Ansia, paura e stress nella “scuola del Covid”: lo sfogo di una docente…
Di Enzo Vitale
Sicuramente alcuni sono stufi di sentir parlare sempre del Covid: confesso che anche a me crea un pochino di fastidio.
Mi piace, però, ascoltare, sentire, quello che vivono coloro che sono direttamente coinvolti nelle conseguenze che esso produce. Inutile dire che per una parte di noi, i “fastidi” si concretizzino nell’essere costretti a star chiusi dentro casa.
Sia chiaro che non sono tanto d’accordo a riguardo delle limitazioni alla libertà personale, sebbene sia ben conscio di come, in talune circostanze, la libertà debba essere limitata, per il bene altrui, se si diventa pericolo per l’irresponsabilità e l’incapacità di fare attenzione a non crear danno al nostro prossimo.
Non volendo, comunque, soffermarmi sulla dialettica fra libertà e responsabilità, appunto, preferisco sentire le dirette testimonianze di chi è in prima linea. Pareri discordanti, a volte, ma che ci palesano il quadro di una situazione davvero difficile.
Ecco allora la testimonianza di M. – che in alcuni punti mostra tutto il suo sfogo – di una docente che vive questo difficile e delicato momento.
Buona lettura.
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Sono una docente della scuola secondaria di I grado ubicata nel profondo sud del nostro paese.
Desidero mettere in comune quello che sta vivendo la Scuola in questo periodo, nella zona dove abito.
La scuola del primo ciclo, per volere di chi ci governa, e in particolare del Ministro Azzolina, ministro della Pubblica Istruzione, si svolge in presenza. Secondo il parere dei nostri governanti, la scuola è sicura e, di conseguenza, non ci dovrebbero essere contagi negli istituti scolastici.
Desidero, allora, far sapere cosa succede quando un genitore comunica alla Scuola che un figlio è risultato positivo al test COVID-19.
L’alunno viene messo in isolamento per dieci giorni, circa, in attesa di tampone molecolare: nel frattempo, le mamme degli altri alunni, per paura, tengono a casa i propri figli per 7/8 giorni. Quindi si organizzano per il tampone nella speranza che sia negativo. Anche i docenti che sono stati in contatto con l’alunno si mettono in isolamento fiduciario: anche loro saranno sottoposti a tampone. Ovviamente i docenti – che si ritroveranno in isolamento – svolgono il servizio in più classi: da ciò ne segue che le altre classi restano scoperte, senza insegnanti. Ne segue che si ricorra ai docenti disponibili per supplire ai mancanti. Finito l’isolamento, con tampone negativo, si rientra a scuola un po’ impauriti perché è “importante” fare lezione in presenza. Ma una presenza fisica “in lontananza”, anche se in aula, perché gli alunni devono indossare la mascherina, stare a distanza di un metro, non possono alzarsi se non per andare in bagno, etc.
Questo non è tutto: non si ha il tempo di “rilassarsi” che nel giro di 4 o 5 giorni dal rientro, viene comunicato da un altro genitore di un’altra classe che il figlio è positivo al test del COVID-19… e si ricominci!
Si vive costantemente nell’ansia!
Mi chiedo se tutto questo è “fare scuola”. Studenti, docenti, personale ATA e familiari stressati da un clima di ansia e paura.
Sì, paura!
Per quanto si possano prendere tutte le precauzioni (mascherina, visiera, distanza) il contagio “0” non esiste. Questa non è scuola, è solo la volontà di fare star male tutti quelli che vivono in questo mondo.
Vorrei dire al ministro di pensarci bene, di chiudere tutte le scuole e di iniziare la DAD per tutti.
Certo è vero che non è come quando gli alunni stanno insieme, però mette in sicurezza studenti, famiglie e tutto il personale scolastico.