Come Matteo il pubblicano, nessuno è “irrecuperabile”!
Di Giuseppe Brienza
Oggi ricorre la memoria liturgica di San Matteo evangelista, un pubblicano chiamato direttamente da Gesù alla Sua sequela. Apparteneva ad una di quelle categorie sociali allora fra le più disprezzate dal Popolo dell’Alleanza, in quanto collaborazionista della potenza pagana occupante dei Romani. In pratica quelli come Matteo erano anime perse ma, allo stesso tempo, come ricordato dal teologo Roberto Vignolo, Ordinario di Esegesi e Teologia biblica nella Facoltà teologica di Milano, parte di quella «umanità variamente vulnerabile, letteralmente calamitata dalla presenza dell’Emmanuele» (San Matteo evangelista. Maestro di attenzione narrativa, L’Osservatore Romano, 20 settembre 2020, p. 7).
Alla particolare vocazione dell’Apostolo ed Evangelista si richiama, come noto, Papa Francesco, il cui motto Miserando atqueeligendo è tratto dalle Omelie di San Beda Venerabile che, commentando proprio l’episodio evangelico della chiamata di San Matteo, scrive: «Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, aitilli Sequere me» («Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi»).
Fin dalla scelta dei suoi 12 Apostoli Gesù mette ben in chiaro che Dio non dà mai nessuno per perduto. Di più, Egli predilige la ricerca proprio di coloro che stanno rischiando seriamente la perdizione.«Di fronte alla tentazione di considerare “irrecuperabile” qualcuno o alcuni– ha scritto in un libro molto interessante il teologo amico di Papa Bergoglio e suo connazionale Don José María Recondo-, il Cristianesimo è costruito sulla convinzione che ogni uomo è recuperabile. Non dimentichiamo che tra i principali discepoli di Gesù ci sono persone che tutti avrebbero dato per perdute e che invece si sono convertite e hanno seguito da vicino il Maestro: Maria Maddalena, Paolo, Pietro, Matteo» (Josè Maria Recondo, La speranza è un cammino, EDB, Bologna 2013, pp. 86-87).