La fede cristiana in una scuola che cambia
LA PANDEMIA INDUCE A RIDISEGNARE NON SOLO IL SERVIZIO SCOLASTICO SUL TERRITORIO MA LE STESSE COMUNITÀ LOCALI; NON SOLO L’ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA MA LA STESSA OFFERTA FORMATIVA
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Di Anna Tortora
Fanno ressa, nel Governo, problemi e norme di trasformazione del sistema sociale, istituzionale, scolastico che si sono addensati negli ultimi dieci mesi. In attesa di qualcosa abbiamo i banchi a rotelle. Sicché riprende la fatica di Sisifo, mitologico eroe di un’impresa mai conclusa. Ma non è impossibile che, prima o poi, si venga a capo di una credibile riforma della scuola.
Con quale atteggiamento il docente cristiano segue queste vicende? Come affronta il fenomeno della Dad?
La risposta giusta potrebbe essere: il cristiano segue queste vicende con fedeltà al proprio compito antropologico e istituzionale, nella buona e nella cattiva sorte.
“Siano contenti piuttosto i cristiani, seguendo l’esempio di Cristo, che fu artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio” (GS. 43).
E ancora “Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e le realizzino”.
Ci sono, nella scuola, fonti di disagio dovute alle contraddizioni generali della società odierna, alle condizioni della specifica situazione italiana (con la pandemia peggiorate ulteriormente) e alla situazione di una scuola che cambia velocemente (ogni anno c’è almeno una novità), pur in assenza di piani culturali, di tipo legislativo ed economico.
Dai media esce questo quadro relativo alla scuola: all’origine c’è il disagio, una specie di primordiale brodo di cultura, di tutti i germi patogeni che attaccano la nostra stirpe. Su questo disagio intervengono istituzioni, dal Governo ai dirigenti scolastici. Ad oggi i risultati sono i banchi a rotelle. Parlo della situazione attuale che viene già, ripeto, da un insieme di disastri.
“Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, ciò implicati in tutti i singoli doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificato del mondo mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e con il fulgore della fede, della speranza, della carità. A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo e crescano e siano di lode al Creatore e al Redentore (LG. 31).
La pandemia induce a ridisegnare non solo il servizio scolastico sul territorio, ma le stesse comunità locali; non solo l’organizzazione scolastica, ma la stessa offerta formativa, in contesti verticalizzati che rimettono in discussione la cultura. Sì, la cultura fin troppo maltrattata.
Il Coronavirus e la pandemia non rappresentano la fine di tutto, ma la frammentazione, l’incertezza, la diffusione della paura a 360 gradi.
Nel nostro Paese, dalla Costituzione in poi, la categoria pervalente della politica scolastica è diventata quella del diritto allo studio: obbligo scolastico e diritto allo studio sono categorie giuridiche, che colgono il problema dello studio dal punto di vista di una doverosità di carattere sociale e personale.
In queste rappresentazioni del fenomeno scuola non si fa riferimento alla qualità dell’istruzione e neppure ai risultati che questa si propone.
Ma l’educazione nella nostra cultura è, soprattutto, qualcosa di trascendentale rispetto al concetto di istruzione, di socializzazione, di integrazione, comunicazione e formazione.
Quando diciamo che la persona va educata, non diciamo che la persona non va istruita, bensì che istruirla non basta.
Le famiglie, dal canto loro, sono in crisi perché si sono trovate in difficoltà con la Dad e, come tutti, con un’improvvisa pandemia.
Di fronte a tale stato di cose, se non si dà vita ad un’azione complessiva di “paidea”, noi avremo delle situazioni sempre maggiormente influenzate dall’emblematicità decadente di quella che è la più grande metafora italiana.
“I cristiani, in cammino verso la città celeste, devono cercare e gustare le cose di lassù; questo non diminuisce, ma anzi aumenta l’importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano. E in verità il mistero della fede cristiana offre loro eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con maggior impegno questo compito, e specialmente per scoprire il pieno significato di quest’opera, mediante la quale la cultura umana acquista un posto importante nella vocazione totale dell’uomo” (GS. 57).