Senza bontà ogni testimonianza cristiana perde la sua autenticità

Senza bontà ogni testimonianza cristiana perde la sua autenticità

Di Nicola Sajeva

Bontà disarmante e bontà determinante: al di là di una certa assonanza possiamo riscontrare una profonda continuità di argomentazione.

Sulla forza disarmante della bontà mi sono soffermato, or non è molto, per mettere in rilievo la possibilità di trafficarla all’interno di una conflittualità interpersonale che spesso fatica non poco nel raggiungere la serena oasi della pacificazione. Ancora una volta vorrei puntare i riflettori sulla bontà e, con l’attributo determinante, evidenziare un altro aspetto prezioso di questa virtù che fa di un uomo un costruttore di migliori realtà esistenziali.

Una riflessione provocata, in parte, da un passaggio per me importante del discorso che Benedetto XVI aveva preparato per la sua visita all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma: “La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa”.

Senza bontà ogni testimonianza cristiana perde la sua autenticità, perde la sua sconvolgente forza rivoluzionaria, si presenta senza il più importante certificato di garanzia. Senza bontà l’ipocrisia trova spazio vitale e la definizione del credente come sepolcro imbiancato risulta purtroppo, la più azzeccata.

La bontà nella visione del sogno non utopico di una società migliore, incomincia ad essere considerata veramente determinante. Perciò tutti i contesti esistenziali al di là di ogni livello sociale e intellettuale, sono chiamati a confrontarsi con questo atteggiamento dell’animo umano. Penso che a tutti sia offerta la possibilità di dimostrare con le azioni di ogni giorno la validità dell’affermazione che costituisce il titolo di questa nota.

Dando respiro alla nostra voglia di benessere, desiderando indicare alla speranza sentieri di resurrezione, non possiamo sottovalutare la convenienza di sfruttare tutte le spinte, tutte le accelerazioni positive che la bontà può offrirci.

Illuminiamo uno ad uno tutti gli ambienti dove palpita l’attività umana, sia materiale che intellettuale, e sarà chiaro come il coinvolgimento del cuore, con la sua innata capacità d’amare, risulti determinante nell’economia di una civiltà che senta l’urgenza e la responsabilità di sentirsi portatrice del bene comune.

L’uomo non sa che farsene dei risultati offerti da una tecnica senz’anima: se il suo cuore non viene continuamente irrorato dalla bontà del suo prossimo rimane disorientato e smarrito nel deserto della solitudine.

Se i gesti reciproci non trovano nella bontà la piattaforma ideale di espressione, incontrano freddezza, cadono nel torpore, non possono non favorire la metastasi dell’indifferenza.

La bontà è determinante. E’ una delle condizioni vitali per lo sviluppo armonico di tutte le potenzialità della persona umana. La bontà è la risultante più naturale dell’altruismo, è madre della vera gioia, è balsamo da stendere per guarire le ferite dell’invidia, è forza spirituale per farci superare le valli fredde e ombrose dell’incomprensione, è ricchezza da travasare nel cuore di chi ci vive accanto e nel cuore di chi incontriamo occasionalmente.

La bontà è determinante. Lo è stata nel cammino di santità di quanti la Chiesa ci propone di imitare, lo è stata anche per tutti i benefattori dell’umanità non credenti che, forse inconsapevolmente, si sono ritrovati accanto ai credenti nell’ascoltare Gesù: “imparate da me, perché io sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).

Bontà e umiltà si nutrono a vicenda, sono forze sinergiche, presupposti ineludibili per una convivenza alimentata serenamente da una capacità di perdonare che non può non evolvere nella vera pace.

“Ho paura che mio figlio cresca troppo buono”: è l’esternazione di un sentimento che, oggi, sembra andare per la maggiore e che aveva indotto un papà a cambiare di classe il proprio figlio.

La paura, l’insana voglia di vincere sempre, la determinazione machiavellica di perseguire ogni fine eludendo la liceità dei mezzi, sono piattaforme esistenziali purtroppo molto frequentate.

Il maestro di quel bambino seminava strategie di pace, considerava determinante la bontà, riteneva davvero che da quel versetto del Vangelo di Matteo potesse arrivare la migliore indicazione per scorgere tra le nuvole grigie uno squarcio d’azzurro.

 

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