Il giurista Gambino: “il ddl Zan è in contrasto col principio costituzionale di legalità”
Di Emanuela Maccarrone
L’approvazione del ddl Zan alla Camera suscita tantissime perplessità. Premettendo che in uno Stato democratico ogni cittadino è libero di fare le proprie scelte, in base alle proprie aspirazioni, ai propri orientamenti e di essere tutelato contro ogni forma di discriminazione, le perplessità che emergono sono le novità che questa normativa apporterebbe nei diritti finora conosciuti.
Innanzitutto la libertà di espressione, più volte ribadita. I sostenitori del decreto garantiscono che l’art.21 della Costituzione continuerà a essere tutelato, ma non è ben chiaro fino a che punto.
Sulla perplessità del testo è intervenuto anche Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita e prorettore vicario dell’Università europea di Roma, che intervistato dal Sir ha detto che ”le norme proposte soffrono di uno strutturale difetto di determinatezza, in contrasto col principio costituzionale di legalità. Un delitto consistente nella commissione di generici ‘atti di discriminazione’, oppure nell’istigazione a commetterli, comporta il rischio dell’apertura di processi penali, in base alla mera espressione di punti di vista – sul piano etico, filosofico, pedagogico, psicologico, religioso, ecc. – circa il modo di vivere l’affettività e la sessualità. La loro sussistenza viene rimessa a una discrezionalità giudiziaria della quale non è possibile prevedere a priori, per ciascun singolo caso, i criteri di utilizzo”.
Il punto è la genericità del concetto ‘atti di discriminazione’. Non specificando in concreto cosa sia lecito e cosa non lo sia, si corre il rischio di sollecitare processi penali per l’aver liberamente espresso il proprio punto di vista su argomenti attinenti alla sessualità e all’affettività. E’ indispensabile per i cittadini avere l’indicazione dei comportamenti illegittimi e illeciti, per scongiurare l’involontaria violazione dei diritti che la legge Zan intende tutelare.
Ciò che allarma le famiglie sono gli eventuali programmi di educazione gender inseriti nelle scuole, ossia sul tipo di programma e l’obbligatorietà o meno dello stesso. In altre parole, i genitori continueranno ad avere il diritto di educare i figli così come stabilito nel primo comma dell’art. 30 della Costituzione, quindi in base a proprie scelte, pur nel rispetto dei diritti altrui?
Gambino fa notare: “Negli ultimi anni si sono registrati numerosi progetti educativi e culturali offerti agli alunni che fanno propria una concezione di identità personale e affettiva svincolata dalla differenza biologica tra maschio e femmina. Questi progetti sono talvolta entrati nelle aule scolastiche senza il consenso esplicito delle famiglie”.
A tal proposito, egli ricorda: “nell’ottobre 2017 l’allora ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha emanato le Linee guida nazionali per il piano triennale dell’offerta formativa (Pof), che hanno cristallizzato il diritto-dovere primario dei genitori all’educazione dei figli e il principio del consenso informato degli stessi rispetto alle attività non obbligatorie”.
L’auspicio del giurista è verso una soluzione equilibrata: “l’intera problematica venga ripresa con pacatezza per soluzioni condivise, se davvero si intende consolidare nella nostra società la percezione del rispetto incondizionato dovuto verso qualsiasi persona” .
Si spera in un percorso equo e chiaro volto al rispetto di tutti i diritti coinvolti quali la libertà di espressione, di culto e di tutela di ogni persona da ogni forma di discriminazione , principi cardini di una vera democrazia.