Le Encicliche sociali: il percorso storico della Dottrina Sociale della Chiesa
Di Don Gian Maria Comolli*
La finalità della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) è salvaguardare la centralità e la dignità incondizionata di ogni uomo, perseguendo il Bene Comune supportato da tre colonne: solidarietà, sussidiarietà e partecipazione. Per questo è utile, mediante un percorso storico, conoscere sinteticamente i Papi che hanno offerto i maggiori contributi alla Dottrina Sociale e il contenuto delle Encicliche denominate “sociali”. È ovviamente impossibile in poche righe rendere conto della ricchezza e della complessità di un’enciclica per cui evidenzieremo sinteticamente i punti più importanti di dieci “pietre miliari” della DSC. Sono le seguenti:
– Rerum Novarum di Leone XIII;
– Quadragesimo Anno di Pio XI;
– Mater et Magistra di Giovanni XXIII;
– Pacem in terris di Giovanni XXIII;
– Populorum Progressio di Paolo VI;
– Octogesima Adveniens di Paolo VI;
– Laborem Exercens di Giovanni Paolo II;
– Sollecitudo Rei Socialis di Giovanni Paolo II;
– Centesimus Annus di Giovanni Paolo II;
– Caritas in Veritate di Benedetto XVI .
Cominciamo con l’enciclica sociale per antonomasia, la Rerum Novarum (1891), scritta da Leone XIII, il Papa dei lavoratori.
Al secolo Gioacchino Pecci, questo pontefice ha guidato la Chiesa dal 1878 al 1903 ed ha intuito che tra i suoi compiti ci fossa da includere anche l’attività pastorale nel settore sociopolitico. Eletto in tempi rapidissimi (2 giorni) ci si attendeva da lui un avvicinarsi tra la Chiesa e la società moderna.
Molti erano i problemi che lo attendevano: dall’irrisolta “Questione Romana” con lo Stato Italiano alla soluzione dei conflitti con vari Paesi lasciati aperti dal pontificato di papa Pio IX; dalla reazione al liberalismo laicista che si proponeva di secolarizzare la società al pericolo che racchiudeva la Massoneria; dalla difesa della famiglia alle minacce che rappresentava il socialismo.
Per quanto riguarda i rapporti della Chiesa con il Regno d’Italia non conseguì nessun risultato, anzi il rifiuto di riconoscere il nuovo Stato provocò il congelamento di ogni relazione.
Il campo d’intervento più importante del suo pontificato fu quello sociale con l’enciclica Rerum Novarum che costituì il fondamento teorico della Dottrina Sociale.
Un’enciclica sollecitata dal fermento del mondo cattolico anche in politica, in particolare dall’Opera dei congressi, un’associazione fondata con la finalità di diffondere la consapevolezza che se anche il cattolico non avesse partecipato attivamente alla vita politica non avrebbe dovuto disinteressarsi delle questioni sociali ed economiche.
L’enciclica nacque anche dall’esperienza di Leone XIII nunzio in Belgio, grazie alla quale poté osservare il mondo operaio e le problematiche che ruotavano attorno ad esso: dalla giovane età dei lavoratori ai turni massacranti della durata di quattordici ore il giorno; dall’assenza del giorno settimanale di riposo all’inadeguatezza dei salari.
Da ultimo ricordiamo l’importanza che Leone XIII attribuì al “concetto di libertà” come fondamento della dignità della persona. Libertà nel praticare la propria religione (cfr. la sua enciclica Immortale Dei); libertà come via alla verità (cfr. enciclica Libertas).
La Rerum Novarum, il cui titolo in italiano può essere reso con «Delle cose nuove» fu promulgata il 15 maggio 1891 ed è divisa in quattro parti: Confutazione della tesi socialista dell’abolizione della proprietà privata; L’insegnamento e l’azione della Chiesa; Il ruolo dello Stato; Le associazioni operaie.
L’enciclica affronta in generale il conflitto tra “capitale” e “lavoro” nel tempo delle prime rivoluzioni industriali e, più in particolare, la questione operaia che ha due protagonisti: i datori di lavoro (o “padroni”) e i lavoratori costretti spesso a subire incresciose situazioni essendo privi dei diritti fondamentali tra cui la partecipazione alle associazioni sindacali. Il pontefice si propone come finalità quella d’indicare delle vie per costruire un ordine sociale fondato sulla giustizia e sull’umanità.
Pur condannando sia il “socialismo collettivista” che si proponeva di accrescere nei poveri l’odio per i ricchi sia il “liberalismo individualistico” privo di fondamenti morali, affermò “il diritto di proprietà privata”, ma ordinando, sulla base della concezione tomistica, la destinazione dei beni posseduti al bene comune. «L’uomo – sosteneva San Tommaso d’Aquino – non deve possedere i beni esteriori come propri, ma come comuni: in maniera che ciascuno metta a disposizione le cose secondo la necessità degli altri» (Somma teologica, I-II, q. 66, a. 2).
La Rerum Novarum si prefiggeva inoltre di sconfiggere la lotta di classe puntando sui principi del giusto salario, del mutamento delle condizioni di lavoro dei ragazzi e delle donne, del diritto al riposo domenicale. Offre, infine, dei suggerimenti anche allo Stato nazionale affinché approfondisca la questione operaria e indichi delle modalità per riformare le condizioni economiche e sociali dei lavoratori. Con valutazioni come le seguenti: «essendo assurdo provvedere ad una parte di cittadini e trascurare l’altra, è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai; non facendolo si offende la giustizia» e «il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; i miseri ceti popolari, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue».
Ovviamente, anche gli operai hanno dei doveri derivanti dal patto stabilito con i datori di lavoro. Il Papa, inoltre, s’ interroga sul rapporto capitale-lavoro che non può proseguire in uno stato di conflitto permanente ma deve poggiarsi sulla solidarietà. Infine non dimentica l’importanza delle associazioni sindacali operaie cattoliche che hanno il compito di promuovere e favorire le relazioni con i datori di lavoro.
In definitiva, la Rerum Novarum consolidò la posizione di quei cattolici che avevano compreso che era giunto il momento per la Chiesa di pronunciare parole forti e autorevoli sulle questioni sociali. A seguito dell’enciclica nascono anche le prime forme di sussidiarietà che si esprimono nello spirito cooperativo, come ad esempio le Casse Rurali.
Riassumendo, possiamo affermare che la Rerum Novarum elencò una serie di errori che accrescono le disparità nella società, escluse il socialismo come possibile soluzione ed espose la dottrina della Chiesa «sul lavoro, il diritto alla proprietà, il principio della collaborazione delle classi come mezzo fondamentale per il mutamento sociale, il diritto del debole, la dignità del povero e gli obblighi del ricco, il perfezionamento della giustizia attraverso la carità e il diritto di formare associazioni professionali» (Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, Libreria Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1986, p. 24).
Possiamo anche dire che la Rerum Novarum costituirà il riferimento per i vari Papi che proseguiranno e attualizzeranno le varie riflessioni prevalentemente in occasione degli anniversari della sua pubblicazione.
* Don Gian Maria Comolli, ordinato sacerdote nel 1986, da trent’anni è cappellano ospedaliero. Dopo aver conseguito un dottorato in Teologia, una laurea in Sociologia ed aver frequentato diversi master e corsi di perfezionamento universitari, attualmente collabora con l’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano ed è segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia.
Testo pubblicato per gentile concessione dell’autore (tratto dal blog: www.gianmariacomolli.it).