Giovanni Baggio (Aiart) sulle preferenze ideologiche e le censure dei social

Giovanni Baggio (Aiart) sulle preferenze ideologiche e le censure dei social

IL PRESIDENTE DELL’AIART CONFERMA IL SOSPETTO DI MOLTI UTENTI: I SOCIAL CENSURANO LE IDEE CONTRARIE A UNA CERTA IDEOLOGIA.

Di Emanuela Maccarrone

Il sospetto per le censure operate da Facebook e Twitter nei confronti di determinate informazioni o di manifestazione del pensiero, hanno trovato una conferma nelle dichiarazioni dell’Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione (Aiart).

“L’Aiart, l’associazione cittadini mediali precisa che determinate scelte editoriali  per ‘nulla banali’ prese in più occasioni dai due giganti del web non sono da sottovalutare. Oltre alla non ‘trasparenza’ nei confronti degli utenti di tali piattaforme che cedono i loro dati alle stesse che  continuano a  mostrare determinate preferenze ideologiche che influenzano cosa gli utenti delle stesse piattaforme possono leggere e condividere”.

E’ quanto ha affermato il Presidente nazionale dell’associazione, Giovanni Baggio, attraverso un comunicato pubblicato nel sito dell’organizzazione.

Secondo il Presidente, l’agire dei due social sta mettendo in pericolo la democrazia: “Giochi di potere pericolosi per la democrazia che ha bisogno di anticorpi per fronteggiare i giganti del web”.

Come ha dichiarato Baggio, una delle caratteristiche fondamentali della democrazia è il confronto tra opinioni diverse o in contrasto. Se questo elemento viene a mancare o viene limitato la democrazia è in pericolo.

I due social in questione agiscono in tal senso, ossia da canalizzatori delle idee che possono essere  diffuse e quali da censurare.

“Se ci rinchiudiamo tutti in una ‘camera dell’eco’ in cui appunto ci raggiungono soltanto le opinioni conformi e quindi quelle che noi stessi abbiamo depositato in rete, la democrazia perde il luogo del confronto e questa è una delle  conseguenze più pericolose”.

Un esempio di quanto sostiene Baggio riguarda il caso Donald Trump di questi giorni.

Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, conseguentemente all’assalto al Congresso, da parte degli pseudo-sostenitori di Trump, ha deciso di bloccare i profili dell’ex Presidente statunitense fino al passaggio di consegne con Joe Biden alla Casa Bianca.

Zuckerberg, con un post, ha giustificato la propria posizione con queste parole: “Il rischio di consentire al presidente di continuare a usare il nostro servizio è semplicemente troppo grande. Per questo estendiamo il blocco che abbiamo deciso sui suoi account Facebook e Instagram a tempo indeterminato e per almeno le prossime due settimane, fino a quando una pacifica transizione di potere sarà completata”.

La stessa decisione è stata presa anche da Twitter che ha provveduto al blocco permanente del profilo dell’ex presidente statunitense. Trump non si arrende e ha comunicato che presto utilizzerà una propria piattaforma.

Il social ha dichiarato di aver represso l’account di Trump per evitare “il rischio che inciti ulteriormente la violenza“. A questo punto viene da chiedersi: se l’interesse dei social è la salvaguardia degli utenti da eventuali messaggi di incitamento all’odio, non si spiega come altri e più espliciti messaggi di violenza non sono o non siano stati immediatamente censurati come, invece, è successo per Trump.

Lo scorso anno, la redazione di Informazione Cattolica aveva denunciato lo squallido hashtag spagnolo che circolava nel social al grido di #fuegoalclero, con il quale si incitava all’odio contro i sacerdoti e alla fede cristiana. Nonostante le denunce da parte di molti utenti, l’hashtag continua a circolare impunemente nel social, costringendo gli utenti a subire questo spiacevole e violento affronto.

Per Twitter questo hashtag non era un mero messaggio d’incitazione all’odio verso il pubblico cattolico?

Dinanzi a questi fatti, si può concordare con quanto ha affermato il Presidente nazionale dell’Aiart. I social sembrano pilotati verso un’ideologia ben impostata e pronta a censurare il pensiero contrario e distante. A questo punto non rimane che allarmarsi sul destino della democrazia nelle ‘civiltà’ contemporanee.

 

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