Le due “pietre miliari” della Dottrina Sociale della Chiesa: solidarietà e sussidiarietà
Di Don Gian Maria Comolli*
La Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) e, quindi, anche il bene comune, si appoggia prevalentemente su due principi che si intersecano: quello di solidarietà e quello di sussidiarietà. Devono essere necessariamente collegati altrimenti una solidarietà separata dalla sussidiarietà diviene assistenzialismo, mentre una sussidiarietà svincolata dalla solidarietà si trasforma in benefici unicamente per alcune categorie.
Il principio di solidarietà, che ha antiche origini giuridiche, è presente anche nella Costituzione Italiana (cfr. art. 2), evidenziando così la predisposizione solidaristica del nostro Paese. La solidarietà, auspicata sia dal versante cattolico che da quello laico-socialista (in quest’ultimo caso però in senso collettivista) nella stesura della Carta costituzionale, si è incrementata negli anni 1990 nel dibattito che ha accompagnato la transizione dalla fase di Welfare State a quella di Welfare Comunity. Parte integrante di tale dibattito, infatti, ha visto il posizionamento del volontariato e del no-profit nelle finalità di interesse generale presentate dall’ordinamento giuridico.
Come interpreta la solidarietà la DSC? Risponde Papa Giovanni Paolo II: «Non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (Sollecitudo Rei Socialis, n. 38). Dunque, il principio di solidarietà, evidenzia un’ovvietà che però spesso fatichiamo a riconoscere. Ogni uomo è strutturalmente vincolato agli altri e nessuno potrebbe vivere e realizzarsi senza la loro collaborazione. Di conseguenza, ognuno di noi, è responsabile dei singoli e della comunità che deve prendersi cura di ogni membro, operando per la sua realizzazione, con un’attenzione particolare a coloro a cui ha donato poco.
Quindi, solidarietà, è assumersi totalmente la preoccupazione per lo sviluppo di tutti non unicamente donando cose o tempo ma favorendo il loro potenziamento umano e culturale e la loro felicità.
Però, il principio, deve oltrepassare il singolo per coinvolgere le istituzioni, le politiche e le leggi superando l’insidia evidenziata da monsignor Giampaolo Crepaldi: «i cattolici oggi sono pronti ad agire con forme di solidarietà immediata e di emergenza, ma stanno perdendo di vista il loro compito più architettonico di costruire la società e la politica» (Lezioni di Dottrina sociale della Chiesa, Edizioni Cantagalli, Siena 2018, p. 61). Possiamo chiamare l’aspetto sottolineato dall’Arcivescovo di Trieste “solidarietà culturale”, che richiede d’incidere sugli stili di vita, sul pensiero e sui registri della percezione per diffondere l’amore al prossimo che il Signore Gesù ha insegnato. La sfida che oggi la solidarietà deve affrontare è duplice: da una parte rispondere con sollecitudine alle povertà, alle emarginazioni e alle esclusioni, dall’altra plasmare un evangelico modo di essere, di conoscere e di agire penetrando negli spazi dove si crea e si monopolizza il pensiero e il giudizio, oltre che nei luoghi dove si vive, si soffre e si spera.
“Sussidiarietà”: di cosa stiamo parlando? Il vocabolo deriva dal latino “subsidium” che significa soccorso, promozione, sviluppo… Dunque, la sussidiarietà, è l’intervento “compensativo” e “ausiliare” che lo Stato deve promuovere a favore dei singoli e dei gruppi supportandoli nel loro sviluppo memori che una nazione che massifica, che si propone come il “grande padrone” di orwelliana memoria, che svaluta e deprezza le singolarità gestendo totalmente ogni servizio dall’istruzione alla sanità, che priva di responsabilità le famiglie non solo ferisce e mortifica i cittadini ma causa colossali disservizi dovuti a uno statalismo incontrollabile, a inflessibili amministrazioni e impersonali burocrazie che si presentano disumane e impietose essendo fondate sull’anonimato e sul rapporto da persona a struttura. Una trasparente concorrenza tra Stato, mercato e società civile, invece, oppure una partnership tra questi stessi soggetti in condizioni paritetiche (sussidiarietà circolare), offre prestazioni più efficienti, a un costo minore e con notevole soddisfazione dei cittadini.
Purtroppo, dobbiamo costatare che nel nostro Paese, il principio fatica a essere compreso e attualizzato anche oggi pur essendo velatamente menzionato nell’articolo 2 della Carta Costituzionale, pur espresso diversamente da come oggi è recepito. Dunque, latitante fino al 2001, il principio di sussidiarietà fu potenziato con l’introduzione nella Carta costituzionale degli articoli 118 e 119 a seguito della riforma del Titolo V. Esso riguarda da una parte la ridistribuzione delle competenze alle Città metropolitane, alle Province e alle Regioni e dall’altra è presente l’invito a favorire «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale» (art. 118). Alcuni comuni, provincie e regioni hanno recepito questa novità normativa, altri invece l’hanno completamente ignorata e in molteplici situazioni, come pure nella visione politica attuale, si ha l’impressione che l’apparato Statale voglia rimanere o meglio ritornare a essere “l’unico gestore” dei servizi, concedendo ai corpi intermedi di svolgere unicamente funzioni di supplenza in settori in cui l’amministrazione pubblica fatica a intervenire. Esempio emblematico sono la gestione delle nuove povertà, delle emarginazioni e dell’immigrazione.
Don Gian Maria Comolli, ordinato sacerdote nel 1986, da trent’anni è cappellano ospedaliero. Dopo aver conseguito un dottorato in Teologia, una laurea in Sociologia ed aver frequentato diversi master e corsi di perfezionamento universitari, attualmente collabora con l’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano ed è segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia.
Testo pubblicato per gentile concessione dell’autore (tratto dal blog: www.gianmariacomolli.it).