Don George Woodall: “tanti si ritengono autosufficienti, onnipotenti. Il virus è un brusco richiamo alla realtà”
“DIO È BONTÀ INFINITA, NON È ARTEFICE DEL MALE E NEPPURE LO MANDA. TUTTAVIA LO PERMETTE A FIN DI BENE”
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Di Bruno Volpe
“Dio permette il male a fin di bene, lo dice la Tradizione della Chiesa”: lo afferma in questa intervista che ci ha concesso il noto teologo morale inglese e docente all’Ateneo Regina Apostolorum prof. don George Woodall.
Professor don Woodall. Come spiegare a chi ne è stato colpito o a chi ne è rimasto sconvolto, il mistero del male in questo tempo di Coronavirus?
“E’ importante, oggi più che mai, in questo delicatissimo tempo, spiegare che Dio è bontà infinita, non è artefice del male e neppure lo manda. Tuttavia, secondo la miglior Tradizione, penso ad Agostino, lo permette a fin di bene, come un modo per aprirci gli occhi, quando ci siamo allontanati, e per tornare a lui”.
E’ un momento nel quale riflettere sulla nostra debolezza…
“Vero, è bene meditare su questo. Penso che sia un segno chiaro della nostra debolezza umana e della mortalità, specie in un contesto nel quale tanti di noi si ritengono autosufficienti, onnipotenti. Un brusco richiamo alla realtà”.
Mentre in Italia hanno fatto saltare alcune messe, in Polonia i vescovi le hanno invece aumentate e questo ha suscitato qualche mugugno qui in Italia…
“Non conosco la realtà polacca in tema di Coronavirus, ma da quanto leggo i casi sono molto inferiori rispetto all’Italia. In queste condizioni, pertanto, credo che le situazioni tra i due Paesi non siano sovrapponibili. A mio avviso è bene cercare l’unità e non la polemica ad ogni costo”.
Cosa possono fare i fedeli riguardo alle messe?
“In determinate circostanze la messa celebrata privatamente e senza pubblico dal sacerdote si applica ai fedeli, a chi non è nella possibilità di andarci. Spiego: se sono ammalato e non posso uscire di casa, non violo il precetto, alla pari di un tempo di epidemia e questo lo è. In poche parole, l’amore cristiano deve prevalere con responsabilità sul precetto astratto ricordando che comunque è possibile fare la comunione spirituale. Insomma, la prudenza e l’amore al prossimo mi devono fare considerare che non posso contagiare gli altri o contribuire al contagio rispettando le leggi dello Stato quando sono razionali e qui lo sono. Tutto sta nel bilanciare saggiamente fede e ragione, senza squilibri da una parte e dall’ altra”
Lei darebbe la comunione ad un malato in questo momento?
“Bisogna valutare le circostanze per amministrare il sacramento ad un malato grave, analizzare se è urgente o no. Se esiste l’urgenza rispondo di sì, a patto che siano assicurate le massime condizioni di sicurezza per non contrarre il contagio e non darlo agli altri. Penso alle tute e mascherine”.
Per quale motivo?
“Per non compromettere la salute altrui. Anche questo è un atto di amore e di responsabilità. Se un soggetto è in fin di vita, il cappellano o il sacerdote, rispettando le condizioni che dicevo, diano i sacramenti. Segnalo che la Conferenza episcopale della Gran Bretagna al proposito ha disposto che i cappellani e i sacerdoti che vanno a visitare i malati gravi, inclusi quelli di Coronavirus, non devono portare con sè i formulari liturgici, ma fotocopie da bruciare subito dopo o recitare le formule a memoria”.