Shemà. Commento al Vangelo del 2 febbraio della teologa Giuliva Di Berardino

Shemà. Commento al Vangelo del 2 febbraio della teologa Giuliva Di Berardino

Shemà (in ebraico “Ascolta”), un commento al Vangelo del Giorno di Giuliva Di Berardino.

Anche a noi, uomini e donne del terzo millennio, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “Shemà”. Ascoltiamolo!

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IL COMMENTO TESTUALE

IL VANGELO DEL GIORNO: martedì 2 Febbraio 2021

Presentazione del Signore nel tempio, Candelora  (Festa)

Oggi è la festa liturgica della presentazione di Gesù al tempio, una festa presente già dal secolo IV nel Patriarcato di Gerusalemme, e da quì si diffuse in tutti i patriarcati della Chiesa Orientale col nome di festa Ipapànte, che si festeggia esattamente quaranta giorni dopo il Natale del Signore e ricorda quando Gesù Bambino viene portato da Maria e Giuseppe al Tempio.

Questo evento, che la liturgia propone nel Vangelo di oggi, viene festeggiato, quindi, già dalla Chiesa fin dalle sue origini, per meditare su due aspetti fondamentali: l’adempimento della legge di Mosè da parte di Gesù e della sua santa famiglia, e l’incontro tra il piccolo Gesù e le anziane presenze profetiche (Simeone e Anna) simbolo dell’antica tradizione d’Israele, quella più semplice ma fedele a Dio, che sa riconoscere in Gesù la “luce per illuminare tutte le genti e la gloria del suo popolo Israele”.

Quest’ultimo tema fu quello più percepito nella fede cristiana, tanto che in Oriente essa venne anche chiamata la festa dell’«Incontro», sottolineando appunto il valore fondamentale dell’incontro, descritto nel Vangelo secondo Luca che ascoltiamo ancora oggi nella liturgia, incontro tra Israele, popolo profetico e credente, che riconosce il Messia come promessa compiuta in Gesù.

In Occidente questa festa compare solo a partire dal  VI secolo. La troviamo a Roma, dove assunse un carattere penitenziale, e in Gallia, dove veniva preceduta da una solenne benedizione e processione di candele. Fu l’usanza gallica che in occidente si diffuse maggiormente, dopo essere stata inserita nei libri liturgici medioevali e quindi proposta a tutti i paesi che si riconoscevano nel rito latino, fino al punto in cui questa celebrazione prese il nome popolare di «candelora».

Oggi la liturgia dedica questa celebrazione anche al ricordo e alla preghiera per la  vita consacrata, in quanto questa celebrazione mette in evidenza il dono della luce e quindi della fede che qualche credente battezzato riceve come forma di vita presentando a Dio la propria vita in maniera totale e definitiva, per dedicarsi totalmente alla preghiera e al servizio del popolo di Dio con uno stile di vita particolare, legato a un carisma fondatore o a regolamenti specifici approvati dalla Chiesa.

I consacrati perciò, di qualsiasi famiglia religiosa, forma o movimento essi appartengano, sono come il bambino Gesù presentato al tempio dalla santa famiglia, una piccola “luce per illuminare le genti”, per dono e non per merito. Allora oggi preghiamo per i consacrati e per tutti i credenti perchè questa festa così antica sia anche per noi oggi un incoraggiamento ad accogliere sempre di più nel nostro cuore e nella nostra vita la presenza di Gesù, come fu per l’anziano Simeone e per la profetessa Anna.

Andiamo allora oggi con gioia da Gesù, perché è Lui il compimento di ogni nostra speranza, il senso profondo di ogni nostro desiderio di bellezza e di pace, proprio come ci esorta san Sofronio, patriarca di Gerusalemme dal 634 al 638, , nell’omelia della festa di oggi, tratta dai suoi “Discorsi”: “Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi e tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce. La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno.”  Buona giornata!

Lc 2, 22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”. Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

IL COMMENTO IN VIDEOhttps://www.youtube.com/channel/UCE_5qoPuQY7HPFA-gS9ad1g/videos

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