E’ necessario promuovere l’iniziativa umana e la libertà, non la deresponsabilizzazione e l’umiliazione

E’ necessario promuovere l’iniziativa umana e la libertà, non la deresponsabilizzazione e l’umiliazione

OGNI ESSERE UMANO HA UN DECISIVO BISOGNO DI RICEVERE DAGLI ALTRI E DALLO STATO UN RICONOSCIMENTO CONFORME ALLA PROPRIA DIGNITÀ TRASCENDENTE

Di Giacomo Samek Lodovici

La dignità di ogni essere umano esige nei rapporti interpersonali un adeguato riconoscimento e lo esige anche sul piano socio-politico: la logica della sussidiarietà è quella che riproduce nella sfera pubblica, come vedremo, il migliore riconoscimento interpersonale.

Dignità umana

Ogni persona ha una dignità incommensurabile, che va rispettata, custodita, difesa, promossa, in forza della sua natura razionale, che lo rende (o lo ha in passato reso) potenzialmente capace (prima o poi, salvo patologie) di esercitare la libertà, l’amore, il senso estetico, la sensibilità etica, la progettualità, eccetera.

La dignità umana è la preziosità, il valore incommensurabile dell’uomo che lo innalza al di sopra del resto dell’universo. Così, come dice Kant, «ha un prezzo ciò al cui posto può essere messo anche qualcos’altro, di equivalente; per contro, ciò che si innalza al di sopra di ogni prezzo, e perciò non comporta equivalenti, ha una dignità».

Il tema della dignità umana sarebbe vastissimo ed ha suscitato svariati dibattiti su cui qui non è possibile addentrarsi. Ci limitiamo a dire che bisogna distinguere la dignità ontologica dalla dignità morale: la prima inerisce all’uomo in forza della sua natura (per ragioni che non è qui possibile argomentare) ed è immutabile, la seconda è correlata all’esercizio degli atti buoni/malvagi, può quindi accrescersi, diminuire, scomparire.

Riconoscimento

Ora, l’uomo esige il riconoscimento del proprio valore per «attivare pienamente le proprie capacità affettive e intellettuali e per raggiungere il senso della propria identità: chi non si sente affettuosamente accolto, non riesce ad accogliersi», non riesce ad amare se stesso, e «chi non sa accogliersi non ha la carica affettiva sufficiente per esplicare le sue capacità fondamentali» (F. Botturi). Fin dalla nascita, l’uomo ha un bisogno cruciale di uno sguardo accogliente che, attraverso l’affetto, gli manifesti un riconoscimento del proprio valore: ha bisogno in particolare dello sguardo di una madre, o di chi svolga le funzioni materne.

Anche per l’adulto l’affetto-riconoscimento resta cruciale, pena patire spesso diversi problemi della personalità.

E il riconoscimento è tanto più benefico quanto più evita di generare l’altro a propria immagine e somiglianza, e lo aiuta piuttosto a far fruttificare, nel bene, i propri talenti singolari. Deve dunque evitare l’iper direttività, il paternalismo (che è una cura negativa, anche quando è benintenzionato) e l’inglobamento, ed esercita piuttosto la sussidiarietà (su cui ritorneremo fra poco): deve sorreggere maieuticamente la libertà altrui non già sostituendosi ad essa, bensì sostenendola, come fa appunto il sostegno con una pianta, che non la soppianta né la soffoca, bensì la sostiene affinché possa crescere, fiorire e fruttificare.

Del resto, la dignità della persona esige che se ne promuova l’iniziativa e la libertà invece di deresponsabilizzarla e umiliarla togliendole delle mansioni (in rapporto alle scelte gravemente malvagie della libertà diventano necessari dei vincoli; ma questo è un altro discorso).

Il principio di sussidiarietà

La logica della sussidiarietà è la stessa che presiede all’esercizio del riconoscimento: non soppianta il destinatario (che sia un singolo soggetto o un gruppo intermedio), bensì lo attiva, lo incoraggia, lo accompagna, lo aiuta, ecc., senza sostituirsi ad esso in tutto ciò che il destinatario è in grado di fare da solo e mira a renderlo sempre più autonomo e autosufficiente.

Infatti, il principio di sussidiarietà afferma che è sbagliato sottrarre ad una persona ed affidare ad una comunità ciò che la persona può fare con le proprie forze e con la propria iniziativa o grazie ad un aiuto, e che, analogicamente, è inoltre ingiusto togliere ad una comunità minore ed affidare ad una comunità maggiore, o allo Stato stesso, ciò che la comunità minore è in grado di fare da sola o con un aiuto: il compito dello Stato è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già di atrofizzarle, distruggerle o assorbirle.

Perché? Per almeno sei motivi.

Ogni persona (almeno se è sufficientemente sana) e ogni comunità hanno almeno qualche energia da offrire alla società, cosicché è più vitale ed efficiente – con maggiori benefici per il bene comune − un organismo sociale le cui membra sono piene di vita e di iniziativa rispetto a quello in cui le membra sono passive ed atrofiche.

Mentre lo Stato centrale è lontano dal territorio da governare, viceversa il comitato di quartiere, il consiglio di zona, il Comune, ecc., sono sul territorio e quindi sono molto più a conoscenza delle sue caratteristiche e necessità.

Uno Stato che interviene in tutti i campi diventa ipertrofico e insieme dispersivo, meno efficace (anzi spesso deficitario) nello svolgimento dei compiti che solo l’autorità politica può eseguire: se viceversa lo Stato si focalizza su questi suoi compiti esclusivi e specifici, ne trae giovamento il bene comune.

La persona si autorealizza attraverso l’agire buono, dunque non bisogna tarparne l’agire e l’iniziativa, bensì bisogna sollecitare i soggetti ad un’attiva partecipazione alla vita della polis.

La dignità della persona esige che se ne promuova l’iniziativa, la responsabilità e la libertà (purché non usata in modo ingiusto verso altri), invece che deresponsabilizzarla ed umiliarla togliendole le mansioni (se un capoufficio ci toglie le mansioni che siamo capaci di svolgere – e se lo fa non per sollevarci da una fatica eccessiva o che non ci compete o da una mansione che non ci aggrada – con ciò stesso ci mortifica).

Visto che è un diritto del singolo costituire delle associazioni (purché rispettose dei diritti dei singoli), ne segue che lo Stato è ingiusto se pretende di assorbire ed eliminare i corpi intermedi.

Il principio di sussidiarietà implica la promozione, da parte dello Stato, delle attività delle persone e delle associazioni, mediante l’aiuto (subsidium) concreto (economico, giuridico, proponendo [e non imponendo] consulenze da parte dei propri esperti, ecc.) e mediante la creazione e il mantenimento efficiente di istituzioni (educative, legislative, tecnologiche, ecc.) che consentano o comunque propizino l’iniziativa delle persone e delle comunità intermedie.

Ed implica la scelta di non restringere (tranne quando qualcuno attenta alla comunità), o perlomeno di non cancellare del tutto, gli spazi di iniziativa, di creatività, di interazione reciproca, ecc., delle persone e dei corpi intermedi.

Ad esempio (attingiamo dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 187, che si esprime al riguardo in termini non confessionali), contraddicono la sussidiarietà diverse forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, e in generale la presenza ipertrofica dello Stato nella vita sociale.

Per converso, alla sussidiarietà concorrono il rispetto, la valorizzazione e la promozione effettiva della persona, della famiglia, delle associazioni e dei corpi intermedi; l’incoraggiamento espresso e fattivamente offerto all’iniziativa privata; la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; in generale un’adeguata responsabilizzazione del cittadino, se egli viene incoraggiato ed aiutato ad essere protagonista attivo della vita sociale e politica.

 

In Il Corriere del Sud n. 7
anno XXVI/17, p. 3

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