Quelle complicanze da utero in affitto…
TANTE DONNE SONO INGANNATE DAL BUONISMO DILAGANTE CHE NON FA ALTRO CHE APPROFITTARSI DI LORO NEL MOMENTO DI DEBOLEZZA, BISOGNO O SEMPLICEMENTE NELLA FALSA CONVINZIONE DI POTER REALIZZARE UN PROPRIO DESIDERIO.
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Di Emmanuele Di Leo
Nel 2015 la californiana Jessica Allen, all’epoca trentenne, moglie e già madre di due bambini di uno e sei anni, decide di ricorrere alla pratica dell’utero in affitto per una terza gravidanza.
Al New York Post dichiara che le sarebbe piaciuto poter ricambiare la gioia di avere dei figli “aiutando” chi li desiderasse, inoltre «volevo restare a casa con i miei figli piuttosto che tornare al mio lavoro come badante per anziani, e abbiamo deciso di investire i soldi per l’acquisto di una casa».
Ha così inizio per la coppia una vicenda complicata che l’ha portata ad appoggiarsi al The Center for Bioethics and Culture Network per far in modo che la propria voce venisse ascoltata.
Poco dopo essersi messi in contatto con l’agenzia specializzata in maternità surrogata, la Allen viene abbinata ai coniugi Liu (nome di fantasia), cinesi. Il contratto prevede che Jessica porti in grembo per loro un bambino frutto di fecondazione in vitro e la ricompensa è stabilità in 30mila dollari.
Alla sesta settimana di gravidanza l’ecografia rivela che i bambini sono due. I Liu sono disposti a tenerli entrambi quindi si accordano per un supplemento del compenso di 5mila dollari per il gemello. I bambini nascono, con parto cesareo, il 12 dicembre 2016, Mike e Max. Il parto è stato fatto dietro uno schermo opaco che impediva a Jessica di vedere i bambini. Subito dopo il parto sono stati portati nell’unità di terapia intensiva neonatale e Jessica non li ha più potuti vedere anche se da contratto le spettava almeno un’ora con loro. Il giorno dopo, la signora Liu le ha fatto visita per mostrarle una foto sul suo cellulare. I bambini sembravano diversi.
Nei giorni successivi le comunicazioni con l’agenzia sono state irregolari. Finalmente il 10 gennaio 2017, pochi giorni prima che si trasferissero nella casa nuova, la signora Liu le manda una foto dei bambini, accompagnata da un paio di domande: «Non sono uguali, vero? Hai idea del perché siano diversi?».
Come aveva notato da subito Jessica, Mike e Max erano diversi. Mike aveva tratti orientali quindi era sicuramente figlio della coppia cinese, mentre Max aveva il colorito e i tratti tipici dei mulatti e poteva sembrare figlio di Jessica e del marito, infatti lei è bianca mentre lui è afroamericano. Una settimana dopo arriva il test del DNA che conferma questa possibilità.
Fenomeno abbastanza frequente nel mondo animale, estremamente raro tra gli esseri umani: è la «superfetazione» ossia la fecondazione di un ovulo che ha luogo quando già un altro ovulo, maturato durante il ciclo mestruale precedente, è stato fecondato e ha cominciato a svilupparsi.
“Non una sola volta durante la gravidanza qualcuno del personale medico fornito dall’agenzia ha affermato che i bambini erano in sacche separate. Per quanto ci riguarda, l’embrione trasferito si era diviso in due e i gemelli erano identici “. “Avevo il cuore spezzato sapendo di avere in grembo un bambino che non sapevo fosse mio e che mi era stato portato via a mia insaputa ed era tra le braccia di altre persone a cui non apparteneva”, ha detto Jessica a The Independent.
E’ questo l’inizio di una lunga controversia legale. I coniugi Liu hanno deciso di affidare Max alle cure dell’agenzia, non volendo crescere un bambino non proprio, richiedendo a Jessica un risarcimento tra i 18mila e i 22mila dollari. La coppia americana non aveva soldi a disposizioni avendo già spesi quelli guadagnati con la surrogazione. L’impiegato dell’agenzia ha quindi messo in adozione Max per poter recuperare i soldi dovuti ai Liu e, se questo non fosse servito, i Liu avrebbero dato loro stessi in adozione Max essendone ancora i genitori legali.
«La nostra priorità era riprenderci Max» racconta Jessica. «Era come se Max fosse una merce e noi stessimo adottando il sangue del nostro sangue». Inoltre «un’impiegata dell’agenzia ci disse che le dovevamo altri 7mila dollari per le spese sostenute per l’accudimento di nostro figlio e per tutte le pratiche burocratiche».
Dopo una sofferta trattativa, il 5 febbraio 2017 Jessica e il marito sono riusciti ad abbracciare Max, che chiameranno Malachi, ma occorreranno ancora alcuni mesi per diventarne legalmente i genitori visto che non comparivano sul suo certificato di nascita.
Alla CBC dichiara che il dolore di non essere con il suo bambino per i primi due mesi della sua vita è qualcosa che non andrà mai via. “Sarebbe potuto tornare a casa dall’ospedale con me, sul mio petto, tra le mie braccia e tra le braccia di papà, non con un gruppo di estranei … a cui veniva consegnato, come un oggetto”. “Questo è un tipo di dolore che non supererai mai perché mi hanno rubato qualcosa che non potrò mai riavere”.
Non ci può essere giustificazione per chi propone un atto che rende la donna e il bambino degli oggetti di scambio. Tante donne sono ingannate dal buonismo dilagante che non fa altro che approfittarsi di loro nel momento di debolezza, bisogno o semplicemente nella falsa convinzione di poter realizzare un proprio desiderio.
La maternità surrogata è una pratica abominevole che vede perdenti tutti gli attori coinvolti. Dalle donne che vengono sfruttate come incubatrici, ai bambini meri oggetti di compravendita. Sono perdenti perfino le coppie, omo o etero che siano, che pur di far fronte al desiderio di genitorialità, sono disposte a mettere mano al portafoglio insabbiando qualsiasi principio morale che possa essere di ostacolo al loro obiettivo. Come affermava Marx nel 1847 “tutto diventa merce”, infatti oggi il corpo lo è diventato.
Lo scenario dei ruoli va a mutare e ci ritroviamo con una economia che famelica si appropria della vita, scavallando il confine tra ciò che è merce e quello che non lo è. Così prende vita la bio-economia che abbattendo ogni limite etico, morale e religioso, impone le sue regole: tutto è merce con valore di scambio. È proprio questo il concetto cardine su cui si basa l’utero in affitto. Gli unici vincitori di questa aberrante pratica sono le imprese che traggono ingenti profitti da questa attività.