Paolo VI: il Papa delle innovazioni e del dialogo
SAN PAOLO VI COLSE L’URGENZA DEL CAMBIAMENTO, PROPONENDO COME RIFERIMENTO IMPRESCINDIBILE LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA E SVILUPPANDO IL RAPPORTO CHE DOVEVA INSTAURARSI TRA GLI INDIVIDUI E LE NAZIONI
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Di Don Gian Maria Comolli*
Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini, fu Papa dal 1963 al 1978. Sarà ricordato dalla storia come il Papa del Concilio Vaticano II, desiderato e inaugurato con spirito profetico dal suo predecessore Giovanni XXIII, ma che toccò a lui condurre a termine con tenacia e con sapienza accompagnandone le prime tormentate applicazioni nella vita della Chiesa.
Montini fu uomo di pensiero e di cultura, rammaricato poiché gli assillanti incarichi del suo Ufficio non gli lasciavano spazio per un più frequente contatto con un mondo che tanto amava e apprezzava. Una sua caratteristica personale, propria e inconfondibile, che colpì ammiratori e critici, fu lo sguardo sereno e profondo, dal tratto riservato eppure tanto amabile e cortese.
Paolo VI fu anche il Papa del “dialogo”. Ha scritto in proposito il filosofo cattolico francese Jean Guitton (1901-1999); “Qualunque cosa accada, successo o insuccesso, il Pontificato di Paolo VI sarà ricordato come quello del dialogo con tutti gli uomini” (Dialoghi con Paolo VI, Rusconi 1986).
L’uomo è fatto per il dialogo: questa fu la convinzione che accompagnò tutto il pontificato Papa Montini. A questo punto non possiamo non ricordare il comportamento del Pontefice in occasione del sequestro del leader democristiano Aldo Moro (1916-1978).
La “Lettera agli uomini delle Brigate Rosse”, scritta nella notte del 20 aprile 1978, fu una delle manifestazioni più esplicite dell’importanza che Paolo VI riservò al dialogo . Un coraggioso tentativo in cui si nota il rammarico di “non aver alcun contatto” con i sequestratori, dai quali ci fu come sappiamo solo silenzio. Il dialogo, infatti, non sempre è coronato da successo poiché ci si può scontrare con posizioni irremovibili. Ma è comunque, e in ogni circostanza, un comportamento positivo anche solo l’aver compiuto dei passi per cercare l’incontro con l’altro.
L’Enciclica sociale Populorum Progressio (“Lo sviluppo dei popoli”), definita da Papa Benedetto XVI “la Rerum Novarum dell’epoca contemporanea”, è uno dei documenti più conosciuti del Magistero di Papa Montini. Promulgata il 26 marzo 1967, questa enciclica è formata da due parti, la prima intitolata Per uno sviluppo integrale dell’uomo, la seconda Verso lo sviluppo solidale dell’umanità. Costituisce un forte e vigoroso appello alla “giustizia” e alla “solidarietà universale”, in un periodo di transizione che concludeva tre decenni post–bellici e un intenso sviluppo economico oltre che demografico. In quella situazione, secondo Paolo VI, “la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale”, ed era urgente una risposta dato che “i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza”. In questo contesto, il non intervenire sarebbe equivalso per il Papa affrontare “la collera dei poveri”.
Ebbene, Paolo VI colse l’urgenza del cambiamento, proponendo come riferimento imprescindibile la Dottrina Sociale della Chiesa e sviluppando il rapporto che doveva instaurarsi tra gli individui e le nazioni. Non poteva mancare, quindi, la sollecitazione all’abbandono degli egoismi nazionalistici nell’ottica dell’interesse generale della collettività internazionale.
Accanto a queste basi, il concetto che guida la Populorum Progressio riguarda lo sviluppo che non può essere ridotto alla crescita economica ma dovrà essere “integrale”, cioè volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Per questo Paolo VI disgiungerà il concetto di “crescita” da quello di “sviluppo”.
“Crescita” è un vocabolo che si riferisce prevalentemente ai beni materiali, da qui la critica al sistema economico che reputa “il profitto come motore essenziale del progresso economico e la concorrenza come legge suprema dell’economia”. Mentre lo “sviluppo”, termine citato ottanta volte nell’Enciclica, colloca al centro dell’economia la persona e i suoi valori. Di conseguenza, unicamente lo sviluppo, può plasmare un umanesimo planetario, cioè costruire “un mondo, in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di religione, di nazionalità, possa vivere una vita pienamente umana, superando le servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente padroneggiata”. Lo “sviluppo” per Paolo VI è così importante da essere definito “sinonimo di pace” e, anzi, “il nuovo nome della pace”.
La Populorum Progressio fu oggetto di critiche, talvolta anche feroci, da parte di ambienti economici e capitalistici. Alcuni apostrofarono il Papa come “marxista”, soprattutto per quello che aveva affermato riguardo alla proprietà privata, che “non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno”.
Il 27 marzo 1968, nel primo anniversario della pubblicazione dell’Enciclica, ricordando quelle reazioni il Pontefice affermò: “È la religione che offre fondamento di giustizia alle rivendicazioni dei non abbienti, quando ricorda che tutti gli uomini sono figli d’uno stesso Padre (…). Potevamo noi tacere, se così stanno le cose? Non potevamo. E perciò abbiamo parlato”.
Anche la Octogesima Adveniens (“Ad ottant’anni”) è una Lettera Apostolica centrale nel Magistero sociale di Paolo VI, indirizzata il 15 maggio 1971 al Cardinale Maurice Roy, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici e in occasione dell’ottantesimo anniversario della Rerum Novarum. E’ divisa in quattro parti: Nuovi problemi sociali; Aspirazioni fondamentali e correnti di idee; I cristiani dinnanzi ai nuovi problemi e Invito all’azione a tutti i cristiani.
Il Papa vi sviluppa il suo pensiero fissando lo sguardo sul periodo storico che il mondo stava vivendo, in particolare sulla complessità e sulle nuove tendenze che stavano emergendo, di turbolenza per le contestazioni e per le due ideologie ormai dominanti: quella marxista e quella materialista atea. Non tralascia, infine, delle osservazioni sull’espansione economica dove prevale il mito del progresso. Paolo VI, da una parte riconosce i vantaggi di quel tempo, ma non minimizza gli svantaggi che identifica in un “urbanesimo sregolato” che, “invece di favorire l’incontro fraterno e l’aiuto vicendevole […] sviluppa le discriminazioni e anche l’indifferenza; fomenta nuove forme di sfruttamento e di dominio, dove certuni, speculando sulle necessità di altri, traggono profitti inammissibili”.
Altro detrimento Papa Montini lo identifica nella crescita smisurata dei consumi, determinati anche dai mezzi di comunicazione di massa che, di per sé, sono positivi, ma spesso influiscono “sulla trasformazione delle mentalità, delle cognizioni, delle organizzazioni e della società stessa”. Inoltre, a volte, i media risultano negativi “nei confronti dell’esercizio delle libertà individuali, tanto nel settore politico e ideologico, come nella vita sociale, economica e culturale”. Essi costituiscono un “nuovo potere ed hanno gravi responsabilità morali in rapporto alla verità delle informazioni che essi devono diffondere, in rapporto ai bisogni e alle reazioni che fanno sorgere e ai valori che propongono”.
Ultima critica riguarda l’ambiente naturale: “L’uomo prende coscienza bruscamente dello sfruttamento sconsiderato della natura, tanto da rischiare di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione”. E con il degrado ambientale, il Pontefice indica il “contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile”.
Che cosa chiede quindi Paolo VI ai cristiani? Un impegno serio e competente nel settore politico: “Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli – locale, regionale, nazionale e mondiale – significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità. La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri”.
La Lettera Apostolica termina con delle indicazioni concrete, invitando ad operare secondo i principi di un vero umanesimo, pur in un pluralismo di opzioni e rilanciando la funzione e la testimonianza delle organizzazioni cristiane.
*Don Gian Maria Comolli, ordinato sacerdote nel 1986, da trent’anni è cappellano ospedaliero. Dopo aver conseguito un dottorato in Teologia, una laurea in Sociologia ed aver frequentato diversi master e corsi di perfezionamento universitari, attualmente collabora con l’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano ed è segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia.
Testo pubblicato per gentile concessione dell’autore (tratto dal blog: www.gianmariacomolli.it).