In India “svendita” e “saldi” di povere creature…

In India “svendita” e “saldi” di povere creature…

POTENTATI LOCALI INDIANI TENDONO A VELOCIZZARE I PROCEDIMENTI DI ADOZIONE A FINI DI BUSINESS

Di Giuseppe Brienza

Poco divulgata dai grandi media ma davvero scandalosa è la notizia che proviene dall’India, immenso e, per ampie aree, poverissimo continente, sulle adozioni.

Le agenzie internazionali cattoliche, per esempio, hanno recentemente denunciato il caso di una campagna intrapresa da potentati locali indiani per incentivare tempi e ritmi dei procedimenti di adozione a fini, evidentemente, di business.

La campagna “Bambini da collocare subito”, lanciata a settembre sui circuiti internazionali, promette, in cambio di soldi, di “trascurare” le debite verifiche circa i candidati-genitori adottivi, non mancando di proporre “svendita” e “saldi” di quelle povere creature abbandonate negli Istituti, trattate da merci nel mercato globalizzato. 

Il dramma è che la campagna-choc è stata formalmente lanciata dall’Autorità centrale indiana per le adozioni (Cara) che, in questo modo, vorrebbe far adottare in tempi immediati 50 bambini considerati “difficili”, cioè che hanno superato i cinque anni o presentano problemi fisici.

L’iniziativa ha sollevato un putiferio di polemiche tra le coppie adottive, che parlano di “svendita dei bambini”, quasi come durante i “saldi di mezzanotte”.

Tra chi si è subito opposto fermamente ed ha denunciato questo vile mercato c’è innanzitutto il vescovo ausiliare di Mumbai monsignor Dominic Savio Fernandes.

Il prelato indiano, che è anche presidente della Commissione sulla famiglia della regione occidentale della Conferenza episcopale del Paese, ha infatti definito senza mezzi termini la campagna “Bambini da collocare subito” «una vera e propria mercificazione dei minori, privati della loro dignità umana e trattati come oggetti da vendere o di cui bisogna liberarsi nel più breve tempo possibile» (cit. in Nirmala Carvalho, Chi prima arriva, prima adotta: così l’India piazza 50 bambini “difficili”, in AsiaNews, 29 settembre 2016).

Tutte le coppie adottive registrate sul sito dell’Autorità per le adozioni (circa 10mila) hanno ricevuto due comunicazioni, via mail e per messaggio sul cellulare, trovando il link al sito dove potevano “prenotare” i bambini. «Una volta esauriti i 50 posti disponibili, aggiudicati dalle coppie più veloci, le altre non hanno più potuto fare l’accesso» (Raffaele Dicembrino, India: un sito per sbolognare #adozioni, in La Croce quotidiano, 1° ottobre 2016, p. 5).

Alcune di quelle escluse hanno lamentato l’impossibilità di collegarsi al sito a causa del traffico eccessivo, insomma della serie “Chi prima arriva, meglio alloggia”. «Somiglia ai saldi di beni essenziali – ha scritto una coppia sul forum delle adozioni – è davvero vergognoso». 

In India le pratiche per le adozioni sono gestite dal Cara che, in media, durano dai due ai quattro anni.

Anche per questo mons. Fernandes ha bollato la campagna in corso come del tutto inaccettabile: «All’inizio i bambini venivano dati in adozione solo quando le autorità erano certe che essi sarebbero stati amati e curati. L’attenzione era sempre centrata sul loro benessere. In questo modo non saranno più considerati esseri umani da amare e rispettare. È una triste considerazione sul cammino di insensibilità del genere umano». 

Ci aspetteremmo davvero dalla diplomazia vaticana e, magari, anche da quella internazionale, un intervento incisivo sulle autorità di Nuova Dehli per la cancellazione di questa e simili compagne, che aggiungono alla povertà materiale indiana anche quella spirituale.

Durante un Incontro mondiale dei Movimenti Popolari in Vaticano, tenutosi dal 3 al 5 novembre 2016 al Collegio Mater Ecclesiae di Roma, uno dei relatori chiamati è stato un rappresentante delle “baraccopoli” indiane, a testimoniare dell’interesse di Papa Francesco per la condizione di questo immenso continente.

Il sig. Joakin Arputham, dalla sua esperienza diretta, si è sentito di lanciare addirittura un appello ai presenti ed alle organizzazioni internazionali a «venire a vedere le condizioni in cui viviamo e di agire, ad esempio destinando parte del patrimonio immobiliare ai poveri» (cit. in Movimenti Popolari. Turkson: “Non perdiamoci in statistiche, lottiamo contro l’ingiustizia”, in agenzia “Zenit”, Roma 3 novembre 2016).

Questo, naturalmente, di fronte alla mancata prioritarizzazione, da parte delle maggiori organizzazioni delle Nazioni Unite – Unesco in testa -, riguardo alle concrete povertà dei Paesi c.d. “in via di sviluppo”.

In effetti le loro agende sono troppo occupate da diritti gay e surrogacy (che non è altro che la mercificazione del corpo femminile, il c.d. utero in affitto). Ma questo, fino a quando?

In Il Corriere del Sud, n. 9

anno XXV/16, p. 3

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