Chiesa e società: “interferenza” o “collaborazione”?

Chiesa e società: “interferenza” o “collaborazione”?

Di Don Gian Maria Comolli

Un’obiezione che potrebbe nascere in alcuni lettori e che rileviamo spesso in vari dibattiti è la seguente: che autorità ha la Chiesa per interessarsi delle questioni sociali, politiche ed economiche? Per molti, la Chiesa dovrebbe limitare il proprio ambito di azione alla sfera spirituale, poiché secondo loro, Gesù Cristo non si è mai lasciato coinvolgere in progetti o interpretazioni politiche, sia della sua persona sia della sua azione.

Questo è vero in parte se interpretiamo il termine “politica” nell’accezione restrittiva di fenomeno partitico-governativo. Non è così se la rapportiamo al termine greco πόλις che significava città e, di conseguenza, il suo immediato rapporto con l’uomo fondato su un modello civico prevalentemente ateniese che comprendeva una comunanza d’intenti sociali, politici, economici e culturali. Perciò possiamo affermare che la politica consiste nell’«attività mirante a determinare i criteri o i valori base di regolamentazione della vita globale del gruppo, le finalità primarie e intermedie da perseguire, gli strumenti per il loro conseguimento» [Enrico Chiavacci, Politica, in Francesco Compagnoni-Giannino Piana-Salvatore Privitera (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1990, p. 952] al fine di costruire, come affermava il già rettore dell’Università Cattolica di Milano Giuseppe Lazzati (1909-1986): «la città dell’uomo a misura d’uomo». A sua volta il celebre sindaco di Firenze (oggi venerabile) Giorgio La Pira (1904-1977), in una lettera a Papa Pio XII del 25 maggio1958, scriveva: «La politica è l’attività religiosa più alta, dopo quella dell’unione con Dio: perché è la guida dei popoli… una responsabilità immensa, un severissimo e durissimo impegno che si assume… La politica è guidata non dal basso, ma dall’alto: nasce da una virtù di Dio e si alimenta di essa: altrimenti fallisce: cade, come cade e rovina la casa costruita sulla sabbia».

Il Signore Gesù, nella sinagoga di Cafarnao, presentando le finalità della sua missione e della sua persona, affermò: «Il tempo è compiuto. Il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc. 1.15). In questo annuncio è presente l’espressione “Regno di Dio” e il Cristo indica l’azione da intraprendere per la sua costruzione: la “conversione”. Ne consegue che il Regno di Dio non è unicamente escatologico ma una realtà in divenire nella storia come confermato più volte dall’apostolo Paolo con le espressioni “già” e “non ancora” (Rm. 5,9; 8,18-30; Col. 3,1-4; Ef. 2,1-10; 1Ts. 3,12-14; 5,23-24). In questi passi l’Apostolo evidenzia la prospettiva escatologia del cristiano che vive “già” della salvezza ma tuttavia attende ancora un compimento in base al “non ancora”. Ebbene, se è Dio che guida la storia come affermato in precedenza, se il Regno di Dio è un “già” e un “non ancora” presente nella storia in attesa della fine del mondo che concluderà la vicenda umana con la creazione di nuovi cieli e una nuova terra, non può esserci settore societario dove l’annuncio del Vangelo sia carente poiché solo così potrà avvenire la “conversione” verso nuovi atteggiamenti riguardanti la vita individuale e societaria.

Da ultimo dobbiamo scrostare il termine “salvezza” che frequentemente è imprigionato nell’isolato aspetto religioso-o spirituale ritenendolo riferito unicamente all’anima. Sempre san Paolo è di opinione contraria: «Tutto quello che fate, parole o azioni, tutto sia fatto nel nome di Gesù, nostro Signore e per mezzo di Lui, ringraziate Dio nostro Padre” (Col. 3,17). L’Apostolo delle genti ricorda che le nostre azioni non esprimono unicamente dei significati temporali ma sono anche opere di salvezza. Di conseguenza dobbiamo valutare ogni bene temporale nella sua prioritaria relazione con il Trascendente, superando il limite di reputare la persona una giustapposizione di due dimensioni, quella del corpo e quella dello spirito, scordando che questi elementi sono intimamente fusi, essendo l’unità anima e corpo non accidentale ma sostanziale. Se distinguiamo ancora tra la vita del corpo, intesa come fisica, e quella dell’anima concepita come spirituale, o se riteniamo gli affetti e i sentimenti come a sé stanti, smarriamo la concezione dell’unità dell’uomo e pure faticheremo a comprendere le finalità della Dottrina Sociale della Chiesa.

Con riguardo all’interpretazione di quest’ultima, va segnalato anche un altro equivoco: reputarla uno strumento sociale, politico ed economico. In realtà, come afferma il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, la DSC consiste in un esame delle realtà temporali riferito agli insegnamenti del Cristo, cioè il valutare ciò che accade nella scuola, nella politica, nella famiglia, nell’economia… con lo sguardo fisso sul Vangelo. E, a riguardo dell’aspetto strettamente economico, non esiste un “manuale cattolico” di riferimento, poiché la Chiesa, come afferma l’enciclica di Pio XI Quadragesimo Anno (1931), «non vuole avere nessuna autorità magisteriale sulle questioni di carattere scientifico e tecnico relative all’economia», ma come più volte affermato, «intende solo onorare e promuovere la dignità della persona umana, la sua vocazione integrale e il bene dell’intera società». L’uomo infatti, è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale (cfr. n. 2-3).

Non è un caso che San Giovanni Paolo II, il Papa che durante tutto il suo pontificato ha fortemente evidenziato l’importanza della Dottrina Sociale, ha più volte chiesto lo studio di questa disciplina. Egli era convinto infatti che quella che ha definito “nuova evangelizzazione” sarebbe fallita senza un’approfondita conoscenza del contributo che la Chiesa Cattolica può offrire alla globalità della società. Concetto ripreso anche da Papa Francesco nell’Udienza Generale del 5 agosto 2020, rilanciandola come strumento per superare i problemi valoriali e strutturali che l’emergenza sanitaria ancora in corso ha aperto: «La Chiesa, benché amministri la grazia risanante di Cristo mediante i Sacramenti, e benché provveda a servizi sanitari negli angoli più remoti del pianeta, non è esperta nella prevenzione o nella cura della pandemia. E nemmeno dà indicazioni socio-politiche specifiche. Questo è compito dei dirigenti politici e sociali. Tuttavia, nel corso dei secoli, e alla luce del Vangelo, la Chiesa ha sviluppato alcuni principi sociali che sono fondamentali, principi che possono aiutarci ad andare avanti, per preparare il futuro di cui abbiamo bisogno». In questo senso assumono una importanza decisiva i principi contenuti nei numeri 160-208 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, dalla destinazione universale dei beni all’opzione preferenziale per i poveri, dalla sussidiarietà al diritto/dovere di partecipazione politica.

⃰ Don Gian Maria Comolli, ordinato sacerdote nel 1986, da trent’anni è cappellano ospedaliero. Dopo aver conseguito un dottorato in Teologia, una laurea in Sociologia ed aver frequentato diversi master e corsi di perfezionamento universitari, attualmente collabora con l’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano ed è segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia.

Testo pubblicato per gentile concessione dell’autore (tratto dal blogwww.gianmariacomolli.it).

 

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