L’uomo e l’unità sostanziale di anima e corpo
Di Sara Deodati*
Una delle “piste” teologiche e filosofiche da riproporre per indurre a ripensare il materialismo prevalente è a mio avviso quella della dualità anima-corpo. Non è un caso se, a partire dalla dottrina dell’anima umana nell’antichità, i Padri della Chiesa e lo stesso San Tommaso d’Aquino hanno costruito a partire da tale verità un vero e proprio edificio di pensiero e di Fede.
Cominciamo a precisare che, a differenza dell’ultimo secolo, in passato al momento di descrivere la natura umana, tutte le antropologie scientifiche, filosofiche e teologiche sono state univoche nel parlare delle diverse componenti dell’essere umano utilizzando il binomio anima (o spirito) e corpo. Se avessimo per esempio posto ai nostri nonni la domanda “Chi è l’uomo?”, quasi tutti istintivamente avrebbero risposto che è un soggetto composto da due elementi, oppure aspetti fondamentali, più o meno legati, quali appunto l’anima e il corpo.
Prima di considerare i vari modi in cui è stata impostata nel corso del tempo la dualità anima-corpo, è necessario riflettere come questa dualità corrisponda all’esperienza umana spontanea. A questo fine possiamo dire che la persona ha esperienza di sé come entità che appartiene a due mondi diversi, a due livelli di realtà apparentemente impenetrabili che la portano a percepirsi da una parte come un soggetto che nella sua interiorità contempla, pensa, decide, dall’altra come un oggetto che esiste fuori della propria soggettività e quasi indipendentemente da essa. Esiste pertanto nell’uomo il mondo del pensiero che costituisce la parte attiva, spirituale, che conduce verso l’alto e ciò che sembra passivo, ovvero il corpo che è spesso lento, pieno di inerzia materiale e “tira” verso il basso.
Mentre l’identità spirituale dell’uomo rimane chiusa in lui, la parte corporale è aperta all’esterno, alla relazione naturalmente portata alla comunicazione, divenendo così espressione della socialità umana.
A partire da questa esperienza si pone il problema d’inquadrare la struttura dell’uomo come un «essere insieme corporeo e spirituale», come la definisce il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 362. Per capire come sia stata impostata questa dualità nel corso della storia, si deve partire dall’analizzare il pensiero antico e, in particolare, quello greco.
A livello prettamente filosofico, in quest’ultimo ambito è possibile evidenziare una duplice comprensione del rapporto tra anima e corpo. In Platone abbiamo un’antropologia fortemente dualista, per cui le anime hanno un’origine celeste e sono considerate come delle particelle staccatesi da uno “Spirito” infinito (pneuma). Queste particelle entrando nei corpi danno loro vita e, solo dopo una condotta eticamente retta nella quale viene raggiunta una completa purificazione, possono finalmente reintegrate nella loro primitiva origine spirituale. L’uomo s’identifica così nella sua anima e non nel suo corpo, da considerarsi come uno strumento meramente estrinseco, una “prigione” e, come diceva Seneca un «peso e castigo per quest’anima».
Aristotele ha una visione opposta che insiste su un’antropologia dell’unità psicosomatica dell’essere umano, l’anima considerata come la forma sostanziale del corpo. Non si comprende bene, dagli scritti del filosofo, quale sia il suo destino dopo la morte, se cioè quello che lui chiama l’intelletto agente che è di origine divina, sia individuale e dunque presente in ogni essere umano oppure no. Nel secondo caso l’immortalità sarebbe soltanto collettiva e dunque implicherebbe la perdita dell’individualità.
La definizione dell’uomo contenuta nel libro della Genesi, ovvero quale essere fatto a immagine e somiglianza di Dio, acquista tutta la sua forza alla luce del Vangelo di Cristo.
A partire dall’Incarnazione infatti, inizia una lunga riflessione sulla natura umana che segue due tendenze: una di tipo platonico che considera l’uomo come anima con un corpo solo “annesso” ed una di tipo aristotelico che considera l’uomo come un composto unitario di anima e corpo.
Seppur a livello descrittivo nei primi secoli del Cristianesimo sono state maggiormente accettate le categorie antropologiche platoniche in quanto apparentemente più in sintonia con la Rivelazione. Con ciò sarebbe comunque assolutamente sbagliato pensare ad un’impostazione dualista dei primi pensatori cristiani, tanto più che il dualismo corpo-anima, proprio delle eresie gnostiche, portava a considerare l’universo come il risultato di due principi eterni, quello spirituale e quello materiale, con il primo associato al nulla o al male (manicheismo), in netta contrapposizione con la visione biblica che riconosce un solo Dio autore di ogni cosa e la piena dignità del corpo umano in quanto destinato alla risurrezione.
Partendo dalla verità dell’uomo creato ad immagine di Dio, i Padri della Chiesa nel rispondere alla gnosi, si concentrarono sul corpo, evidenziandone la sua funzione di accoglienza dell’anima e il suo essere plasmato direttamente da Dio.
Taziano (180) spiega che se l’uomo è in grado di vivere secondo Dio, il suo corpo può essere abitato dallo Spirito.
Secondo Giustino (165), l’uomo è «un animale razionale, il risultato della composizione del corpo con la sua anima».
Ireneo di Lione (200), in polemica con gli gnostici, sostiene la bontà originaria della materia e della carne concludendo che l’uomo compiuto è soltanto quello spirituale destinato alla comunione con lo Spirito.
Tertulliano (230), autore in linea con Ireneo, considera l’essere umano come una realtà eminentemente corporale. Egli ritiene, infatti, che l’uomo è prima di tutto corpo formato da carne che solo successivamente, è animato. La dimensione corporale è quindi vista come il “cardine della salvezza”, ma solo in un secondo momento il corpo animato si trasforma in corpo spirituale.
Per tutti questi autori possiamo comunque rilevare che, più o meno esplicitamente o intensamente, l’uomo risulta un composto di corpo e anima, senza che un aspetto abbia una priorità netta sull’altro.
Per quanto riguarda l’Oriente cristiano, dobbiamo rilevare una maggiore tendenza ad attribuire una netta priorità dell’anima sul corpo per spiegare l’origine e la dignità dell’essere umano come immagine di Dio. Negli scritti dei vari autori di riferimento, non si rinviene una negazione dell’unità dell’uomo quanto piuttosto un riconoscimento dell’anima come elemento di specificità dell’essere umano.
In Clemente d’Alessandria si nota la presenza di un’impostazione platonica che tende a dare all’anima maggiore evidenza e dignità rispetto al corpo, ma è soprattutto in Origene che i tratti platonici acquistano maggiore consistenza. L’essenza dell’uomo è l’anima razionale che è caduta nel mondo da una “regione superiore” e che tende a ritornare al punto di partenza o stato originario. Pur senza arrivare a riconoscere la corporeità come un male, ciò che conta veramente per Origene è l’uomo interiore e non quello materiale.
Un posto speciale nello sviluppo della riflessione sull’unità duale anima-corpo va senz’altro riconosciuto ad Agostino da Ippona, nelle cui opere si nota una certa influenza platonica. Il Vescovo infatti, pur rigettando la dottrina della preesistenza delle anime e la loro creazione simultanea, afferma che la parte migliore dell’uomo è la sua anima e che il corpo è la sua “parte inferiore”. Tuttavia, in Agostino è chiara la volontà di mantenere una visione dell’uomo unitaria, rifiutando categoricamente di identificarlo in semplice mens, come se che il corpo non faccia parte della sua essenza. Per il teologo l’elemento caratterizzante l’uomo come imago Dei consiste nella sua capacità di conoscere Dio e tale conoscenza è propria dell’anima in quanto in grado di stabilire l’unione “intenzionale” con Dio.
Possiamo dire come il periodo patristico, partendo da una prospettiva cristologica, ha sviluppato un’antropologia che in termini e concetti ha indubbiamente subito una forte influenza platonica. Tuttavia, nell’epoca medioevale, ponendo al centro della riflessione la dottrina escatologica ed in modo particolare quello della salvezza dell’anima, si inizia ad analizzare la questione soprattutto attraverso categorie aristoteliche. Sarà Tommaso d’Aquino a cercare di superare la tensione fra la tendenza platonica e quella aristotelica anche in base a ragioni strettamente teologiche.
San Tommaso afferma che l’anima è forma del corpo, ossia non è né uno spirito, né una sostanza separata, bensì una sostanza che informa, che configura il corpo. Tenendo presente che ogni sostanza è composta di “essenza” e di “atto di essere”, ne consegue che l’anima risulta una sostanza non composta di forma e materia, ma di essenza, ossia forma spirituale e atto di essere proveniente dalla creazione di Dio. Ecco allora che l’uomo ha una piena individualità perché il corpo non è unito accidentalmente all’anima.
* Laureata in Scienze Religiose nella Facoltà di Teologia
della Pontificia Università della Santa Croce (Roma)