La realtà delle famiglie contro il caos mondialista e globalista

La realtà delle famiglie contro il caos mondialista e globalista

IL PROFILO DELLA RAGIONEVOLEZZA PER EVITARE IL COLLASSO SOCIO-ECONOMICO

Di Matteo Castagna

“Non osano guardare in faccia il loro sistema, dove la rovina è diventata la regola. Ma chi ci chiede con ansia come faranno gli uomini a lavorare senza le macchine, non ci dice come faranno le macchine a lavorare senza gli uomini che le manovrino, o come le macchine o gli uomini potranno lavorare se manca il lavoro” (Gilbert Keith Chesterton)

L’interrogativo è quanto mai attualizzabile, nel contesto dell’attuale globalizzazione, in repentino mutamento.

Chissà che ad Aprile, se finirà davvero il blocco dei licenziamenti, il lavoro diverrà la priorità per quella politica che, tra monopattini, banchi a rotelle, limitazioni delle libertà fondamentali, dubbi provvedimenti amministrativi, debiti con l’Europa e teatrini parlamentari, sembra sempre fuori dalla realtà delle famiglie italiane.

Sul fatto che siamo di fronte al fallimento del liberal-capitalismo non occorre un genio dell’economia ad osservarlo.

Si nota anche quanto tale Sistema affondasse su solide radici impersonali e disumane, dopo aver relegato Dio e le sue leggi nella sfera privatissima di ciascuno e cercato di trasformare la Chiesa italiana in una Ong che presto potrebbe prepararsi ad accogliere i primi disoccupati italiani, vittime delle politiche scellerate di questo governo.

Di fronte al vicolo cieco, rifacendoci alla dottrina sociale della Chiesa possiamo proporre una ricetta semplice e ragionevole: fare un passo indietro per poter andare avanti.

Quello che intendo evocare è uno spirito nuovo che prevede un poderoso sforzo della volontà umana per riappropriarsi del potere di indirizzare, in qualche misura, la propria esistenza.

Occorre contrapporsi ad ogni forma di determinismo (storico, economico, sociale) o comunque di rassegnata accettazione di ciò che sembra (ma non è) inevitabile.

Credo al vecchio dogma mistico secondo cui ciò che l’uomo ha fatto, l’uomo può rifare“. Con questa frase tratta dal lungimirante “Il profilo della ragionevolezza” del 1926, G. Chesterton (1874-1936) intendeva porre l’accento su un indispensabile ritorno al passato in cui l’uomo di ogni tempo poteva ricollegarsi.

Lo faceva soprattutto in riferimento alla conservazione della libertà e della piccola proprietà contro i due sistemi, capitalistici e comunisti, che nella falsa contrapposizione attanagliavano le legittime aspirazioni umane.

I miei critici credono ad un dogma ancora più mistico: quello secondo cui l’uomo non è assolutamente in grado di rifare ciò che ha già fatto…per questa via non si arriva da nessuna parte, se non a una perdita sempre maggiore di proprietà, inghiottita da un sistema egualmente impersonale e inumano, sia che lo si chiami comunismo o capitalismo“, diremmo oggi, sia che lo si chiami globalismo delle sinistre occidentali o iper-liberismo, inteso nel senso progressista alla Biden.

La piccola e media impresa hanno a che fare con la dignità umana, quindi non possiamo lasciare che muoiano sotto i colpi delle multinazionali.

E’ necessario un risveglio della Fede, un Risveglio del Cattolicesimo.

Non fanno che dirci che questa o quella tradizione è finita per sempre, che questo o quel mestiere o credo è finito per sempre. Ci definiscono reazionari se parliamo di un Risveglio della Fede” – sosteneva Chesterton, da buon cattolico. E’ ora di tornare a sostenerlo attraverso la ragione e la tradizione, attraverso quindi un marcato impulso all’identità dei popoli, la cui valorizzazione è la sanità dell’uomo.

Desideriamo sinceramente che si valuti con serietà se non sia possibile la transizione illuminati dalla ragione e dalla tradizione” – diceva il grande pensatore inglese – perché il profilo della ragionevolezza e della sanità è imprescindibile dal collegamento con le antiche tradizioni riguardanti la terra, il focolare domestico e l’altare.

Come i Lari di un tempo, questa religione della casa o ciò che ne rimane si oppone alla disciplina distruttiva del capitalismo digitale.

La proprietà è un disposto affidatoci dalla Provvidenza per il bene degli altri oltre che per il nostro, perciò non dobbiamo dimenticare che nel giorno del giudizio dovremo render conto dell’utilizzo che ne abbiamo fatto.

Perciò è auspicabile che le forze veramente identitarie propongano un modello che possa far rivivere quelle corporazioni di arti e mestieri, che solo una corretta distribuzione della proprietà, della responsabilità personale e sociale possono dare.

Questa impostazione chestertoniana non ha avuto risposte. Potrà ottenerle ora, che l’equità sociale si sta per imporre come indispensabile contro il caos mondialista e globalista?

 

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