La Polonia cattolica, lo stato di diritto e le minacce dell’UE

La Polonia cattolica, lo stato di diritto e le minacce dell’UE

Di Umberto Spiniello

E’ innegabile che la Polonia abbia scritto una pagina importante nella storia della difesa dei principi non negoziabili il 22 ottobre scorso con la decisione della Corte Costituzionale che ha di fatto abolito l’aborto eugenetico in tutto il Paese. Ovviamente questo storico balzo in avanti nella difesa della vita ha fatto arrabbiare non poco i movimenti  amanti della “libertà” e della “democrazia” e così abbiamo assistito a “democratici” atti di vandalismo per le strade delle Polonia: Chiese imbrattate con scritte, minacce e frasi blasfeme, messe interrotte da attivisti e fedeli scortati dalla polizia per l’accesso nelle maggiori cattedrali.

La reazione della Conferenza episcopale polacca non si è fatta attendere ed è stata decisa e perentoria. Le parole dell’Arcivescovo Gądecki non lasciano spazio ad equivoci richiamando gli attivisti ad esprimere il loro dissenso in modo socialmente accettabile e affermando che: “profanare le Chiese e gli altari, usare violenza, imbrattare con atti vandalici gli edifici sacri, disturbare le funzioni religiose ed impedire la libertà di culto non sono il modo giusto di agire in uno stato democratico. […] Esprimo la mia tristezza per il fatto che in molte chiese oggi ai credenti sia stato impedito di pregare e che sia stato loro tolto con la forza il diritto di professare la propria fede”.

Un passaggio degno di nota dell’arcivescovo Gądecki risulta quello relativo al ruolo della chiesa nella difesa della vita: “Da parte sua la Chiesa non può cessare di difendere la vita, né può non proclamare che ogni essere umano deve essere protetto dal concepimento fino alla morte naturale”. Osservando queste indecenti manifestazioni si ha la inquietante percezione che molti euro parlamentari a Bruxelles in qualche modo “accarezzino” questi movimenti contro la vita nascente e  ne incoraggino ideologicamente l’attivismo.

Attraverso un velato meccanismo e una terminologia ad hoc molti schieramenti politici vorrebbero vincolare i fondi europei ai Paesi che non rispettano una determinata agenda ideologica, il grimaldello sarebbe questa volta il concetto di “stato di diritto”. “Non ci sarà nessun Recovery Fund senza il meccanismo vincolante dello Stato di diritto” ha detto Weber il leader dei Popolari. Alcuni Paesi del blocco di Visegard propongono invece il veto se si dovesse rivedere l’accordo di luglio sul Recovery Fund. I primi ministri Orban e Morawiecki hanno annunciato che lanceranno un istituto congiunto per valutare l’applicazione dello Stato di diritto in tutti gli Stati membri dell’Ue, al fine di evitare derive ideologiche nel processo di valutazione del raggiungimento di determinati standard nazionali da parte dell’UE in materia di “nuovi diritti”.

Difatti il meccanismo di vincolo allo stanziamento di fondi può facilmente trasformarsi in un’arma politica, per contrastare Paesi nemici, o limitare la sovranità dei singoli Stati.  La maggiore o minore democraticità di uno Stato è naturalmente un tema politico. Risulta difficile immaginare valutazioni oggettive che misurino il grado di rottura dello Stato di diritto. E qui le carte si scoprono, La Von der Leyen, attuale Presidente della commissione europea  ha parlato di una “Ue dell’uguaglianza” precisando che: “la discriminazione basata sull’orientamento sessuale non ha assolutamente alcun posto nell’Ue. Per quanto sarà in mio potere, agirò contro ciò, inclusa la sospensione della distribuzione dei fondi”. E sull’omogenitorialità ha affermato: “Lavorerò per il riconoscimento reciproco delle relazioni familiari nell’Unione europea, perché se tu sei genitore in un Paese, lo sei in ogni Paese”. Ci si chiede perché mai l’agenda Lgbt, che prevede anche l’ideologia gender e l’utero in affitto, debba considerarsi elemento caratterizzante lo Stato di diritto. E di certo non sarà una sorpresa se questi fondi saranno negati ai Paesi che legittimamente limitano l’accesso all’aborto o ne bandiscono la pratica come la Polonia. Se dovessimo chiamare le cose con il proprio nome lo definiremmo, senza esitare, un bel ricatto!

 

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