Vita e pensiero del vero leader della destra tradizionale americana
DI CRISTIANO OTTAVIANI
Nato a Washington D.C. il 2 novembre 1938, Pat Buchanan proviene da una famiglia, cattolica e numerosa, della piccola borghesia nordamericana. I genitori, papà contabile d’impresa e madre infermiera, hanno ascendenze anglo/scozzesi/tedesche e irlandesi. La famiglia vanta anche un particolare legame con il Mississippi, terra “confederata”, della quale Buchanan va da sempre fiero considerando un grande onore le sue radici “sudiste” e, in particolare, il suo avo Cyrus Baldwin che, sotto quelle bandiere, ha combattuto la guerra civile americana (detta anche “guerra di secessione”). Grazie a queste sue ascendenze fa parte dell’associazione di reduci “confederati” Sons of Confederate Veterans, cui partecipa regolarmente ai raduni.
Da giovane frequenta scuole private cattoliche tra cui il prestigioso collegio dei gesuiti Gonzaga College High School e, poi, la Georgetown University. Consegue la laurea magistrale in Giornalismo nel 1962 alla Columbia University con un’inchiesta sugli illeciti scambi tra Canada e Cuba tesi ad aggirare l’embargo deciso dal governo degli Stati Uniti.
Ancora prima della laurea, nel 1961, inizia a lavorare alla rivista St. Louis Globe-Democratic e, con i suoi pezzi sull’inchiesta sui traffici Canada/Cuba ne diviene dapprima editorialista, poi vicedirettore.
Nel 1964 appoggia il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, senatore Barry Goldwater, considerato il “padre nobile” del conservatorismo reaganiano (cfr. ANTONIO DONNO, La rinascita del conservatorismo. Barry M. Goldwater alle origini del reaganismo, in Nuova Storia Contemporanea, anno X. n. 3, maggio-giugno 2006).
Dall’inizio della sua carriera politico-giornalistica Buchanan si lega alla “Young Americans for Freedom”, un pensatoio (“think tank”) di cui diventa responsabile per la comunicazione. Grazie a questa fondazione entra in contatto, dopo il 1965, con Richard Nixon, di cui diventa collaboratore.
Dal 1966 lavora come esperto della comunicazione nella campagna per le presidenziali di Nixon.
Entra nello staff di presidenza (1969-1975) scrivendo discorsi e collaborando ad elaborare le strategie di comunicazione del presidente e del suo vice. Partecipa ad importanti visite all’estero ed, in tali contesti, conia la famosa formula della “Maggioranza Silenziosa”.
Ispira la strategia di comunicazione nelle elezioni presidenziali del 1969 e del 1972 valorizzando il ruolo antiburocratico del Partito Repubblicano.
Durante i giorni dello scandalo Watergate suggerisce a Nixon di bruciare i nastri delle conversazioni senza consegnarli alla magistratura.
Resta fedele al Partito Repubblicano anche dopo le dimissioni di Nixon servendo, sempre come consulente in materia di comunicazione, il presidente John Ford (1974-75).
Dalla seconda metà degli anni settanta riprende a tempo pieno il suo lavoro di editorialista collaborando però anche alla radio, con la conduzione di programmi al tempo molto popolari, come quello quotidiano di 3 ore con il giornalista liberal Tom Braden (il celebre “Buchanan-Braden”). Nel 1978 (fino al 1984) passa come commentatore alla Radio Nbc.
Quasi contemporaneamente inizia a lavorare come opinionista/conduttore TV, partecipando a talk show come “Crossfire” ispirato ad un suo programma radiofonico.
Estimatore di Ronald Reagan nel periodo 1985/87 è direttore della comunicazione della Casa Bianca. Nel 1986 in occasione del congresso della stampa di ispirazione religiosa definisce il reaganismo “fase transitoria della rivoluzione conservatrice”. L’anno seguente afferma : “il più grande vuoto nella politica americana è rappresentato da ciò che sta alla destra di Ronald Reagan”.
Nel 1987 suo fratello Bay Buchanan, collaboratore di Reagan, fonda il movimento “Buchanan presidente”, senza successo. Nel 1988 quindi Pat torna al giornalismo, riprendendo la conduzione di “Crossfire”.
Nel 1990 pubblica il libro “Dalla destra Patrick Buchanan” in cui sembra preannunciare la sua prossima discesa in campo alle presidenziali, criticando i repubblicani.
La sua critica al presidente George Bush senior si fa palese nel 1992 quando polemicamente decide di candidarsi alla presidenza sfidandolo alle primarie. Il suo programma si basa sulla riduzione dell’immigrazione, la lotta al multiculturalismo, l’opposizione ai “diritti gay” ed all’aborto.
Alle primarie ottiene buoni risultati: nel New Hampshire supera Bush ottenendo il 38% dei consensi. Raggiunge in tutto circa 3.000.000 sostenitori.
Buchanan ottiene grande popolarità anche perché accusa Bush di essere tiepido con i liberal e, visto il suo successo, è incaricato di tenere il discorso di presentazione di Bush per la candidatura presidenziale alla Convention dei repubblicani. Diventa famoso pronunciando la contestata frase “una guerra di religione è in corso nel nostro paese per l’anima dell’America”.
Nel 1993 è tra i fondatori della Fondazione “The American Cause” di cui diventa presidente. Si batte per la difesa dei valori della tradizione e per lo “Stato minimo”. Nel 1995 si ritira dalla conduzione dei suoi programmi radio/tv e annuncia la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti.
Affronta le primarie del Partito Repubblicano chiedendo il ritiro del trattato Nafta. Attacca “i Clinton” favorevoli all’aborto, ai “diritti gay”, alla discriminazione nei confronti delle scuole religiose, all’ingresso a tutti gli effetti delle donne nell’esercito. “Questo non è il cambiamento di cui l’America ha bisogno, non è il cambiamento che l’America vuole. Non è con questo tipo di cambiamento che si può rimanere una nazione legata a Dio”.
Accusa il suo principale avversario, Bob Dole, di essere un politico blando legato alla dirigenza immobilista del partito repubblicano.
Il suo candidato alla vice presidenza Larry Pratt è costretto a dimettersi accusato di essere legato ad associazioni razziste.
Sconfigge Dole nelle primarie del New Hampshire per 3000 voti. Vince in Alaska, Missouri e Louisiana e, per pochi voti, arriva secondo in Iowa. Dole riesce però altrove a sconfiggere pesantemente Buchanan che, alla fine, raccoglie il 21% dei consensi e, nel marzo del 1996, è costretto a ritirarsi dalla primarie.
Si parla di Buchanan come possibile candidato repubblicano alla vice presidenza ma Bob Dole preferisce altri candidati più soft. Lui dà comunque lealmente il suo sostegno al candidato repubblicano che, come noto, è sconfitto pochi mesi dopo (novembre 1996) da Bill Clinton.
Buchanan torna quindi nuovamente al giornalismo e alla conduzione dei suoi programmi radio/TV. Nel 1999, però, lascia il partito repubblicano.
Cerca la nomina alle presidenziali per il “terzo partito” americano, il Reform Party, allora da poco fondato dal miliardario Ross Perot. Il suo partito si divide sulla sua candidatura ma, alla fine di una disputa burocratica, Buchanan risulta essere il vero candidato del Reform Party alle presidenziali.
Nel suo programma propone il ritiro degli Stati Uniti dall’Onu e che New York non sia più la sede delle Nazioni Unite, una forte riduzione dei poteri del governo federale, riduzioni delle tasse di successione e di reddito.
Nomina suo vice un professore afro-americano in pensione di Los Angeles. Ottiene l’appoggio dei socialisti americani poiché critico del “libero scambio e a favore di un commercio più equo”. Riceve inoltre il sostegno dei pro-life americani del “Movimento per il Diritto alla Vita”.
Le presidenziali si concludono però con un insuccesso di Buchanan, che ottiene solo lo 0,4% (449.895 voti).
Pur partecipando alla convenzione del Reform Party nel 2001 preferisce restare politicamente indipendente. Torna così al giornalismo lasciando definitivamente la politica attiva.
Collabora con la Cnn che, dopo alcuni anni, inspiegabilmente non gli rinnova il contratto per il programma che gli aveva affidato, costringendolo a trasferirsi alla meno nota TV MSNBC. Contrario alla guerra in Iraq il suo programma viene chiuso anche da questa emittente nel 2003.
Nel 2002 aveva fondato la rivista conservatrice “American Conservative”, caratterizzata per le sue particolari posizioni in politica estera, economia e immigrazione.
Nel 2004 appoggia alle elezioni presidenziali il presidente Bush dichiarando “Bush ha ragione in materia di tasse, i giudici, sovranità nazionale e valori. Kerry su nulla”.
Continua a lavorare come commentatore politico della radio e della tv, collaborando con alcune tra le riviste e giornali più importanti degli Stati Uniti.
La sua caratteristica assai rara per il panorama dei media west coast americani? La rivendicazione orgogliosa di essere cresciuto nella Fede Cattolica, di aver studiato in scuole cattoliche, di partecipare regolarmente alla Messa tridentina in lingua latina (presso la Chiesa di Santa Maria, Madre di Dio a Washington DC), di basare tutta la sua “teologia” sul tomismo e la sua attività politico-giornalistica sul rispetto dell’ordine naturale.
Nei suoi editoriali e libri ha sempre sostenuto che il problema principale della società contemporanea è quello di aver abbandonato i valori della tradizione cristiana. La decadenza della religione nella società contemporanea ha accompagnato anche il dilagare della crisi economica e politica.
Fedele difensore della civiltà cristiano-occidentale, Buchanan non ha, ad esempio, esitato a dichiarare, poco dopo l’11 Settembre 2001: “La nostra cultura è superiore, perché la nostra religione è il Cristianesimo ed è questa verità che rende gli uomini liberi”.
In Corriere del Sud n. 14
anno XX/11, p. 3