Contro il ’68 dei giovani ricchi: Pasolini e le contraddizioni della sinistra borghese
LE IDEOLOGIE SOLO IN APPARENZA RIVOLUZIONARIE, MA IN REALTÀ OMICIDE, FURONO PROPAGANDATE A PIENE MANI DA ALCUNI DI QUEGLI UNIVERSITARI “CON L’OCCHIO CATTIVO”, DIVENUTI I CATTIVI MAESTRI PER UNA INTERA GENERAZIONE DI ESTREMISTI DI SINISTRA
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Di Andrea Rossi
Pier Paolo Pasolini era tutto fuorchè un comunista contrario alle manifestazioni pubbliche contro “il potere”. Nel 1960, a poca distanza dall’insediamento del governo di Fernando Tambroni, nato con l’appoggio esterno del MSI, a Genova veniva impedito, con moti di piazza, lo svolgimento del congresso nazionale del partito di Giorgio Almirante. Lo scrittore così ricordava quegli eventi:
“La mia indignazione, che io credevo ristretta a pochi memori, è invece condivisa da una grande maggioranza di italiani, tra cui soprattutto, i giovani: quelli di Genova, quelli di Reggio, quelli di Roma, quelli di Palermo”.
Eppure, nemmeno dieci anni dopo, nel 1968, il suo duro commento riguardo agli scontri fra polizia e studenti universitari avvenuti a Roma, aumentò ancora di più il suo isolamento all’interno del Partito comunista. Questi alcuni stralci del famoso articolo “Il PCI ai giovani”, pubblicato nel giugno di quell’anno sul periodico “L’Espresso”:
“Avete facce di figli di papà/Buona razza non mente./Avete lo stesso occhio cattivo./Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri/prerogative piccoloborghesi, amici./Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti/io simpatizzavo coi poliziotti!/(…) A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe/e voi amici (benchè dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri./Bella vittoria dunque la vostra. In questi casi, ai poliziotti si danno fiori, amici”.
Le polemiche successive alla pubblicazione furono enormi; il movimento universitario reagì duramente, e non mancarono, subito dopo, le ironie sul “ritorno di Pasolini al fascismo” ricordando la giovanile appartenenza ai gruppi universitari del regime. In realtà, a leggere con attenzione lo scritto, emergono con chiarezza i mali che avrebbero attraversato il decennio successivo, quello degli anni di piombo: la violenza ideologica che sconfinava nel teppismo e, in fondo, nella guerra alle istituzioni democratiche, e le vittime designate di quel progetto, ossia i poliziotti e i carabinieri, giovani provenienti da classi umili e disagiate, i quali pagarono negli anni ’70 un prezzo altissimo in termini di morti e feriti.
Le ideologie solo in apparenza rivoluzionarie, ma in realtà omicide, furono poi propagandate a piene mani da alcuni di quegli universitari “con l’occhio cattivo”, divenuti i cattivi maestri per una intera generazione di estremisti di sinistra. Alcuni di loro ebbero una brillante carriera accademica, mentre per avere un ricordo pubblico del sacrificio di chi cadde in divisa si sono dovuti attendere decenni: solo nel 2008 venne celebrata la prima giornata dedicata esplicitamente alle “vittime del terrorismo in Italia”.
Quanta pietas invece nell’appello finale che invitava a “dare fiori ai poliziotti”, perfettamente intonato all’animo gentile dell’intellettuale comunista, che come regista cinematografico aveva diretto, fra gli altri, un capolavoro come il “Vangelo Secondo Matteo”; in esso la madre di Pasolini interpretava la parte della Madonna piangente sul figlio crocifisso: immagine dolorosamente profetica, per una donna che vide i figli morire anzitempo, a trent’anni l’uno dall’altro, entrambi uccisi in modo spietato e crudele.