Shemà. Commento al Vangelo del 15 novembre della teologa Giuliva Di Berardino

Shemà. Commento al Vangelo del 15 novembre della teologa Giuliva Di Berardino

Shemà (in ebraico “Ascolta”), un commento al Vangelo del Giorno di Giuliva Di Berardino.

Anche a noi, uomini e donne del terzo millennio, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “Shemà”. Ascoltiamolo!

 

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IL COMMENTO TESTUALE

IL VANGELO DEL GIORNO: domenica 15 novembre 2020 

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Siamo nella trentatreesima domenica del Tempo Ordinario, quindi ormai verso la fine dell’anno liturgico, tempo in cui la liturgia ci accompagna nella consapevolezza di ciò che ci sta davanti, dopo la fine.

Oggi quindi siamo invitati a guardare le realtà ultime con il giusto sguardo, quello della fede, della fiducia, che diventa carità. Nel brano tratto dalla lettera ai Tessalonicesi, Paolo scrive: “siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri” (1Ts 5,6).

Il tema della vigilanza è stato già trattato domenica scorsa, contemplando l’icona delle dieci vergini, tratta dal cap. 25 del Vangelo di Matteo, lo stesso capitolo da cui è tratto il Vangelo di oggi, che si configura come lo sviluppo di un percorso che la liturgia ci fa compiere come in un crescendo, che ci porterà alla contemplazione del  giudizio universale, fondato sulla carità, la prossima domenica di Cristo Re dell’Universo, che, appunto, chiude l’anno liturgico.

Il Vangelo di oggi, dunque,  ci presenta, come già accennato, una parabola sugli eventi escatologici, cioè le realtà della fine della vita e del mondo, attraverso una storia che parte dalla realtà presente, comune, ben comprensibile alle persone del tempo.

La storia raccontata è semplice: un uomo parte per un viaggio e lascia i suoi beni a tre persone distinte. A uno dà 5 talenti, ad un altro ne dà 2 talenti e ad un altro 1 talento. Ad ognuno viene dato qualcosa e affidata anche la responsabilità di fare fruttificare ciò che è stato donato. Però, mentre i primi due hanno messo a disposizione tutto il loro impegno e sono riusciti a restituire il doppio di quello che hanno ricevuto, il terzo, quello che aveva ricevuto un solo talento, poiché si trova a restituire il solo talento donato, riceve un severo giudizio.

Comprendiamo allora che il segreto della felicità eterna, perché è questo ciò che la liturgia oggi vuole consegnarci, sta nel donare ciò che abbiamo ricevuto, senza paura di perdere tutto e non essere in grado di restituire qualcosa.

Per il Signore non esiste il fatto di essere in grado o no, ma semplicemente quello che è importante per Lui è che tutto diventi dono. Paradossalmente che si doni bene o si doni male, per il Signore è importante donare, poi ognuno ovviamente troverà il modo per donare bene, cioè stando bene, nella gioia, col sorriso, col cuore libero.

Questo è importante, perché in effetti i doni che riceviamo dal Signore ci servono per crescere, per progredire! Essi non sono dati secondo la logica del mondo, che è accumulo, accomodamento, staticità. No! Dio ci affida dei doni perché comunicando agli altri i doni, noi ci muoviamo, la grazia in noi si muove e tutti insieme cresciamo nella grazia, nell’amore. Il Signore desidera che i doni stessi che Lui ci ha dato diventano più grandi di noi, Egli ci ama così tanto che desidera farci vedere i frutti che la grazia fa nascere oltre noi, fuori di noi: in chi incontriamo, in chi amiamo. Questa è la gioia: generare altro da sé, ma sapendo nel cuore (non è necessario che tutti lo sappiano) che quell’opera di carità, quella comunità, quel credente, quel prete, quella coppia di sposi felici, tutta questa bellezza che ti circonda, porta qualcosa anche di te, del tuo donarti, nel tuo consumarti nel dono di Dio. Ma questa è l’opera di Dio stesso, di Dio Spirito Santo, che agisce proprio in questo modo, generando il dinamismo della gioia in tutti i credenti battezzati, che si spendono nell’amore per gli altri e per Gesù.

E’ Lui che ci spinge a questo, è Lui che realizza la nostra felicità, ma è necessario che noi ci affidiamo alla Sua dolce azione che ci rende amabili. Allora oggi celebriamo questa domenica con la certezza che alla fine dei tempi la gioia abiterà il nostro cuore sarà grande quanto il dono che facciamo di noi stessi, continuamente immersi e tesi in un movimento di offerta di sè, di consumazione di sé, che ci rende figli della Luce, come fiaccole accese che ardono perché sempre di più questa umanità cresca, insieme a noi, nella fraternità, nella bellezza e nella pace, fino alla fine dei tempi. Buona domenica!

Mt 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

IL COMMENTO IN VIDEOhttps://www.youtube.com/channel/UCE_5qoPuQY7HPFA-gS9ad1g/videos

 

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