I protagonisti della Dottrina Sociale della Chiesa: i fedeli-cristiani-laici

I protagonisti della Dottrina Sociale della Chiesa: i fedeli-cristiani-laici

di Don Gian Maria Comolli

La Chiesa a chi affida l’onore e l’onere di approfondire o meglio studiare la sua Dottrina Sociale per poi concretizzarla nella quotidianità? Prevalentemente e principalmente ai fedeli-cristiani-laici; per questo è importante conoscere le caratteristiche di questa figura.

Il vocabolo “laico” deriva dalla parola greca laïkós che significa “del popolo”; quindi il laico è un “membro del popolo”. Il termine nel nostro contesto culturale assume due connotati: uno ecclesiale e uno sociale-politico.

In ambito ecclesiale il laico è il battesimo, membro del popolo di Dio radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il laico, pur distinguendosi dal religioso, dal diacono, dal sacerdote e dal vescovo, nella Chiesa assume la stessa dignità pur con compiti differenti. Mentre i consacrati mediante il sacramento dell’Ordine o i tre “voti” religiosi esercitano mansioni prevalentemente spirituali, ai laici è richiesto di instaurare il Regno di Dio operando nelle realtà terrene. I laici, rammenta il Concilio Vaticano II, «implicati in tutti i singoli affari del mondo, e nelle ordinarie condizioni di vita familiare e sociale, sono chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita» (Lumen Gentium, n.31).

In ambito “sociale-politico”, il laico è chi s’illude operare nel mondo confidando unicamente nelle risorse umane. Laicismo, quindi, equivale alla professione di uno pseudo umanesimo racchiuso esclusivamente nel temporale, nel profano e nel secolare.

Da quanto affermato si comprende che il compito del fedele-cristiano-laico non è quello di far presente il Signore Gesù nei vari campi della società essendo Cristo già presente in ogni luogo ma quello di supportare i propri contemporanei ad accorgersi che Lui, il Signore Gesù, c’è; quindi serve aprire gli occhi per individuarlo, per scorgerlo, per riscoprirlo in comunione con la Chiesa.

A questo argomento il Concilio Vaticano II dedica il Decreto Apostolicam actuositatem (1965) e Papa Giovanni Paolo II l’Esortazione Apostolica Post Sinodale Christifideles Laici (1988).

Per cogliere l’atteggiamento del laico cristiano è interessante questo episodio della vita del venerabile Giorgio La Pira (1904-1977), celebre sindaco di Firenze e geniale uomo politico. In occasione della sua visita a Mosca nel 1959, primo uomo politico occidentale a varcare la “cortina di ferro” per implorare il Soviet Supremo di «tagliare il ramo secco dell’ateismo di Stato», scrisse a Papa Giovanni XXIII una lettera: «Vado come ambasciatore di Cristo e della Chiesa di Cristo a mie spese e a mio rischio. Se sbaglio la colpa è mia; se non sbaglio il merito è unicamente di Dio e della Chiesa di Dio». Questo è il fulcro dell’apostolato del fedele-cristiano-laico! Un apostolato che per il Concilio Vaticano deve appoggiarsi su alcune colonne: una forte spiritualità personale; il comandamento della carità interpretato non solo con ottiche di compassione, di beneficienza e di elemosina ma anche culturali; il lasciarsi guidare dallo Spirito che elargisce carismi particolari (cfr. Apostolicam actuositatem, n.3). Inoltre, al fedele-cristiano-laico occorrono vaste competenze nel settore della sua attività, un ricco corredo di virtù umane, un’autentica vita cristiana e la conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa per risvegliare nel cuore degli uomini, nel mondo del lavoro, della tecnica, della sanità e della scienza, della cultura e della politica la figura del Signore Gesù spesso assopita, emarginata o allontanata.

Leggiamo e meditiamo le parole del Concilio: «I laici devono assumere il rinnovamento dell’ordine temporale come compito proprio, e in esso:

  1. guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, devono operare direttamente e in modo concreto;
  2. come cittadini devono cooperare con altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità;
  3. dappertutto ed in ogni cosa devono cercare la giustizia del Regno di Dio.

Insomma, l’ordine temporale deve essere rinnovato in modo che, nel rispetto integrale delle leggi sue proprie, sia reso conforme ai principi superiori della vita cristiana e adattato alle svariate condizioni di luogo, di tempo e di popoli» (Apostolicam actuositatem, n.7).

Ebbene, il fedele-cristiano-laico è oggi il ponte fra la Chiesa e una società spesso insensibile, diffidente e ostile nei riguardi della religione. I laici sono un ponte non per assicurare alla Chiesa ingerenze o dominio nelle realtà temporali o negli affari societari ma per non privare ogni ambiente societario, pluriculturale o multiculturale, del messaggio evangelico di salvezza.

Terminata la Seconda guerra mondiale alcuni soldati americani, acquartierati in un paesino tedesco distrutto dai bombardamenti, aiutarono gli abitanti a riparare le case diroccate. L’impresa maggiore fu la chiesa. Ricostruirono il tetto, consolidarono i muri, restaurarono la statua di Cristo caduta dall’altare. Rimessa sul piedistallo, la figura appariva nuova tranne le mani che non fu possibile ritrovare. Quindi decisero di porre ai piedi del Cristo mutilato questa emozionante scritta: «Non ho altre mani che le vostre» che potremmo così ampliare: «Non ho altre mani che le vostre per rendere più umana e cristiana la società del nostro tempo».

Luigi Einaudi (1874-1961), primo Presidente della nostra Repubblica nel saggio “Il buon governo”, scrisse: «Erra chi afferma che la fede, che la credenza in una data visione della vita sia un affare privato. Colui il quale restringe la fede alle pratiche di culto, e non informa a quella fede tutta la propria vita, la vita religiosa e civile, la vita economica e politica, non è un vero credente» (Laterza p. 341).

⃰ Don Gian Maria Comolli, ordinato sacerdote nel 1986, da trent’anni è cappellano ospedaliero. Dopo aver conseguito un dottorato in Teologia, una laurea in Sociologia ed aver frequentato diversi master e corsi di perfezionamento universitari, attualmente collabora con l’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano ed è segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia.

Testo pubblicato per gentile concessione dell’autore (tratto dal blogwww.gianmariacomolli.it).

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