Curiamo le nostre cateratte spirituali
Di Nicola Sajeva
C’è chi nasce cieco e c’è chi lo diventa. Cè la cecità fisica e c’è la cecità spirituale.
Se la prima colpisce solo l’individuo portatore ed innesca meccanismi di sussidiarietà e di compassione, la seconda va a determinare una serie di problemi in tutte le costruzioni interpersonali destinate a caratterizzare il nostro quotidiano.
In quest’ultimo ambito la cateratta interessa gli occhi della nostra anima che, opacizzati dalle varie chiusure psicologiche, non permettono più al nostro cuore di organizzare risposte di amore; ci ritroviamo inoltre incapaci di affrontare la fatica della ricerca, della scoperta e non abbiamo più carte vincenti per risalire la china del fallimento. Ed è qui che riteniamo più comodo sottoscrivere una serie di deleghe e vivacchiare inoperosi nella penombra della rinuncia. Allora il nostro cuore inerte si lascia invadere dalla grave metastasi del conformismo: come automi ci sintonizziamo su frequenze logore, stantie, monotone, scolorite e andiamo così a rendere più numeroso il gregge dei commedianti che rappresentano stancamente gli stereotipi esistenziali più in voga.
Gran parte dei mass-media hanno vinto, senza incontrare grandi difficoltà, l’asta per condurre la regia di queste rappresentazioni: approntano sceneggiature all’interno delle quali possiamo ritrovare gli schemi, le esemplificazioni, i prototipi di tutti i comportamenti che, alla fine, vanno a comporre il nostro vissuto. Tutto quanto potrebbe scaturire dai nostri sogni, dalle nostre speranze, dalle nostre personalissime intuizioni perde la germinabilità e con essa ogni possibilità di futura realizzazione.
Cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo consumare, cosa dobbiamo desiderare ci viene così ammannito, veicolato all’interno di una libertà falsa perché, in ultima analisi, possiamo considerarla come la risultante di mille schiavitù. Quanto detto, purtroppo è individuabile in tutti i campi dell’agire umano: da quello politico a quello sociale e, per certi versi, a quello religioso.
Su quest’ultimo campo desidera trovare respiro questa breve riflessione perché lo ritengo costituzionalmente importante nella visione di un sereno approccio a quelle problematiche dirette a migliorare la nostra esistenza in tutte le sue più importanti sfaccettature. Qui le eventuali cateratte, non permettendo al nostro cuore di apprezzare in pieno lo splendore della Verità, ci lasciano fuori dalla luce piena un po’ storditi, spesso demotivati, incapaci di gustare, di capire, di far nostra l’incommensurabile ricchezza di una speranza sbocciata dal ritrovamento di un sepolcro vuoto.
Tutto il magistero della Chiesa nel tempo e Papa Francesco oggi, hanno il delicato incarico di rimuovere queste cateratte. Credere o non credere, prendere consapevolezza della fede o vivere all’interno di un orizzonte solo terreno, continuano, ieri come oggi, a rappresentare linee di percorrenza diverse ma non per questo chiuse ad un possibile dialogo.
Senza questa apertura, senza questa predisposizione all’incontro, inesorabilmente, in tutte le posizioni, saranno sempre più evidenti segni prima di paralisi e poi di morte. Laicismo ed integralismo si ritroveranno impegnati a costruire fortini inespugnabili, ponti levatoi efficienti, compartimenti stagni assolutamente incomunicabili.
La conoscenza, la ricerca delle ragioni che ci hanno fatto approdare ad una sequela possono permetterci di vivere con estrema coerenza e, conseguentemente, possono garantirci il rispetto dell’eventuale interlocutore.
Il Papa emerito Benedetto XVI, con la prima parte del suo “Gesù di Nazareth”, percorre con delicatezza la via del dialogo, sente l’urgenza di incontrare, di diventare compagno di viaggio dell’intera umanità, di tutti i credenti per rimuovere dai loro occhi: per alcuni la cateratta di una religiosità chiusa d un’istintivo devozionismo ed aperta spesso al relativismo, per altri la cateratta di una comprensione del messaggio evangelico insufficiente per potenziare una testimonianza propedeutica alla piena santità; dei non credenti di buona volontà, e sono tanti, per offrire indicazioni utili a migliorare, pur non uscendo dalle loro convinzioni, il contributo che, come uomini responsabili, sono chiamati a dare.
Con il nulla-osta della nostra volontà tutte le cateratte sono curabili. Ho letto da qualche parte che la migliore dieta dell’anima è la solitudine. E in questa solitudine leggere, riflettete, contemplare per ritrovare, rimuovendo tutte le cateratte, l’iniziale capacità.