Poco divulgato nei media e nelle Parrocchie, un testo di Benedetto XVI da riscoprire!
BENEDETTO XVI, CHE E’ UN AMANTE DELLA MUSICA CLASSICA, UTILIZZA LA ANALOGIA DELLA “SINFONIA” PER DESCRIVERE L’ARMONICA REALIZZAZIONE PER L’UOMO DELLA PAROLA DI DIO
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Di Giuseppe Brienza
L’esortazione apostolica post-sinodale “Verbum Domini” ha compiuto lo scorso settembre dieci anni.
Datata 30 settembre 2010, ha comportato un lavoro non indifferente per Benedetto XVI, trattandosi di un testo di circa 230 pagine e 124 punti.
Proviamo a sintetizzarne alcuni passaggi.
La prima delle Parti, intitolata “Verbum Dei”, è la più consistente, quasi metà dell’intero documento, cui seguono la II, “Verbum in Ecclesia” e la III, “Verbum Domini”.
L’esortazione apostolica segue alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, tenutasi in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008, che ha avuto come tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
La riflessione di Benedetto XVI sulle Propositiones approvate dai Padri sinodali è stata molto approfondita, come testimoniato dai quasi due anni intercorsi fra la Verbum Domini, e la fine del consesso.
Nell’Introduzione, intitolata Perché la nostra gioia sia perfetta, il Santo Padre definisce il Sinodo dei Vescovi «un’esperienza profonda di incontro con Cristo, Verbo del Padre, che è presente dove due o tre si trovano riuniti nel suo nome (cfr Mt.18,20)», accogliendo «volentieri la richiesta dei Padri di far conoscere a tutto il Popolo di Dio la ricchezza emersa nell’assise vaticana e le indicazioni espresse dal lavoro comune» (n. 1).
Benedetto XVI inizia poi col ricordare (n. 3) come, a partire dal Pontificato di Leone XIII (1878-1903) vi sia stato un crescendo di interventi sull’importanza della Parola di Dio e degli studi biblici, culminato ma non “esaurito” nella Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla divina Rivelazione, “Dei Verbum”.
Questo anche per rispondere a chi, da ultimo l’ha fatto il cardinal Carlo Maria Martini (1927-2012) nel suo “testamento spirituale”, accusa la Chiesa di aver «restituito la Bibbia ai cattolici» solo a partire dall’ultimo concilio (cit. in Georg Sporschill SJ-Federica Radice Fossati Confalonieri, L’ultima Intervista di Carlo Maria Martini, in Corriere della Sera, 1° settembre 2012). In un decreto del 13 dicembre 1898, per esempio, Leone XIII stabilì delle indulgenze per la lettura della Bibbia: 300 giorni per una lettura del Vangelo di un quarto d’ora, indulgenza plenaria per una lettura regolare, almeno mensile.
Ritornando al testo della Verbum Domini, tra gli interventi degli ultimi quarant’anni (di diversa natura magisteriale), che Benedetto XVI ricorda nella Introduzione (v. nota 8, al p. 3), si parte dalla Lettera apostolica di Paolo VI (1963-1978), Summi Dei Verbum del 4 novembre 1963, per concludere con il documento della Pontificia Commissione Biblica, Bibbia e morale. Radici bibliche dell’agire cristiano (11 maggio 2008).
Il Papa ne addita uno dei punti più importanti nel rinnovato impegno missionario che dovrebbe scaturire dalla lettura della Bibbia. Infatti, come scrive Benedetto XVI, «è dono e compito imprescindibile della Chiesa comunicare la gioia che viene dall’incontro con la Persona di Cristo, Parola di Dio presente in mezzo a noi. In un mondo che spesso sente Dio come superfluo o estraneo, noi confessiamo come Pietro che solo Lui ha “parole di vita eterna” (Gv 6,68). Non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza (cfr Gv 10,10)» (n. 2).
Una missione che non dovrebbe dimenticare naturalmente l’evangelizzazione della cultura e delle “strutture sociali”, come è stato opportunamente ricordato a commento dell’esortazione apostolica (cfr. Giuseppe Montano, L’impegno sociale nella Verbum Domini, in La Società. Rivista scientifica di dottrina sociale della Chiesa, anno XXII, n. 3, Verona maggio-giugno 2012, pp. 440-458).
Nella Prima Parte dell’esortazione apostolica, intitolata Analogia della Parola di Dio, il Papa insiste invece su concetti biblici piuttosto “tecnici”, ribadendo il principio talvolta contestato di unità intrinseca della Bibbia. Lo fa ad es. nel n. 39, nel quale raccomanda anche l’utilizzo di una terminologia ortodossa nell’individuazione dei rapporti fra vecchia e nuova Alleanza: «Nel Nuovo Testamento, generalmente non si usa il termine “la Scrittura” (cfr Rm 4,3; 1Pt 2,6), ma “le Scritture” (cfr Mt 21,43; Gv 5,39; Rm 1,2; 2Pt 3,16), che, tuttavia, nel loro insieme vengono poi considerate come l’unica Parola di Dio rivolta a noi. Con ciò appare chiaramente come sia la persona di Cristo a dare unità a tutte le “Scritture” in relazione all’unica “Parola”».
Benedetto XVI, che è come noto un amante della musica classica ed interprete col suo pianoforte soprattutto delle melodie di Franz Schubert (ma anche di Bach e Mozart), utilizza la analogia della “sinfonia” per descrivere l’armonica realizzazione per l’uomo della Parola di Dio. Se la prima “sinfonia” di Dio con le creature si ha nel popolo d’Israele, è la Chiesa la sinfonia perfetta dato che lo Spirito Santo ne costituisce il Maestro e direttore, coadiuvato dai musicisti che sono gli scrittori sacri.
Scrive infatti il Papa: «Si è giustamente parlato di una sinfonia della Parola, di una Parola unica che si esprime in diversi modi: “un canto a più voci”. I Padri sinodali hanno parlato a questo proposito di un uso analogico del linguaggio umano in riferimento alla Parola di Dio» (n. 7).
Nella Seconda Parte, “Verbum in Ecclesia”, Benedetto XVI inizia innanzitutto a col fare suo il monito dell’Assemblea sinodale riguardo la necessità di una maggior cura della proclamazione della Parola di Dio nella liturgia. Di questa trascuratezza parla quando sottolinea come «Il Prologo del quarto Vangelo ci pone di fronte anche al rifiuto nei confronti della divina Parola da parte dei “suoi” che “non l’hanno accolto” (Gv 1,11). Non accoglierlo vuol dire non ascoltare la sua voce, non conformarsi al Logos» (n. 50).
I Padri sinodali hanno a tal proposito raccomandato la cura dell’esercizio del munus di lettore nella celebrazione liturgica che, nel rito latino, è ministero laicale: «È necessario che i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne avessero ricevuta l’istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno. Tale preparazione deve essere sia biblica e liturgica, che tecnica [per] rendere i lettori sempre più idonei all’arte di leggere in pubblico, sia a voce libera, sia con l’aiuto dei moderni strumenti di amplificazione» (n. 58).
Già nell’Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis (2007), Benedetto XVI aveva ricordato che «in relazione all’importanza della Parola di Dio si pone la necessità di migliorare la qualità dell’omelia. Essa infatti “è parte dell’azione liturgica”; ha il compito di favorire una più piena comprensione ed efficacia della Parola di Dio nella vita dei fedeli» (n. 46).
Qui ribadisce con maggior forza come essa debba costituire «un’attualizzazione del messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la presenza e l’efficacia della Parola di Dio nell’oggi della propria vita… Di conseguenza…Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico» (n. 58).
Al punto 54 (nota 191), per sottolineare il rapporto tra Parola di Dio ed Eucaristia, Benedetto XVI ricorre ad una citazione d’eccezione, di un oscuro vescovo medievale, “Waltramus”, del quale non si conoscono neanche le esatte generalità. Secondo alcuni studiosi si chiamerebbe “Walram” o “Walramus”, e sarebbe morto nel 1111. Si tratterebbe quindi del vescovo di Naumburg, piccola città della Sassonia-Anhalt (oggi di neanche 35mila abitanti) che, nell’opera De unitate Ecclesiae conservanda, come richiama il Papa nell’esortazione apostolica, afferma: «La carne del Signore è vero cibo e il suo sangue vera bevanda … nutrirsi della sua carne e bere il suo sangue, non solo nell’Eucaristia, ma anche nella lettura della Sacra Scrittura. Infatti è vero cibo e vera bevanda la parola di Dio che si attinge dalla conoscenza delle Scritture» (ed. W. Schwenkenbecher, Hannoverae 1883, XXII, , p. 33).
Veniamo infine alla Terza Parte del documento, nel quale Benedetto XVI ritorna sulla necessità, ribadita dal Sinodo dei Vescovi, di rinvigorire nella Chiesa la coscienza missionaria, presente nel Popolo di Dio fin dalla sua origine. «I primi cristiani – ricorda il Papa al n. 92 – hanno considerato il loro annuncio missionario come una necessità derivante dalla natura stessa della fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che tutti gli uomini, nel loro intimo, attendono. Le prime comunità cristiane hanno sentito che la loro fede non apparteneva ad una consuetudine culturale particolare, che è diversa a seconda dei popoli, ma all’ambito della verità, che riguarda ugualmente tutti gli uomini».
Da quest’ultimo punto di vista, Benedetto XVI intende raccomandare ancora una volta come, nelle forme di dialogo e collaborazione con l’islam, vada imprescindibilmente «Tenuto conto della distinzione tra l’ordine socio-politico e l’ordine religioso» (n. 118). Si tratta di un punto che, a mio avviso, andrebbe letto assieme a quello che chiude la Parte prima della Verbum Domini, dedicato alla lettura “fondamentalista” della Bibbia, confacente alla descrizione del rapporto fra musulmano e Corano. «Il fondamentalismo – scrive infatti il Papa – evita la stretta relazione del divino e dell’umano nei rapporti con Dio. … Per questa ragione, tende a trattare il testo biblico come se fosse stato dettato parola per parola dallo Spirito e non arriva a riconoscere che la Parola di Dio è stata formulata in un linguaggio e una fraseologia condizionati da una data epoca. Al contrario, il cristianesimo percepisce nelle parole la Parola, il Logos stesso, che estende il suo mistero attraverso tale molteplicità e la realtà di una storia umana» (n. 44).
Nella Conclusione, dedicata a Nuova Evangelizzazione e nuovo ascolto, Benedetto XVI sente significativamente il bisogno di esortare tutto il Popolo di Dio ad «impegnarsi per diventare sempre più familiari con le sacre Scritture. Non dobbiamo mai dimenticare che a fondamento di ogni autentica e viva spiritualità cristiana sta la Parola di Dio annunciata, accolta, celebrata e meditata nella Chiesa. Questo intensificarsi del rapporto con la divina Parola avverrà con maggiore slancio quanto più saremo consapevoli di trovarci di fronte, sia nella sacra Scrittura che nella Tradizione viva della Chiesa, alla Parola definitiva di Dio sul cosmo e sulla storia» (n. 121).
Riscoprire la centralità della divina Parola nella vita cristiana, come insegna questo documento fondamentale del Magistero di Papa Ratzinger, permette di ritrovare il senso più profondo di quanto il Concilio Vaticano II ha solennemente proclamato, vale a dire la missio ad gentes. Quella, quindi, che il beato Giovanni Paolo II ha invitato ad intraprendere con tutte le forze, la nuova evangelizzazione, soprattutto in quelle nazioni, come l’Italia, dove il Vangelo è stato in gran parte dimenticato.
Riattualizzazione da
L’esortazione apostolica “Verbum Domini” di Benedetto XVI
In Il Corriere del Sud n. 11
anno XXI/12, p. 3