da poco, è omesso l’“obbligo alla fedeltà”, vincolante nel solo matrimonio. Ci sarà un motivo!
*Don Gian Maria Comolli, ordinato sacerdote nel 1986, da trent’anni è cappellano ospedaliero. Dopo aver conseguito un dottorato in Teologia, una laurea in Sociologia ed aver frequentato diversi master e corsi di perfezionamento universitari, attualmente collabora con l’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano ed è segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia.
Testo pubblicato per gentile concessione dell’autore (tratto dal blog: www.gianmariacomolli.it).