Studioso e uomo di fede, un gigante del pensiero cattolico: Sant’Alberto Magno

Studioso e uomo di fede, un gigante del pensiero cattolico: Sant’Alberto Magno

Di Sara Deodati*

Sant’Alberto Magno (1193/1206-1280), il vescovo, filosofo, teologo e scienziato tedesco del quale celebriamo oggi la memoria liturgica, è ricordato soprattutto per essere stato il maestro di Tommaso d’Aquino (1225-1274). Forse, anche per questa circostanza, la sua figura non è adeguatamente conosciuta ed apprezzata nell’ambito della storia della Chiesa e del pensiero occidentale. Eppure, come riconosciuto dagli specialisti, fu tra i primi pensatori medievali ad affermare l’autonomia del sapere filosofico e scientifico dalla teologia.

Appartenente alla ricca famiglia dei Böllstadt, Alberto Magno nacque in data imprecisata fra l’anno 1193 ed il 1206, nella cittadina sveva di Launingen, sul Danubio. Entrò molto giovane nell’Ordine dei Domenicani e, questa sua vocazione religiosa, ebbe grande influenza anche dal punto di vista degli studi. Infatti, possiamo dire che, un “segno dei tempi” del secolo XIII, fu probabilmente il fatto per cui i più grandi teologi e filosofi siano stati proprio dei religiosi. Basti annoverare i due francescani, Bonaventura da Bagnoregio e Duns Scoto ed, appunto, i due domenicani Alberto Magno e Tommaso d’Aquino.

Fin dall’ingresso nel noviziato domenicano (1223),Alberto manifestò una grande propensione per gli studi, essendo subito inviato in alcune delle più prestigiose università italiane (Bologna e Padova). Dopo averli terminati a Colonia, conseguì i gradi accademici a Parigi nel 1242. Quindi ottenne dal 1244 al 1248 l’incarico di docenza in una delle quattro cattedre di teologia assegnate al suo Ordine religioso nella prestigiosa università della Sorbona. Rientrò quindi a Colonia, con il compito di dirigere lo Studium generale dei Padri domenicani, nell’ambito del quale ebbe come allievo l’Aquinate. A Colonia si impose non soltanto come ottimo docente ma anche come personalità di prestigio pubblico venendo quindi nominato provinciale di Germania. Una volta sollevato nel 1257 da questo oneroso incarico di governo, Alberto poté finalmente tornare a dedicarsi a tempo pieno agli studi. Nel 1260, però, fu nuovamente chiamato ad incarichi pastorali, questa volta in qualità di Vescovo di Ratisbona. Lasciò anche in questo caso, dopo alcuni anni, il gravoso incarico, riprendendo nuovamente in via esclusiva il suo lavoro intellettuale. Nel 1277, nonostante molto avanti negli anni, si recò a Parigi per difendere di persona la dottrina teologica del suo allievo Tommaso d’Aquino, allora incompresa e, in alcuni punti, ingiustamente attaccata. Stanco e ormai debilitato dall’intensa vita di accademico e di pastore, Alberto morì nella sua cella del convento di Santa Croce di Colonia, il 15 novembre 1280.

Fu dichiarato santo e Dottore della Chiesa da Pio XI nel 1931, mentre Pio XII lo elesse protettore degli studi di scienza naturale. L’appellativo Magno, cioè il grande, con il quale è universalmente noto, gli fu attribuito dai contemporanei per il sapere enciclopedico posseduto (per questo è anche detto Doctor Universalis), che ha spaziato dalla fisica alla logica, dalla metafisica alla morale, dall’etica alla teologia.

Alberto Magno fu tra i primi a percepire la necessità di “riappropriarsi”, da parte della filosofia cristiana, del pensiero di Aristotele. Per questo suo profondo convincimento è stato definito anche l’iniziatore dell’“aristotelismo cristiano”, operando in un contesto, come quello europeo del XIII secolo, nel quale verso la filosofia dello Stagirita, complice il suo interprete arabo Averroè(1126-1198), si era sviluppata una generalizzata ostilità.

I Libri naturales dello Stagirita, accusati di panteismo, finirono persino per essere vietati in alcuni Ordini e università e, solo pochi esponenti del mondo ecclesiale, rimanevano allora convinti del grande capitale filosofico e scientifico che era racchiuso nell’intero corpus aristotelico. Pur riconoscendo come nell’opera dello Stagirita vi fossero inesattezze, Alberto Magno era convinto che sarebbe stato più facile e più opportuno confutarne gli errori piuttosto che bandire Aristotele in blocco. Una delle esplicite finalità dell’opera del teologo tedesco, quindi, fu quella di rendere accessibili ai latini i fondamenti della filosofia aristotelica. I suoi commenti in forma parafrastica degli scritti dello Stagirita, destinati alla lettura e non tanto all’insegnamento, furono pertanto arricchiti di digressioni, integrazioni e nuovi dati scientifici ignoti ad Aristotele, riguardanti il mondo minerale, vegetale e animale, giungendo così ad interpretazioni alternative di importanti conclusioni contenute nei libri della Fisica, del De anima, della Metafisica, dell’Etica Nicomachea, fino allo pseudo-aristotelico Liber de Causis.

Alla fine Alberto offrì una presentazione del pensiero aristotelico pienamente compatibile con la fede cristiana, evitando di forzarne in maniera eccessiva o contraddittoria le tesi. Una delle modifiche e correzioni più importanti dell’impianto filosofico dello Stagirita, riguardò la tesi, tipicamente greca, dell’eternità della materia. A quest’ultima il teologo tedesco contrappose quella del creazionismo cristiano, dichiarando la creazione del mondo razionalmente inspiegabile, così come definendo assurda l’eternità, affermata da Platone e Aristotele.

Nonostante il pensiero di Alberto Magno non presenti, a differenza di quello del suo grande discepolo Tommaso d’Aquino, carattere unitario e sistematico, egli parte nella sua speculazione teologica riconoscendo alla ragione umana una piena e completa capacità critica di conoscere Dio, indipendentemente dalla Rivelazione. La recta ratio, a suo avviso, possiede quindi una propria “autonomia”, attraverso la quale l’uomo è in grado di raggiungere tutte le verità accessibili alla sua natura. Tra queste, naturalmente, l’esistenza di Dio, una verità conoscibile non tanto per illuminazione divina, quanto per il tramite di argomenti induttivi grazie ai quali raggiungere la comprensione logica della causa unica, universale ed eterna del creato. Sant’Alberto riconosceva in definitiva la legittimità di una ricerca scientifica condotta col solo lume della ragione, distinta dalla conoscenza rivelata, ed era convinto quindi che lo sviluppo autonomo del sapere temporale fosse necessario alla teologia. Come studioso e uomo di Fede, quindi, rimane oggi per un noi un gigante al cui esempio ed alla cui scienza ancora attingere.

* Laureata in Scienze Religiose nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce (Roma)

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